Ammettiamo che ci piace avere un aspetto pulito, fuori, mentre siamo sporchi dentro. Ammettiamo pure che ci siamo venduti abbastanza bene e che abbastanza bene mentiamo in un costante sogno di appagamento insensato. Dovremmo ora ammettere che siamo niente e che di questo niente ci nutriamo, ammettere che ci piace e che ci fa stare male. Benvenuti agli Afterhours, gruppo milanese venuto in soccorso di una generazione – quella degli anni '80 – che ha poi passato lo stesso niente alla successiva. Benvenuti agli Afterhours, perché non avremmo potuto trovare punizione più sincera e misera, così poco scontata e così putrida nei testi da farci vergognare di aver parlato di Dio per tutto questo tempo. Il vero «male» è il «miele», il dolce sapore della miseria quotidiana alla quale – ci hanno – ci siamo abituati, mentre la vera salvezza è il niente, che l'abitudine ci ha tolto. Odiamo gli Afterhours perché, dicono, non hanno gusto, non hanno più sapore, camminano sull'acqua come Cristo e poi dicono che «nulla c'è». Muoiono sani e salvi e restano sospesi e fermi aspettando, sperando, che ci sia «quello che non c'è», verità del niente.