27 ottobre 2015

«…Qua è sempre meglio…»

Africa
(Foto di Ekaterina Golovko)

Une civilisation qui s'avère incapable de
résoudre les problèmes que suscite son
fonctionnement est une civilisation décadente.
Une civilisation qui choisit de fermer les
yeux à ses problèmes les plus cruciaux est
une civilisation atteinte.
Aimé Césaire

Bambini, pance gonfie, mosche, ebola, carestia, guerre civili, povertà, sottosviluppo. Giraffe, coccodrilli, zebre, leoni, tramonti, savana.
Questo è il nostro pigro pensiero dell'Africa. Tutto il resto è un buco nero.

L'Africa è un continente sconosciuto e quello che non si conosce fa paura. In questo scritto, parte di un progetto più ampio, senza fare inchieste sensazionalistiche, cerchiamo di riordinare idee tratte dalle nostre esperienze in Africa e in Italia, dagli studi esistenti e dalla letteratura.

Nonostante gli oltre quattro secoli di profondi contatti, principalmente di sfruttamento sistematico del continente africano, esiste un'incomprensione di fondo da parte della cultura europea verso questa parte del mondo (l'incomprensione è in realtà reciproca ma in questo scritto ci occuperemo di quella dell'Europa verso l'Africa). Questa incomprensione ha manifestazioni multiformi che potremo grossolanamente sintetizzare in due pensieri apparentemente opposti, ma che in realtà sono le due facce di una stessa medaglia: la solidarietà paternalista di origine cristiano/socialista e il pensiero prettamente razzista di totale rifiuto dell'altro. La medaglia è quella della superiorità del pensiero europeo democratico, della scienza e della tecnica, del pensiero positivista e materialista, dello sviluppo e del progresso versus un mondo non sviluppato, degradato, corrotto, povero, in costante conflitto.

Questa incomprensione di fondo s'incendia soprattutto in momenti storici come quelli che stiamo vivendo in questi anni. Il flusso migratorio dal continente africano verso l'Europa è un fenomeno indubbiamente importante che ha ragioni profonde e che deve necessariamente essere analizzato con lucidità al di là dell'allarmismo quotidianamente venduto dall'opinione pubblica. Il senso di assedio/crisi che gli europei stanno vivendo in questi anni è chiaramente una delle spie della crisi del sistema sociale/culturale capitalistico-occidentale (come scriveva già nel 1950 Aimé Césaire nel suo Discours sur le colonialisme). La crisi sistemica si riflette sul benessere psico-fisico dei singoli individui e si auto alimenta e sclerotizza nell'idea di una superiorità culturale occidentale radicalizzatasi nell'antitesi: "gli immigrati vengono in Europa perché nonostante tutto, nonostante la crisi, qui è comunque sempre meglio." Raccontando e discutendo delle nostre esperienze africane, (che consistono di viaggi, studi, esperienze lavorative in Africa Occidentale) quante volte abbiamo sentito questa sentenza, da persone tutt'altro che conservatrici e bigotte. L'aggrapparsi a questa falsa sicurezza, in maniera irrazionale, ci ha fatto riflettere e porre molte domande sulla percezione che abbiamo del continente africano.
Vorremo utilizzare la migrazione e l'arrivo costante dei migranti dal Nord Africa verso le coste europee del Mediterraneo, argomenti centrali del dibattito pubblico contemporaneo, come strumento per tentare di capire il rapporto tra l'Africa e l'Occidente.
In questo ambito, il dibattito pubblico si riduce alla dicotomia: soccorrere/non soccorrere, accogliere/non accogliere; e le cause di questo flusso migratorio sono confusamente ammucchiate: guerre, povertà, l'attrazione per l'Europa ricca e democratica. La nuova medicina per arginare il problema è la guerra ai trafficanti. Ancora una volta l'Occidente pragmatico e "realista" non vuole capire. Tentiamo di cambiare prospettiva prendendo ad esempio tre tra i paesi di provenienza dei migranti africani: Somalia, Senegal e Ghana.

La Somalia è un paese che dopo il drammatico periodo coloniale è stato in guerra con l'Etiopia per ben 9 anni e dal 1969 è caduto in una perpetua ed intermittente guerra civile che nonostante la nascita di uno stato centrale nel 2009 ancora oggi paga il conto di decenni di conflitti e scellerati interventi occidentali.

Il Senegal è uno dei paesi più stabili dell'Africa Occidentale. Conquista l'indipendenza dall'impero coloniale francese nel 1960. Ha un sistema elettivo democratico "alla occidentale" e non sono presenti gravi conflitti sociali. È un'apprezzata meta turistica.

Il Ghana è il primo paese africano ad aver conquistato l'indipendenza nel 1957. È dotato di un sistema elettorale democratico "alla occidentale", ricco di risorse naturali, è uno dei paesi che ha avuto un'impennata nel tasso di crescita del PIL stimato attorno al 7,9% (tra i più alti del mondo nel 2013). Nonostante questi dati roboanti e una speranza di vita attorno ai 65 (tra i più alti in Africa), rimane una forte disparità tra il sud più ricco e "occidentalizzato" e il nord rurale dell'area del Sahel.
rotte migratorie
Tratto da: Futuri contrabbandati: il pericoloso percorso dei migranti dall'Africa all'Europa,
A Research Report, Maggio 2014.

Tre paesi, tre realtà africane differenti, esempio di come non tutti i migranti siano in fuga da guerre, da persecuzioni religiose e/o politiche o dalla povertà che mangia i bambini (un recente "chiarimento" dell'Agenzia dell'ONU sulla differenza tra rifugiato e migrante: (http://www.unhcr.org/55df0e556.html). Senza considerare il razzismo più negativo e nichilista, tra le opinioni dominanti della civilissima Europa i migranti che meritano assistenza e soccorso hanno per definizione uno status di rifugiati, perseguitati o fuggiaschi. In alternativa chi non rientra nella categoria dei poveri sfigati, i cosiddetti "turisti del welfare", non meritano la carità e la sicurezza del benessere europeo. Queste in parole povere sono il sunto delle normative comunitarie in fatto di accoglienza. Abbiamo quindi da un lato i rifugiati, quelli che fuggono dalle guerre e dalla povertà e dall'altro i furbetti approfittatori, in sostanza persone (per lo più giovani o molto giovani) che vanno alla ricerca di un lavoro.

Vale la pena soffermarsi per un momento sul concetto di povertà africana la quale si abbina spesso a stereotipi iconografici alla Live Aid: bambini sottonutriti con le pance gonfie o simili orrori. Quell'iconografia che fa scoppiare il cuore di compassione, tanto sbandierata dalle rock star più caritatevoli e sfruttata dalla Banca Mondiale e dall'FMI per estendere l'economia liberista nel mondo "sottosviluppato". Ad uso e consumo di questo pericoloso stereotipo, quando si parla di povertà in termini assoluti, si utilizza ancora oggi come misura il reddito pro capite annuo. Questo indice di ricchezza/povertà ha storicamente dimostrato di essere inadatto a "misurare" il benessere e la ricchezza di un paese. Le ragioni sono molteplici, ma ci limitiamo ad elencarne tre:

a) Un calcolo medio del reddito dove le disparità sociali sono molto accentuate non indica la redistribuzione del reddito all'interno di un paese (pochi ricchi innalzano l'indice di ricchezza monetaria mentre la maggior parte della popolazione non dispone di denaro).

b) Quando il reddito pro capite è al di sotto del dollaro e mezzo al giorno, scatta l'equazione < 1,5 $ = fame e disperazione. Quest'equazione non tiene però in considerazione importantissimi aspetti sociali e culturali. In molte società soprattutto rurali dell'Africa esistono altri tipi di "ricchezze" (non monetarie) legate a strutture sociali tradizionali che si basano su modelli di sussistenza e di socializzazione del lavoro e dei beni. Questo tipo di strutture sociali e culturali sono la spina dorsale dell'Africa, sono la resistenza alla disgregazione portata dal neocolonialismo e dalla politica dissennata degli aiuti (a tal proposito vd. Detalmo Pirzio-Biroli: Rivoluzione Culturale Africana. 1979 Laterza).

c) In termini prettamente monetari quando si misura la povertà in reddito pro capite si utilizza il dollaro come unità di misura. Il dollaro ha valori molto diversi a seconda dei paesi e delle economie degli stessi. In parole povere se in Burkina Faso con un dollaro e mezzo si mangia un pasto, a New York non si compra neppure un biglietto della metro. Nonostante questi concetti non svelino niente di nuovo, rimane il problema con cui i media fanno uso e abuso del termine povertà, mai contestualizzato e utilizzato come concetto assoluto. Se non vivi come l'uomo Occidentale sei povero.

Se la provenienza dei migranti è così diversificata e le ragioni non sono sempre legate a situazioni drammatiche, cosa spinge flussi abbastanza importanti di persone ad intraprendere viaggi a volte di anni, rischiando la vita e spendendo cifre che a volte possono arrivare fino a 10.000 dollari?

Un cittadino dell'Unione Europea, può viaggiare nella maggior parte dei paesi del mondo senza troppi ostacoli (no visti, no vaccini...). Per poter andare in Ghana lo stesso cittadino europeo necessita di un biglietto aereo, di un visto che costa circa 50 euro (procedura che viene fatta anche tramite agenzie viaggi) e della vaccinazione contro la febbre gialla (obbligatoria). La richiesta di un visto (per altro rilasciato d'ufficio) e la vaccinazione sono vissuti come un fastidio.

Al contrario, un cittadino del Ghana/Senegal (o un altro paese africano) per potersi recare in Europa anche solo per turismo deve invece affrontare ben altre procedure. Facciamo alcuni esempi pratici. Per richiedere un visto d'ingresso in Italia bisogna presentare non solo l'estratto conto in banca, ma anche i documenti che dimostrino che si ha un lavoro fisso, oltre a pagare la tassa prevista per il rilascio del visto. Ecco l'elenco dei documenti richiesti:

• formulario per la domanda del visto d'ingresso
• fotografia recente in formato tessera
• documento di viaggio in corso di validità con scadenza superiore di almeno tre mesi a quella del visto richiesto
• titolo di viaggio di andata e ritorno (o prenotazione), ovvero la dimostrazione della disponibilità di mezzi di trasporto personali dimostrazione del possesso di mezzi economici di sostentamento, nella misura prevista dalla Direttiva del Ministero dell'Interno 1.3.2000
• documentazione giustificativa della propria condizione socio-professionale assicurazione sanitaria avente una copertura minima di €30.000 per le spese per il ricovero ospedaliero d'urgenza e le spese di rimpatrio, valida in tutta l'area Schengen
• disponibilità di un alloggio (prenotazione alberghiera, dichiarazione di ospitalità, dichiarazione di assunzione delle spese di alloggio da parte dell'invitante)

Accra, Ghana
Accra, Ghana, 2015. (Foto di Ekaterina Golovko)

Sorvoliamo sul fatto che una persona che risiede in un piccolo villaggio del nord del Ghana o di qualsiasi altra parte rurale del continente non abbia accesso ad un conto in banca e che quasi sicuramente non abbia un lavoro a contratto, poiché o è un contadino, un artigiano o lavora al mercato. Se magicamente riesce ad ottenere la documentazione richiesta non è assolutamente scontato che riesca ad ottenere un visto, anche solo per turismo.

Anzi, quasi sicuramente il visto non lo otterrà mai, poiché esiste comunque la discrezionalità del console nel rilascio dei visti, oltre alle quote d'ingressi assegnati dalle politiche in fatto d'immigrazione dei paesi della Comunità Europea. Esistono casi eclatanti di visti non rilasciati dall'Ambasciata Francese a politici maliani (http://malijet.com/la_societe_malienne_aujourdhui/interview_mali/132157-oumar-mariko-sur-son-affaire-de-visa-%C2%ABl%E2%80%99ambassadeur-de-france-au.html) o a artisti senegalesi invitati da istituzioni artistiche e culturali francesi (http://fr.globalvoicesonline.org/2013/06/25/148903/). Chiunque abbia qualche rapporto con un cittadino dell'ECOWAS (Economic Community Of West African States), è sicuramente a conoscenza che è molto difficile se non quasi impossibile ottenere un visto, anche avendo un invito da parte del cittadino dell'UE disposto a coprire le spese e dare alloggio. Proviamo per un attimo ad immaginare cosa succederebbe se i migranti africani arrivassero nella Comunità Europea con un normale visto, acquistando un normale biglietto aereo. Spenderebbero 600-800 euro per un volo, soldi che andrebbero alle compagnie aeree e non ai trafficanti. In questo modo la domanda di accessi illegali in Europa crollerebbe e i trafficanti non avrebbero più ragioni di esistere. Non ci sarebbe l'emergenza dei soccorsi e dell'accoglienza, con un notevole risparmio in termini economici e sociali. Detto questo si capisce che il problema sta nella non volontà di dare accesso legale ai migranti provenienti dall'Africa (e non solo) e non nelle semplici ricette populiste come quelle dei muri, delle guerre ai trafficanti, o dell'aiutiamoli a casa loro. In questo senso il dibattito pubblico deve necessariamente indirizzarsi verso una nuova politica nel rilascio dei visti.

Diamniadio, Senegal
Diamniadio (Rufisque), Senegal, 2015. (Foto di Ekaterina Golovko)

Nel romanzo di Eric Orsenna Madame Ba si racconta di un' anziana signora, cittadina del Mali, che deve compiere un viaggio in Francia alla ricerca di suo nipote di cui si sono perse le tracce. Madame Ba, così si chiama la signora, richiede una prima volta il visto che viene puntualmente rifiutato. A questo punto decide di scrivere una lettera al Presidente della Repubblica Francese per presentarsi e spiegare chi è perché la sua identità non rientra nelle caselle brevi del questionario. Non può rispondere alla domanda 'Nome e Cognome' senza parlare dei nonni e dei genitori, perché in Africa non esisteva l'individuo, bensì la collettività, la sua famiglia estesa e gli antenati i quali influenzavano lo scorrere della vita. Nonostante la storia di Madame Ba sia romanzata e resa volutamente grottesca, l'autore rende in maniera estremamente efficace la realtà di una cultura diversa da quella europea. La cultura che influenza l'esistenza, che ne determina l'agire nel presente, legata nel profondo del patrimonio del suo passato. L'agire di Madame Ba è assolutamente coerente alla sua cultura, ma fuori dagli schemi di fronte alla rigidità della burocrazia occidentale. Azioni illegali o sconsiderate per l'occidente possono essere invece assolutamente coerenti e sensate per altre culture. Ad esempio, non si può non considerare il fatto che gli spostamenti siano un'azione tipica delle società africane. È noto, anche a livello statistico, che le migrazioni all'interno del continente africano sono molto più numerose ed intense rispetto alle migrazioni verso altri continenti o l'Europa stessa. Esistono diversi studi che ne parlano, come quello di Alice Bellagamba (Migrazioni. Dalla parte dell'Africa. Altravista 2011). A proposito di spostamenti e culture è interessante raccontare di un fenomeno tipico delle zone rurali del Senegal, descritto da Cheikh Anta Diop nel suo studio diventato classico Afrique Noire précoloniale. Descrivendo gruppi sociali particolari nella vita economica delle società tradizionali menziona i navetânes, contadini maschi non sposati che per un tempo indeterminato (può essere una stagione delle piogge o più) partono, lasciando i loro villaggi verso zone più fertili alla ricerca di lavoro e fortuna per accumulare una base materiale che gli permetta di ritornare nel villaggio natale, sposarsi e sistemarsi definitivamente. Nell'era delle comunicazioni e degli spostamenti veloci e globali è più che comprensibile uno spostamento oltre il continente africano, verso zone ben più lontane (Europa o Nord America) alla ricerca di un miglior status economico.

Durante i nostri recenti soggiorni in Ghana, in Senegal e in Guinea abbiamo spesso sentito racconti di persone che più volte (anche con l'appoggio di amici europei che offrivano garanzie e alloggio) avevano tentato di ottenere il visto senza mai riuscirci. «Se vogliamo andare in Europa, dobbiamo per forza avere a che fare con i trafficanti.» Chi si occupa di organizzare questi spostamenti è molto attivo nelle aree rurali. Uno degli autori di questo articolo conduce una ricerca su una lingua della Guinea (Conakry) parlata nella zona della Guinea Marittima, la sotto-prefettura di Boké. Il centro principale in cui si parla questa lingua si chiama Monchon, un villaggio abbastanza grande con qualche migliaia di abitanti.

È sintomatico il fatto che in questo villaggio durante la recente epidemia di Ebola non siano mai arrivati medici o rappresentanti di nessuna delle organizzazioni internazionali o nazionali che si occupano di prevenzione, cura o sensibilizzazione su questa malattia. Erano e sono invece piuttosto frequenti le visite di persone che vendono i loro 'tour' in Europa via mare: prendi la barca e arrivi direttamente in Europa come fosse un passaggio magico verso un mondo migliore. Questo esempio testimonia quanto la rete dei trafficanti sia ben organizzata e arrivi tranquillamente nelle zone più remote dell'Africa Occidentale. In questo modo riescono anche ad 'ottenere' numerosi clienti dai paesi come Senegal e Ghana, menzionati prima, politicamente stabili e senza conflitti in atto. Possiamo affermare che la rete dei trafficanti sia direttamente legata alle politiche della fortezza Europa?
Se come abbiamo visto il viaggio verso nuove possibilità è un fattore profondamente culturale e se l'unico modo per intraprendere un viaggio in Europa è quello così detto della tratta, dietro questa necessità non si cela alcuna volontà di violazione di leggi, ma semplicemente un bisogno inalienabile di crearsi una vita. Le questioni dello status di illegalità e del diritto al sogno vengono trattati nel romanzo Americanah, best-seller internazionale della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie. Raccontando storie di migranti nigeriani tra Stati Uniti e Regno Unito l'autrice traccia percorsi possibili e tipici come quello di uno dei protagonisti del romanzo. Obinze, figlio di una professoressa di letteratura, parte per l'Inghilterra con un regolare visto. In Nigeria, Obinze è un privilegiato, ha studiato con profitto, è laureato, proviene da una famiglia molto agiata, non ha alle spalle né guerre, né malattie, né villaggi bruciati. Nonostante il suo status sociale in Nigeria, una volta scaduto il visto decide di rimanere in Inghilterra da clandestino: si procurerà documenti falsi e guadagnerà facendo lavori umili. Giunge poi il momento dell'incontro con una donna inglese con la quale inizia a convivere. In questo momento vengono al pettine alcuni aspetti che noi riteniamo molto importanti:

Alexa, e gli altri ospiti, e forse anche Giorgina, capivano tutti la fuga dalla guerra, dal tipo di povertà che distruggeva l'animo umano, ma non avrebbero capito il bisogno di scappare dall'opprimente letargia dell'assenza di scelta. Non avrebbero capito perché persone come lui, cresciute con cibo e acqua abbondanti ma impantanate nell'insoddisfazione, abituate fin dalla nascita a guardare altrove, da sempre convinte che la vita vera fosse altrove, ora fossero decide a fare cose pericolose, illegali, come partire; nessuno di loro moriva di fame, o subiva violenze, o veniva da villaggi bruciati, ma aveva semplicemente sete di scelte, di certezze.
(Traduzione dall'inglese: Andrea Sirotti, Einaudi 2014)

Fouta Djalon, Guinea
Fouta Djalon, Guinea, 2015. (Foto di Ekaterina Golovko)

È qui che il corto circuito interrompe le certezze del pensiero occidentale. Com'è possibile che un clandestino non sia in fuga da fame, persecuzioni e guerre? Perché un abitante del continente africano non ha diritto di sognare una vita diversa? Perché deve necessariamente fuggire e non può viaggiare come gli abitanti dei paesi più ricchi fanno abitualmente?

Sono forse queste alcune delle semplici e basilari domande che la cultura occidentale dovrebbe cominciare a porsi, per capire un po' più se stessa. Al di là delle proprie sicurezze, accettare la complessità, capire che l'Africa è un continente multiforme, né inferiore né superiore ad altri mondi. Provare ad immaginare che l'Africa non è solo un luogo incantevole o infernale, ma semplicemente un luogo dove è possibile avere una vita, al di là dei valori e della ricchezza dell'Occidente.

Ekaterina Golovko e Cristian Adamo

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