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17 giugno 2013

La nuova psicologia: il metodo del dott. von Hirschhausen



Che senso ha oggi parlare di fortuna, o meglio di felicità? Siamo davvero una generazione felice? Siamo davvero felici di quello che siamo, di quello che facciamo e, soprattutto, cosa significa essere felici? Quando si è veramente felici? Ne esistono di così fortunate, o meglio, di così felici?

13 maggio 2013

Die schweigenden Wörtern: l’indicibile della storia

Paul Celan  Martin Heidegger 
 Paul Celan Martin Heidegger 

Della poesia del Novecento tratto saliente sono gli eventi terribili che segneranno la letteratura del XX secolo. Il male delle due guerre e di una politica che tenta di trovare il suo centro ideale tra dittature e comunismi è lo stesso male che culmina nei pogrom degli ebrei, quelli marchiati dal nome della città tedesca Auschwitz. In Germania, in Italia e in altri paesi, la questione del male, che richiama anche il filosofo Kant, resta taciuta fino a quando la parola di alcune vittime operare un'azione purificatrice e liberatoria del male subito dagli altri. Tra coloro che richiamarono alla memoria l'ombra silenziosa della morte, ricordiamo Primo Levi in Italia e Paul Celan la cui identificazione geografica e culturale appare particolare e paradigmatica. Celan è rumeno ma grazie alla madre approfondisce la lingua e la cultura tedesca, scrivendo così più tardi in pura lingua tedesca. Celan è un rumeno che scrive in tedesco ma, e qui sta l'eccezionalità della sua natura, Celan è anche ebreo, un ebreo che scriverà in tedesco il canto della morte, grido silente degli orrori dei campi di concentramento. Una delle sue poesie più drammatiche e asciutte nel risultato linguistico che ne consegue, è Welchen der Steine du hebst (Qualunque pietra tu alzi). 

14 maggio 2012

L’Amore liquido


Munch

Leggere l’opera di Bauman significa seguire un pensiero improntato alla riflessione critica su una società moderna che si scioglie, che diventa liquida e quindi non più “contenuta”, prevedibile e certa. 
Al principio l’uomo moderno ha saputo caratterizzarsi per la sua capacità di essere homo faber, capace di costruire da sé la sua fortuna, di essere l’egocentrico punto di tutte le sue energie in vista di un raggiungimento dei suoi obiettivi in linea con il suo spirito – spinto per lo più alla tracotanza. Ecco, dunque, l’uomo dell’epoca moderna che abbandona la sua patria alla ricerca di un benefit che costa in termini emozionali e affettivi, ma che al contempo lo soddisfa in termini economici e di status. Da homo faber a homo consumes. Le ondate migratorie iniziate con il boom industriale sono un tipico esempio di quella identità moderna che ha iniziato a delinearsi nei primi del ‘900 e che oggi si esprime in tutta la sua problematicità.

30 marzo 2012

Centocinquantuno: un compleanno scomodo

150 anni unità d'italia
Un anno dopo il centocinquantesimo anniversario dell'Unità, questa Italia continua a far parlare di sé. Con meno clamore, un po' in sordina, anche questo 17 marzo ha visto la nostra nazione compiere gli anni; benché stanca, la 'vecchia signora' resta pur sempre evergreen. Quale sarà mai la sua ricetta di bellezza? Mare, sole ed ironia quanto basta per non prendersi troppo sul serio.
Dopo le celebrazioni dell'anno passato, ampollose quanto populiste, cosa è rimasto della tanto sbandierata 'identità' italiana? E, in fondo, cos'è questa italianità che è stata protagonista dell'intero 2011, ospite sulla bocca di tutti ma mai descritta appieno?

26 dicembre 2011

Sud: declino ed identità

van gogh


Conosci tu la terra dove fioriscono i limoni,
gli aranci dorati rilucono fra le foglie scure,
una mite brezza spira dal cielo azzurro,
il mirto immoto resta e alto si erge l’alloro,
La conosci tu, forse?
J. W. Goethe, Conosci la terra dove fioriscono i limoni?


Che il Sud non lo si capisce se non te ne allontani né lo comprendi se in esso sei radicato, potrebbe forse essere una delle spiegazioni sul perché le immagini e descrizioni più belle e più reali del Sud siano state scritte da non appartenenti a questa cultura.


20 dicembre 2011

La morte di Godot e il pensiero calcolante. L'impotenza del pensiero nei tempi moderni


aspettando Godot

Se vi è un grande assente nei nostri giorni, è proprio il caso di dirlo, è l'assenza stessa. Ogni silenzio è riempito da vuote chiacchiere, dal suono della musica o da quello della televisione. Se oggi noi dobbiamo fare i conti un «ospite inquietante», per citare Heidegger, mancante al banchetto della cultura occidentale degli ultimi anni, é proprio l'assenza. Ogni posto vuoto è prontamente riempito, ogni silenzio stroncato, ogni necessità assecondata, ogni disturbo violentemente sradicato per non sentirne il dolore, l'impressione di un vuoto nello stomaco. 

2 novembre 2011

Due racconti di Alberto Savinio

Nel mondo c’era la Testa. Poi venne la Croce. Allora Testa e Croce si misero a giocare a testa e croce, e tutto il male viene da lì.Alberto Savinio, Occhio n. 6
Alberto Savinio, L'annunciazione
Alberto Savinio, L'annunciazione, 1932, coll. priv.

Avevo letto di Savinio solo una cosa, la raccolta di racconti Casa «la Vita», e già avevo ammirato la sua lingua pastosa, riccioluta, insolentemente inutile. Alberto Savinio ha sempre (ingiustamente) sofferto la “sindrome del fratello famoso” («Savinio?», «si, il fratello di De Chirico»). Non lo meritava, lui che aveva ideato col fratello la Metafisica e che aveva finito per non goderne la fama indaffarato com’era ad arrischiare nuove strade e nuove forme d’espressione e forse, come si vocifera, volontariamente oscurato dal fratello, col quale ruppe ogni rapporto dopo anni di benefici traffici artistici.

27 ottobre 2011

Jack Unterweger, lo scrittore serial killer


Jack Unterweger
Può la cultura redimere un criminale? E la detenzione poi riabilita davvero un individuo? Queste domande fanno parte di un dibattito che da anni divide le opinioni interne ad ogni paese: tra coloro che sostengono l'impossibilità di una “guarigione” dalla pulsione criminale e chi afferma il contrario. La vicenda di Johann Jack Unterweger sembra rappresentare proprio il condensato di questo dibattito...

2 settembre 2011

Il Risorgimento nascosto, storie e trame di una difficile unità

 risorgimento

Sono appena trascorsi 150 anni da quel 17 marzo 1861 quando il parlamento di Torino proclamava Vittorio Emanuele II Re d'Italia «per grazia di Dio e volontà della nazione». Una data che conosciamo dai banchi di scuola assieme alle guerre, agli accordi, alle battaglie e ai protagonisti del Risorgimento. Ma questa eroica epoca di patrioti e idealisti nasconde in fondo vicende meno edificanti, retroscena inattesi e misteriosi intrighi. Secondo autorevoli storici infatti, l'epopea risorgimentale va riscritta nei libri di scuola in toto perché l'Unità d'Italia non fu un episodio del tutto spontaneo come siamo abituati a credere, ma una convergenza di interessi e scaltre trame ordite da personaggi controversi.

14 luglio 2011

«Il cuore del nulla»: Manganelli stupratore di sillabe

Che gli uomini vivi e domestici, i glabri progressisti sappiano che colui che siede accanto in tram può cavare di tasca un rasoio e segargli la gola; e sarà un festoso fontanare di sangue sulle giacche degli immortali tramviari.“L’archimandrita dei demonofili al suo gregge”

Ti ucciderò mia capitale

Non ho alcun dubbio: se Dio esistesse scriverebbe come Giorgio Manganelli. O forse no. La sua devozione “religiosa” all’infinito repertorio di parole che custodisce e adopera come cosa sacra, e forse anche il suo sadico gusto nell’indugiare su violenze e meschinità lo fanno, forse, limitrofo al divino. Ma «il gran sordomuto eterno», come lo definì Carlo Dossi, forse mai si spingerebbe come lui negli altrimenti inviolati territori della letteratura italiana.

23 giugno 2011

L’ebreo errante dell’amore

kafka
Talora ho l'impressione che abbiamo una camera con due porte, l'una di fronte all'altra, e ognuno stringe la maniglia di una porta e basta un batter di ciglia dell'uno perché l'altro sia già dietro la sua porta e basta che il primo dica una sola parola e il secondo ha già certamente chiuso la porta dietro di sé e non si fa più vedere. Egli riaprirà, sì, la porta, perché si tratta di una camera che forse non si può lasciare. Se non fosse esattamente come il secondo, il primo starebbe tranquillo, preferirebbe, in apparenza, non guardare neanche verso il secondo, metterebbe lentamente in ordine la camera, quasi fosse una camera come qualunque altra, ma invece fa esattamente la stessa cosa presso la sua porta, talvolta persino tutti e due sono di là dalle porte e la bella camera è vuota. Di qui sorgono malintesi assillanti.Lettere a Milena, F. Kafka*

Egli è ebreo di cultura ed errante perché porta su di sé la croce della colpa della sua malvagità; nel senso di colpa egli si perde e di questo peso egli si macchia ogni volta che per suo volere erra nella malvagità di una solitudine personale che mai lo abbandona. Di questo male, di cui il mondo fuori ignora completamente l’esistenza ma di cui egli è sicuro, egli è vittima e carnefice al contempo. Nei luoghi sacri dell’amore egli si addentra per poi colpire non l’oggetto amato, bensì sé stesso. È questa colpa che cerca, è in questa colpa che incessantemente erra per perdersi o non perdersi affatto. Questa è la condizione di un uomo, Kafka, che seppe vivere attivamente nel verbo della parola scritta, muto, però, al confronto con ciò che diventava reale, con ciò che è più reale della vita: l’amore.
Manca un pezzo, un collegamento tra il mondo onirico estremamente individualizzato della condizione kafkiana e quello più tangibile e prosaico della «vita Activa» per citare la Arendt, anche lei ebrea, quella vita pratica dell’adulto che è tale perché ha abbandonato la dimensione fantastica del sogno-incubo. Secondo questa lettura Kafka dunque non avrebbe mai effettuato quel salto dalla età adolescenziale a quella adulta, restando un adulto che sogna.

13 maggio 2011

La lingua che noi siamo: Zagrebelsky


Sulla lingua del tempo presente

Attraverso un breve resoconto «Sulla lingua del tempo presente», Zagrebelsky riflette e fa riflettere su quanto la lingua possa essere molto più di un insieme di segni linguistici. Ci aiuta a comprendere la funzione che si nasconde dietro il mero atto naturale del parlare. Ecco, allora che il parlare non è più, solo, un portare qualcosa da dentro a fuori, ma al contrario è anche il processo opposto: si porta qualcosa di detto fuori, dentro di noi. Questo portare fuori verso la nostra interiorità può essere molto più di un processo passivo e improduttivo. Accogliere un significato linguistico al quale siamo sottoposti reiteratamente, cambia, lentamente, la coscienza individuale e, a seconda degli strumenti massmediatici utilizzati, quella di una intera comunità linguistica o, anche, della massa. Dal pensiero nasce la parola e quest’ultima rappresenta il pensiero, la capacità pensante di chi la porta fuori. Ma la parola può essere anche un’arma che in tempo di guerra può nascondere insidie ed essere inautentica, asservita a chi vuole asservire. Ma la parola è altresì la dimostrazione che si è liberi di esprimersi, sempre. 

Un grido composto, ma tagliente ed acuto, è dunque quello che proviene dalla sensibilità di uno dei più grandi interpreti della crisi dei nostri giorni, nonché costituzionalista di professione: Gustavo Zagrebelsky.

11 aprile 2011

Il teatro della verità di Marco Paolini

Marco Paolini


Attore, regista, drammaturgo, nicchia del nostro teatro Marco Paolini, autore e interprete di un repertorio che appartiene al cosiddetto teatro civile. Il suo teatro è capace di insegnare, far ridere fino alle lacrime e commuovere fino al silenzio.


4 aprile 2011

Michael Conradt: “La filosofia e la vita vera”

Dal convegno del 2.03.2011 presso l’Evangelische Akademie

Più volte il professor Conradt ha sottolineato, durante la presentazione, che la filosofia non è stata per lui una giustificazione esistenziale, un appiglio grazie al quale lenire personali insoddisfazioni o frustrazioni. La filosofia ha avuto un altro senso, un altro ruolo. Io non posso certamente contraddire le parole del professore ma è lecito chiedersi quale ruolo possa avere la filosofia per un uomo che intenda viverla appieno, se non quello totalizzante in grado di colmare quei vuoti esistenziali nei quali noi uomini sempre cadiamo. È difficile credere allo studio asettico di una materia che abbisogna dello stupore infantile di una parte dell’uomo che non può essere solleticata se non dall’incanto, dalla meraviglia scaturita dalla passione più pura. Come ogni cosa nella vita, tutto serve a salvare le nostre esistenze inaridite e fragili, e, forse, il più bel Deus ex Machina è offerto dall’incanto, dall’“amore del sapere” offerto, appunto, dalla filosofia.

6 marzo 2011

Il problema del nichilismo in Occidente: “Avere” ed “Essere”

Erich Fromm

Vivere appieno, assecondare le proprie tendenze in concomitanza con le proprie capacità è un processo naturale che stempera non solo lo stato di frustrazione al quale oggi noi tutti siamo soggetti, bensì amplifica il margine di umanità. Cosa significa? L’amplificazione del margine di umanità si ottiene vivendo non nella modalità dell'avere, bensì secondo quella dell'essere, per riprendere la nota dicotomia di Erich Fromm. Fondare la propria esperienza umana lasciandosi attraversare anche e per lo più da quei desideri innati, piaceri personali, che differenziano tra loro gli individui rendendo varia una codificazione umana oggi improntata alla spersonalizzazione dell’individuo, è il Weg, (il percorso, la via) sfida dell’uomo moderno.


26 febbraio 2011

Il problema del nichilismo in Occidente in rapporto al pensiero di Heidegger

Heidegger
Heidegger
Immaginiamo una scatola e l’aria che la contiene. La scatola è a noi visibile, la si può toccare e usare a proprio piacimento. Ecco, io definirei l’ente una scatola, e l’essere? L’essere è l’aria, quel nulla invisibile all’occhio umano che però la riempie, un vuoto pieno di significato che non può essere visto, semmai interiormente vissuto. 
Le righe che seguono sono una riflessione sulle scatole che noi siamo diventati, sull’aria che vi sta al loro interno e dunque è una riflessione sull’essere, il grande dimenticato.

4 febbraio 2011

Lo «strategismo» commerciale colpisce ancora

Luigi Alfonso Marra

P: L’essere infatti il mio chiodo fisso – o mio estenuante amore! – è consistito in nonso quanto tempo trascorso struggendomi nell’immaginare di guardarti negli occhi
nel mentre ti toccavo fra le gambe fino a vederti divenire madida di desiderio”
[…]P: Va bene rinunzio: parto. Ti ho tuttavia preso i libri, perché la mia condizione di
filosofo non mi consente gesti sfavorevoli alla crescita delle persone.
[…]P: Ho riletto tutti i nostri sms per cercare di trovarci quello che non riesco a capiredi te. Tra un sms e l’altro, o in risposta a questo o quello di essi, mancano
naturalmente le telefonate, le intere giornate trascorse a parlare in studio, gliincontri, amorosi e non, ma alla fine c’è tutto, e hanno rafforzato la mia convinzioneche il filo conduttore di fondo del tuo comportamento sia lo strategismo.
Abbiamo già scritto di Luigi Alfonso Marra e dell’ostracismo della sinistra di cui, secondo lui, sarebbe vittima. D’altronde, poverino, è anche vittima della sfortuna. Prima ha ingaggiato per la campagna pubblicitaria del sul libro Il labirinto femminile (edito da Omogeneitas1, cioè da se stesso) sua figlia; era stato criticato per la bruttezza dello spot e per il vago familismo mastelliano. Poi, sicuro di fare centro, aveva alzato il tiro ingaggiando Manuela Arcuri, ma lo spietato popolo di internet lo ha “massacrato”. Ha allora optato per un volto più rassicurante, quello da buon padre di famiglia di Lele Mora, ma pochi giorni dopo la messa in onda degli spot il noto manager è stato indagato per sfruttamento della prostituzione nel caso giudiziario che (quasi) tutti conosciamo. Adesso, con una scelta abilmente in bilico tra genialità warholiana e sciocchezza assoluta, il nostro ha ingaggiato Karima El Mahroug, meglio nota per taluni suoi frequentatori come Ruby Rubacuori.

3 febbraio 2011

L’amore carnale per una città in un capolavoro dimenticato di Dino Buzzati

Non date retta a chi decanta le gioie di una estate in città. Milano, senza i suoi abitanti, semplicemente non ha senso. Senza il viavai, senza le incazzature, i furgoncini degli artigiani in seconda fila e le macchine delle sciure che portano i figli all’asilo in terza, senza le polveri sottili, la metropolitana nelle ore di punta, senza gli impiegati e i mendicanti, senza tutto ciò, è come se perdesse la terza dimensione.
Gianni Biondillo, Per cosa si uccide
Dino Buzzati
Dino Buzzati
Un signore compito, educato. Un uomo perbene. Uno che viene dalla provincia, da buona famiglia e buone letture; colto ma non retorico, diretto, e in un certo senso “antiaccademico”, Buzzati era, soprattutto nel decennio dei sessanta, un “uomo d’altri tempi”.

18 gennaio 2011

La parola e lo spirito: il bipolarismo esistenziale nella filosofia di Ferdinand Ebner

Ferdinand Ebner

La parola è la corda tra l’ «Io» e il «Tu».Nella parola sta la ragione ed essa  parla alla ragione.La vera parola non è di questo mondo.Ma non è stato l’ amore a pronunciare la prima parola?Ferdinand Ebner, Das Wort ist der Weg

Ferdinand Ebner è presentato, primo che come scrittore e filosofo, come uomo “totale” e “puro”. Così egli viene presentato nella breve introduzione biografica allo scritto: Wort und Liebe, redatta da Hildegard Jone, che ha avuto il privilegio di conoscere il pensatore a lungo dimenticato, prima che morisse. Nella biografia del filosofo la vicenda familiare acquista un ruolo rilevante nella formazione psicologica e intellettuale del piccolo Ebner. Educato fortemente alla pietas di stampo religioso da un padre che diverrà una figura cruciale della sua esistenza, al quale sono dedicate anche delle poesie (ricordiamo ad esempio: Golgatha), Ebner perde due fratelli in tenerissima età e una sorella. Fassbinder, noto cineasta tedesco a metà tra il volgare e il sublime, come lo definirei io, ha affermato con grande semplicità quanto la famiglia sia il male e il bene più grande, imponente forza che plasma tratti caratteriali, forme di isteria latenti nell’uomo. Non solo la società nella quale l’individuo si trova come gettato, bensì il primissimo incontro con i diretti individui dell’entourage familiare giocano il ruolo di mandanti di tutte le nostre nevrosi, dei nostri nervi a pezzi. Io non lascerei emergere, nel caso Ebner, la sola esperienza che consta della morte prematura della sorella, di una educazione rigida e di un confronto col padre che tanto rimanda all’altro depresso della letteratura ebraica: Kafka. Piuttosto quei nervi a pezzi e la solitudine (Einsamkeit) legata alla costante pratica di sviscerazione esistenziale, fonte non solo di angosce e depressioni reteirate, ma di un vero malessere fisico, sono il risultato naturale appartenente a pochi, destino o privilegio di figure eccezionali. La depressione dinanzi a immagini primaverili, la non accettazione del proprio lavoro, del proprio destino e il caleidoscopico gioco di cui Ebner si nutre in ogni attimo della sua esistenza passata a vivere “tra” gli altri e non “accanto” agli altri, fanno di lui un uomo non comune, una interiorità che va ascoltata.


20 dicembre 2010

I sogni di un visionario chiamato Kant

Kant
Immanuel Kant

Immaginiamo un Kant precritica, dal tono ironico ma forse, in realtà, neanche troppo ironico direi piuttosto un tono falsamente ironico, nel caso in cui il lettore serio voglia alzare un polverone di critiche contro un filosofo serio che non si è certamente tirato indietro dinanzi alla possibilità di rispondere in modo semiserio - secondo me serissimo - alla lettera di Charlotte. Non è importante qui spiegare chi sia Charlotte, bensì è interessante notare come dalla storia da lei raccontata, scaturisca un pamphlet kantiano il quale, collocandosi prima delle Critiche, andrebbe considerato in certi suoi aspetti essenziali: questi sono quelle tematiche sulle quali si incentra la Critica della ragion pura e la Critica della ragion pratica, la questione dell’anima.