24 novembre 2016

L'emblema musivo tra Palestrina e Ravenna


La decorazione musiva fiorisce in varie realtà nel corso della storia, occupando un importante posto in tribuna tra le arti figurative. Le sue fattezze mutano a seconda del contesto in cui si colloca, ma grazie ai pregiati materiali utilizzati, molti modelli sono arrivati fino ai giorni nostri riportandoci un valido esempio di tecnica ornamentale.
La vasta gamma di cromie che compongono le superfici donano a chiese e palazzi un tocco elegante e di prestigio.

Le prime vere "opere d'arte" (anche se le civiltà sumeriche ed egizie hanno lasciato tracce di qualche conoscenza in materia di tecnica musiva) prendono forma tra le mani dei maestri grechi, in grado di abbellire gli ambienti dell'élite ellenica con opus tessellatum, dove ciottoli e pietre venivano incastonate armoniosamente su un fondo pavimentale in modo da creare un motivo figurato.


Le tessere utilizzate erano più robuste in quanto dovevano resistere al calpestio dei suoi "ospiti".

«La costruzione di un mosaico partiva dalla posa della sostruzione che si divideva in tre parti: lo Statumen, un letto di posa a conglomerato di ciottolosi; il Rudus, uno strato, composto da una miscela di calce, sabbia e mattoni sbriciolati,su cui poi veniva steso il Nucleus, un rivestimento fatto di stucco, sabbia e paglia, di spessore variabile, a sua volta destinato a essere ricoperto da una miscela di polvere di marmo. Quest'ultimo impasto veniva posato poco per volta, a seconda della parte di decorazione che l'artista voleva realizzare nell'arco della giornata; sulla superficie ancora umida era riportato il disegno del motivo da mosaicare (spesso colorato), un disegno preparatorio, sinopia, con tratti di ocra rossa disegnati sulla superficie ancora fresca (gli artigiani utilizzavano probabilmente cartoni o raccolte di modelli; si trattava generalmente di repertori, veri e propri album, dove erano riportati motivi decorativi, figure umane e animali, piuttosto che progetti generali o temi iconografici) sul quale venivano applicate le tessere con una sorta di cemento o con del mastice. Il pavimento a mosaico veniva eseguito generalmente al termine della costruzione dell'edificio, quando il suolo era livellato. In genere i materiali usati erano di provenienza locale. Le più antiche decorazioni a mosaico furono realizzate giustapponendo piccoli ciottoli di fiume o elementi cuneiformi di terracotta policroma.» * 

Dalla minuziosa e delicata figurazione delle colombe che si abbeverano sfiorando con le zampette l'elegante bordo di un kantharos (coppa di vino di epoca greca) di Soso di Pergamo, vediamo l'interesse da parte degli artefici del tempo nel trasporre le creazioni naturali su materiale tangibile. Pesci e uccelli venivano disposti in consonanza come se realmente si trovassero in cielo o in mare. Si preferiva utilizzare questa tipologia iconografica per la realizzazione pavimentale e non immagini di potere in quanto calpestarle sarebbe stato segno di mancanza di rispetto. Visto il particolare interesse per l'elemento acqua, piano piano si iniziò a decorare anche fontane e vasche.
Un imponente mosaico del III secolo d. C. circa arriva sotto i nostri occhi: è il mosaico nilotico di Palestrina, custodito nel museo archeologico della città. In esso il soggetto animale è molto presente. Coccodrilli ed elefanti ci confermano l'ambientazione egizia.


«Scoperto agli inizi del XVII sec., il grandioso mosaico policromo del Nilo costituiva in origine il pavimento dell'abside di un edificio che si affacciava sull'antica piazza del foro di Praeneste, la cosiddetta Aula Absidata. Esso rappresenta una grande carta geografica dell'Egitto in veduta prospettica, in cui è raffigurato il Nilo lungo il suo corso, dal territorio selvaggio della Nubia, popolata da pigmei cacciatori e da una grande varietà di animali coi nomi scritti in greco, all'Egitto interno dei grandi templi faraonici, fino alla costa mediterranea.» **

Il percorso si articola attraverso il Nilo che è il prediletto complice di animali e popoli che si lasciano cullare in questo flusso. In alto la natura è libera ed incontaminata ma adagio il fiume la "civilizza". Il porto di Alessandria accoglie alcune navi e un banchetto agreste è in pieno svolgimento vicino ad alcune opere architettoniche di stampo egiziano.


Il luogo di nascita di questo splendore era l'aula absidata del santuario dedicato alla Fortuna primigenia (dea del fato e della fertilità) di impianto monumentale e scenografico, immerso in un ambiente naturale. Quest'ultimo aspetto prendeva spunto dalle costruzioni ellenistiche orientali che si affacciavano sull'Egeo. La differenza da loro erano le tecniche edilizie utilizzate di carattere italico.
Dalle ultime righe della storiografia romana si può apprendere che durante l'età di Cesare ed Augusto la città di Ravenna divenne un gioiello arricchito dall'opus musivum (mosaico parietale che prevedeva l'utilizzo di tessere di vetro, madreperla e ceramica) che ricopriva le pareti di chiese e mausolei.
Nel 402 d.C. Onorio, primo imperatore dell'impero romano d'Occidente prese l'importante decisione di trasferire la propria sede di Potere a Ravenna. Galla Placidia, sua sorella, prese il comando della città. Guadagnò la fama di grande costruttrice e mecenate e fece edificare la chiesa di S. Giovanni.

«Figlia di Teodosio I Galla Placidia seguì a Ravenna il fratello Onorio divenuto imperatore d'Occidente. Morto Alarico, che l'aveva presa in ostaggio divenne la moglie di Ataulfo, il nuovo condottiero dei Visigoti. L'amore dello sposo le permise di essere elemento di avvicinamento tra barbari e romani. Assassinato Ataulfo, fu rimandata a Ravenna dove Onorio la dette in sposa al patrizio Costanzo. I due ebbero la dignità di augusti, cosa che permise al figlio Valentiniano III di succedere allo zio. Durante la minorità di Valentiniano, Galla resse il governo dell'Impero occidentale in un momento particolarmente delicato. Si dimostrò una donna forte di fronte alle avversità di ogni genere che il destino le riservò.» ***

In suo onore nel V secolo fu realizzato un mausoleo funerario ancora presente a Ravenna. Il regale ambiente interno decorato da mosaici dorati e azzurri si trova in forte contrasto con l'esterno semplice e in laterizio. La nobilissima non risulta sepolta lì, dove sono invece presenti alcune figurazioni dedicate ai Santi Vincenzo e Lorenzo.
Ritornano temi di animali sacri come nell'iconologia del Buon pastore che circondato dalle sue pecorelle si poggia sulla liturgica croce; in particolare ritroviamo la figura rappresentante colombe che si abbeverano alla fonte, ripreso da Soso di Pergamo. La colomba incarna lo spirito Santo e tutte le anima cristiane che simbolicamente si abbeverano alla grazia divina.


La volta si immerge in un cielo notturno cosparso di stelle dorate disposte circolarmente intorno ad una croce emblema del Signore. Proseguono senza una fine lungo i margini della cupola alludendo l'universo infinito.



*Il segno e il mito nei mosaici della provincia di Pesaro e Urbino a cura di Cecilia Cassano e Barbara Piermattei.
**descrizione del museo archeologico di Palestrina.
***Galla Placidia la Nobilissima 392-450 di Vito Antonio Sirago

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