Visualizzazione post con etichetta LETTERATURA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta LETTERATURA. Mostra tutti i post

13 aprile 2016

Momenti di (non) trascurabile leggerezza

Se volessi scegliere un simbolo augurale per l'affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l'agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d'automobili arrugginite.
Italo Calvino, Lezioni americane

Momenti di trascurabile leggerezza


8 dicembre 2015

La perdita dell'innocenza

John F. Kennedy a Dallas poco prima di essere ucciso.

La perdita dell’innocenza è forse il peggiore shock a cui va incontro un qualsiasi essere umano quando vede crollare in pezzi la sua idea del mondo; come un adolescente chiamato bruscamente dalla vita, in circostanze tragiche, a diventare adulto.
Il 22 novembre 1963 gli americani bianchi (o meglio, buona parte di essi) di colpo diventarono adulti. Quel governo-padre in cui credevano ciecamente, che li aveva allevati al sole della Dichiarazione D’indipendenza e della Costituzione più libera del mondo, che li aveva teneramente risollevati dal crudele strapotere del demone Wall Street col grandioso New Deal roosveltiano, che aveva liberato il mondo dalla piovra Nazista e che ora proteggeva sotto le sue ali l’occidente libero dal mostro Comunista, aveva spazzato via in un solo colpo tutte le loro illusioni, o forse l’unica grande illusione, quella di sentirsi padroni del destino del loro grande paese.

15 luglio 2015

Grotowski: il teatro dell’effimero


Ricorre quest’anno il decimo anniversario della morte del regista teatrale polacco Jerzy Grotowski, forse l’ultimo grande riformatore della cultura teatrale, che fu così innovativa da trasformare l’idea stessa di teatro. Per il rigore della sua concezione teatrale, può essere considerato il riferimento più importante nella ricerca scientifica del secondo Novecento. Grotowski, che ha messo in discussione gli stessi presupposti della tradizione teatrale in Occidente, determinando una svolta teorica di grande importanza influenzando tutte le successive pratiche del teatro; l’evoluzione dell’approccio metodologico, il linguaggio sulla scena, il training dell’attore, il rapporto attore/pubblico, fino al superamento del concetto stesso di spettacolo in vista di una prospettiva più ampia dell’idea di performance, eliminando ogni diaframma tecnico tra attore e spettatore, riconducendo l’intera materia teatrale alla sola materia del corpo dell’attore:  «l’attore fa tutto: lo scenario e il clima, il tempo e lo spazio. È la nostra idea condotta alla forma estrema di “teatro povero”». 


20 febbraio 2015

Il peso della storia - Il grande quaderno (A. Kristóf, Trilogia della città di K., PT. I)



Nonostante una grande fluidità e un'apparente semplicità nelle sue prose, non è affatto scontato collocare un'autrice come Ágota Kristóf stabilmente all'interno di un qualsiasi panorama letterario, né da un punto di vista nazionale né in un'ottica rigorosamente stilistica. Nata in un remoto villaggio dell'Ungheria nordoccidentale nel '35, a soli 21 anni fugge in Svizzera durante l'assedio di Budapest da parte dell'Armata Rossa. Dopo aver attraversato il confine con l'Austria a piedi ed essere rocambolescamente giunta a Neuchâtel, la giovane scrittrice lavora per cinque anni in una fabbrica di orologi, periodo in cui inizia la stesura di dialoghi teatrali con l'intenzione di migliorare la sua conoscenza del francese. La fuga dall'Ungheria rappresenta un abbandono definitivo del proprio Paese natale e al contempo della lingua madre; tutti i suoi scritti dagli anni '70 in poi saranno difatti redatti in francese, scelta azzardata considerando la scarsa conoscenza del nuovo idioma (ammessa in prima persona dall'autrice stessa), ma che garantirà in seguito un vasto successo di pubblico e di critica. Saranno necessari ben trent'anni di pratica ad Ágota Kristóf per perfezionare la stesura in prosa in lingua francese e vedere finalmente pubblicato il suo primo romanzo, Le grand cahier (Il grande quaderno, edito in Italia da Guanda nel 1988 con il titolo di Quello che resta), che otterrà numerosi riconoscimenti e verrà tradotto in oltre trenta lingue. Si tratta del primo volume della cosiddetta Trilogia della città di K., pubblicata in un unico volume dalla Einaudi e giunta l'anno scorso alla quarta ristampa.

12 novembre 2014

La Venezia eterna secondo Brodskij

Iosif Brodskij

Quando Iosif Brodskij lascia l'Unione Sovietica nel giugno del 1972, fuggendo da una censura nei suoi confronti sempre più opprimente, opta per un breve soggiorno in Europa, precisamente a Vienna, dove grazie alla complicità di W. H. Auden riesce ad ottenere un posto presso la University of Michigan. Appena cinque mesi dopo il suo approdo negli States il giovane scrittore si trova nuovamente in Europa, stavolta sulle sponde dell'Adriatico, attratto da qualche reminiscenza di letture di Henry de Régnier e da una serie di dodici datate cartoline color seppia appartenenti alla nonna di una sua amante che ritraevano una città meravigliosa, avvolta da una densa atmosfera invernale, estremamente intrigante e vagamente somigliante alla sua San Pietroburgo. Quel luogo era Venezia, e nel freddo Natale del 1972, mettendo piede nella città che più di tutte amerà, il visitatore ricorda con un tono enigmatico che «molte lune fa il dollaro era a quota 870 e io ero a quota 32. Il globo era anch'esso più leggero – due miliardi di anime in meno – e il bar della Stazione, in quella gelida sera di dicembre, era deserto». A dispetto del traumatico primo impatto con la città lagunare Brodskij vi si recherà con una certa assiduità nel corso dei successivi diciassette anni; e proprio nel 1989, due anni dopo l'assegnazione del Nobel per la Letteratura all'autore russo, il Consorzio Venezia Nuova commissiona la stesura di un'opera in qualche modo celebrativa e definitiva sulla Serenissima.

9 novembre 2014

Quando si moriva di sudore

Henry Brandon
Henry Brandon, duca ereditario del Suffolk, morto, nel 1551, per la malattia


Decimò la popolazione di Oxford e dimezzò la popolazione di Cambridge. Colpì duramente Londra, tanto da obbligare la corte a sciogliersi ed Enrico VIII a fuggire. Dilagò in Germania, Irlanda, Scozia, Galles, Danimarca, Svezia e Norvegia, per poi colpire l'Europa orientale. Uccise il principe di Galles, baroni, lord sindaci, assessori, sceriffi, risparmiando solo neonati e bambini. Peste? Colera? Niente di tutto questo.
Tra il 1485 e il 1551 impazzava, in Europa, una nuova epidemia, i cui sintomi erano brividi, capogiri, mal di testa, ed infine un'incredibile sudorazione. Nessuna cura, nessun rimedio nell'Europa del tempo, un'incredibile tasso di mortalità e una terrificante caratteristica: generalmente dopo un solo giorno, ed uno soltanto, il malato si ritrovava già cadavere.


14 ottobre 2014

Uno Sciascia inedito e postmoderno: 1912+1


Leonardo Sciascia

Nella storia della letteratura ci sono alcuni scrittori la cui fama è destinata ad essere perennemente legata all'opera che li ha resi celebri: si prenda ad esempio Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa, o I promessi sposi del Manzoni, spesso e volentieri inglobati da una tradizione didattica che etichetta e cataloga testi e autori i cui sforzi pare possano essere riassunti da un solo titolo. Tra questi certamente si trova anche Leonardo Sciascia, acclamato autore de Il giorno della civetta, indiscusso capolavoro della letteratura italiana, capace di muoversi in maniera sottile tra le ardite trame del potere istituzionale e non, inaugurando una stagione del giallo che in Italia mai prima di allora aveva realmente trovato un terreno fertile. Non un giallo qualunque né un semplice romanzo di mafia: l'intento di denuncia e la tensione morale lo rendono al contempo accessibile e complesso, drammatico ma quanto mai attuale. Tuttavia sarebbe un grave errore – nel caso di Sciascia e degli autori di cui prima – ridurre un'intensa carriera a un genere, ancor più a un testo per quanto rappresentativo o influente.

13 ottobre 2014

Agorà in gloria: Festival filosofia 2014


Festival filosofia

Pensiamo alla gloria, che significato si da oggi a questa parola? Si pensa alla gloria e ci perdiamo tra immagini di politici potenti, personaggi famosi e ingloriosi e forse a qualche partecipante del “Big Brother”, dimenticando, ingloriosamente, che la luce della gloria si irradia dai corpi e dalle menti capaci di grandi azioni, di grandi opere, di cose grandi.


5 ottobre 2014

La leggenda dell'Ourang Medan


Ourang Medan
Ricostruzione dell'Ourang Medan

Prendiamo una nave: non so, l'Ourang Medan, per esempio, mercantile olandese in viaggio per l'arcipelago indonesiano intorno al 1947. 
Ed ora, ricamiamoci intorno una storia, di questo tipo: due navi americane, la Città di Baltimora e la Silver Star, approcciandosi all'isola di Malacca, intercettano il segnale di richiesta di soccorso di questa grande nave mercantile; equipaggio stimato: 200 persone.

15 settembre 2014

Un Leopardi inaspettato

Giacomo Leopardi

Quando studiavo Giacomo Leopardi a scuola così come qualsiasi scrittore che ci veniva imposto dai programmi annuali, scattava negli studenti un inguaribile sentimento di ripulsa ma anche un'aura di vacua sacralità che quel figurativo mausoleo di parole ci proiettava. Io in realtà trovavo affascinante la letteratura, forse per una predisposizione naturale alle materie umanistiche o forse perché la riflessione sulla vita mi ha sempre interessato. Tuttavia ricordo i commenti in merito alla vita dell'autore e all'interpretazione delle opere; la sua sembrava più che altro la pedante immagine di un individuo che invece di vivere una vita normale si dedicava "barbosamente" alla letteratura. Ciò che ignoravamo era l'idea che ogni scrittore avesse un lato umano ben più reale di come ce lo potessimo immaginare. Sarebbe bastata la lettura saltuaria di una lettera o uno scritto secondario per scoprire un Leopardi diverso, grazie ad espressioni in un linguaggio comune scevro dalle retoriche letterarie e per questo molto più vero.

27 marzo 2014

Il “veleno” e la donna nella letteratura scandinava: Tove Ditlevsen

Tove Ditlevsen

La chiamano letteratura delle donne, che significa, forse, "per" le donne e viene attentamente distaccata da quella più regolare fatta dagli uomini rivolta a tutti gli uomini. Quella delle donne no, non può che puntare alle donne per le vicende prettamente femminili come i sussulti emotivi che le animano. Letteratura da donna per le donne. Oppure no. Perché se con il sostantivo “uomini” si intende globalmente tutti gli esseri umani di ambo i sessi, per le donne è diverso sempre, anche nella lingua, eppure il sentimento che si agita nell'animo di una donna è il primigenio soffio di una forza naturale che non può che scegliere la vita, la passione, anche a costo di assoggettarsi allo spiacevole qualificazione di “femminuccia”. Siamo tutti, intendo uomini e donne, siamo tutti donne nei sentimenti, al di là della facciata mascolina alla quale oggi ci abituano modelli di sessi vincenti e forti, la debole forza femminile è tacita in ogni essere umano. La chiamano letteratura da donna, per le donne ma forse questo è il solo modo di definire una letteratura schiava del mito del superamento del maschilismo.

25 marzo 2014

Ipotesi filologica su un’epigrafe di Brancati


La donna sarebbe più affascinante se si potesse cadere fra le
sue braccia senza cadere nelle sue mani.
Ambrose Bierce

Quand’ero giovane davvero – e il termine “giovane” non era ancora diventato un eufemismo politicamente corretto di “fallito” – in casa mia non c’erano molti libri. Avrei tanto voluto, ma la mia non è mai stata una di quelle famiglie nelle quali padri e figli si scambiano commenti sull’ultimo volume della Recherche letto. Proprio no.

Il bell’Antonio

5 febbraio 2014

Simone Weil e la condizione umana

Simone Weil


«[...] Ci si può chiedere se esista un àmbito della vita pubblica o privata dove le sorgenti stesse dell'attività e della speranza non siano avvelenate dalle condizioni nelle quali viviamo. Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utili, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve di un posto.»
Parole eterne e nella loro fulminea attualità sembrano risuonare come un accorato intervento, nei meandri del pensiero di ognuno di noi. Vita pubblica e privata, critica secca alla condizione del lavoratore. Leggendo oltre, un ulteriore attualissimo intervento recita così:
«Infine la vita familiare è diventata solo ansietà, a partire dal momento in cui la società si è chiusa ai giovani. Proprio quella generazione per la quale l'attesa febbrile dell'avvenire costituisce la vita intera vegeta in tutto il mondo con la consapevolezza di non aver alcun posto nel nostro universo. [...] Viviamo in un'epoca priva di avvenire. L'attesa di ciò che verrà non è più speranza, ma angoscia».

Le riflessioni sopra riportate non sono state scandite da un attivista dei giorni nostri, né da un politico con particolari doti da oratore, né da un comunista di nuova generazione: sono parole sparse nelle Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale, non di un autore, bensì di un'autrice francese, Simone Weil, insegnante di professione, operaia per scelta e filosofa di vocazione.

14 gennaio 2014

Immagini di una Sicilia dimenticata

Santa Lucia di Mendola
Ipogeo di Santa Lucia di Mendola

Non è certamente un'epoca florida per i beni culturali in Italia, se persino le case di Pompei crollano nell'incuria, figuriamoci per quei siti che il tempo ha condotto all'oblio... La Sicilia non è da meno in tutto ciò, anzi in alcuni casi estremizza questo fenomeno per colpa di un'acuta insensibilità verso il passato che colpisce i cittadini in primis e conseguentemente gli amministratori responsabili.

22 dicembre 2013

Il "Manuale" di Coelho


Manuale del guerriero della luce

Un prologo fantasioso il cui personaggio è un bambino richiamato alla vita dal desiderio di udire campane infondo al mare, non può che accompagnare il lettore sino a dentro una favola che parla all'animo. Come tornare piccoli, la grande storia di un giovane guerriero fa tornare l'uomo moderno alla sua natura originaria fatta di sogni e magie, di desideri che contornano un cammino chiamato crescita. Un prologo che reca in sé già il finale di questo cammino, è più di un prologo e meno di una storia: è anch'esso intriso di significato. Se si potesse leggere senza tenere aperti gli occhi il lettore si sentirebbe certamente oltre questo mondo, eppure in esso, per combatterci alla maniera del guerriero della luce.

25 settembre 2013

Il Monopoly comunista e la democrazia di cartone



Se si pensa alle forme di governo sperimentate dall'uomo fino ad oggi non ci sarebbero dubbi nel far confluire la risposta nei due grandi tentativi a riguardo, si parlerebbe di dittatura fascista o di comunismo, forma di dittatura egualitaria. La risposta non comprende la democrazia, forma moderna della maggior parte dei paesi di governo occidentali, il cui successo si alterna alle ombre oramai non più così oscure, che gettano in crisi l'intero costrutto del sistema democratico.

17 giugno 2013

La nuova psicologia: il metodo del dott. von Hirschhausen



Che senso ha oggi parlare di fortuna, o meglio di felicità? Siamo davvero una generazione felice? Siamo davvero felici di quello che siamo, di quello che facciamo e, soprattutto, cosa significa essere felici? Quando si è veramente felici? Ne esistono di così fortunate, o meglio, di così felici?

13 maggio 2013

Die schweigenden Wörtern: l’indicibile della storia

Paul Celan  Martin Heidegger 
 Paul Celan Martin Heidegger 

Della poesia del Novecento tratto saliente sono gli eventi terribili che segneranno la letteratura del XX secolo. Il male delle due guerre e di una politica che tenta di trovare il suo centro ideale tra dittature e comunismi è lo stesso male che culmina nei pogrom degli ebrei, quelli marchiati dal nome della città tedesca Auschwitz. In Germania, in Italia e in altri paesi, la questione del male, che richiama anche il filosofo Kant, resta taciuta fino a quando la parola di alcune vittime operare un'azione purificatrice e liberatoria del male subito dagli altri. Tra coloro che richiamarono alla memoria l'ombra silenziosa della morte, ricordiamo Primo Levi in Italia e Paul Celan la cui identificazione geografica e culturale appare particolare e paradigmatica. Celan è rumeno ma grazie alla madre approfondisce la lingua e la cultura tedesca, scrivendo così più tardi in pura lingua tedesca. Celan è un rumeno che scrive in tedesco ma, e qui sta l'eccezionalità della sua natura, Celan è anche ebreo, un ebreo che scriverà in tedesco il canto della morte, grido silente degli orrori dei campi di concentramento. Una delle sue poesie più drammatiche e asciutte nel risultato linguistico che ne consegue, è Welchen der Steine du hebst (Qualunque pietra tu alzi). 

14 maggio 2012

L’Amore liquido


Munch

Leggere l’opera di Bauman significa seguire un pensiero improntato alla riflessione critica su una società moderna che si scioglie, che diventa liquida e quindi non più “contenuta”, prevedibile e certa. 
Al principio l’uomo moderno ha saputo caratterizzarsi per la sua capacità di essere homo faber, capace di costruire da sé la sua fortuna, di essere l’egocentrico punto di tutte le sue energie in vista di un raggiungimento dei suoi obiettivi in linea con il suo spirito – spinto per lo più alla tracotanza. Ecco, dunque, l’uomo dell’epoca moderna che abbandona la sua patria alla ricerca di un benefit che costa in termini emozionali e affettivi, ma che al contempo lo soddisfa in termini economici e di status. Da homo faber a homo consumes. Le ondate migratorie iniziate con il boom industriale sono un tipico esempio di quella identità moderna che ha iniziato a delinearsi nei primi del ‘900 e che oggi si esprime in tutta la sua problematicità.

30 marzo 2012

Centocinquantuno: un compleanno scomodo

150 anni unità d'italia
Un anno dopo il centocinquantesimo anniversario dell'Unità, questa Italia continua a far parlare di sé. Con meno clamore, un po' in sordina, anche questo 17 marzo ha visto la nostra nazione compiere gli anni; benché stanca, la 'vecchia signora' resta pur sempre evergreen. Quale sarà mai la sua ricetta di bellezza? Mare, sole ed ironia quanto basta per non prendersi troppo sul serio.
Dopo le celebrazioni dell'anno passato, ampollose quanto populiste, cosa è rimasto della tanto sbandierata 'identità' italiana? E, in fondo, cos'è questa italianità che è stata protagonista dell'intero 2011, ospite sulla bocca di tutti ma mai descritta appieno?