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12 novembre 2014

La Venezia eterna secondo Brodskij

Iosif Brodskij

Quando Iosif Brodskij lascia l'Unione Sovietica nel giugno del 1972, fuggendo da una censura nei suoi confronti sempre più opprimente, opta per un breve soggiorno in Europa, precisamente a Vienna, dove grazie alla complicità di W. H. Auden riesce ad ottenere un posto presso la University of Michigan. Appena cinque mesi dopo il suo approdo negli States il giovane scrittore si trova nuovamente in Europa, stavolta sulle sponde dell'Adriatico, attratto da qualche reminiscenza di letture di Henry de Régnier e da una serie di dodici datate cartoline color seppia appartenenti alla nonna di una sua amante che ritraevano una città meravigliosa, avvolta da una densa atmosfera invernale, estremamente intrigante e vagamente somigliante alla sua San Pietroburgo. Quel luogo era Venezia, e nel freddo Natale del 1972, mettendo piede nella città che più di tutte amerà, il visitatore ricorda con un tono enigmatico che «molte lune fa il dollaro era a quota 870 e io ero a quota 32. Il globo era anch'esso più leggero – due miliardi di anime in meno – e il bar della Stazione, in quella gelida sera di dicembre, era deserto». A dispetto del traumatico primo impatto con la città lagunare Brodskij vi si recherà con una certa assiduità nel corso dei successivi diciassette anni; e proprio nel 1989, due anni dopo l'assegnazione del Nobel per la Letteratura all'autore russo, il Consorzio Venezia Nuova commissiona la stesura di un'opera in qualche modo celebrativa e definitiva sulla Serenissima.

15 settembre 2014

Un Leopardi inaspettato

Giacomo Leopardi

Quando studiavo Giacomo Leopardi a scuola così come qualsiasi scrittore che ci veniva imposto dai programmi annuali, scattava negli studenti un inguaribile sentimento di ripulsa ma anche un'aura di vacua sacralità che quel figurativo mausoleo di parole ci proiettava. Io in realtà trovavo affascinante la letteratura, forse per una predisposizione naturale alle materie umanistiche o forse perché la riflessione sulla vita mi ha sempre interessato. Tuttavia ricordo i commenti in merito alla vita dell'autore e all'interpretazione delle opere; la sua sembrava più che altro la pedante immagine di un individuo che invece di vivere una vita normale si dedicava "barbosamente" alla letteratura. Ciò che ignoravamo era l'idea che ogni scrittore avesse un lato umano ben più reale di come ce lo potessimo immaginare. Sarebbe bastata la lettura saltuaria di una lettera o uno scritto secondario per scoprire un Leopardi diverso, grazie ad espressioni in un linguaggio comune scevro dalle retoriche letterarie e per questo molto più vero.

27 marzo 2014

Il “veleno” e la donna nella letteratura scandinava: Tove Ditlevsen

Tove Ditlevsen

La chiamano letteratura delle donne, che significa, forse, "per" le donne e viene attentamente distaccata da quella più regolare fatta dagli uomini rivolta a tutti gli uomini. Quella delle donne no, non può che puntare alle donne per le vicende prettamente femminili come i sussulti emotivi che le animano. Letteratura da donna per le donne. Oppure no. Perché se con il sostantivo “uomini” si intende globalmente tutti gli esseri umani di ambo i sessi, per le donne è diverso sempre, anche nella lingua, eppure il sentimento che si agita nell'animo di una donna è il primigenio soffio di una forza naturale che non può che scegliere la vita, la passione, anche a costo di assoggettarsi allo spiacevole qualificazione di “femminuccia”. Siamo tutti, intendo uomini e donne, siamo tutti donne nei sentimenti, al di là della facciata mascolina alla quale oggi ci abituano modelli di sessi vincenti e forti, la debole forza femminile è tacita in ogni essere umano. La chiamano letteratura da donna, per le donne ma forse questo è il solo modo di definire una letteratura schiava del mito del superamento del maschilismo.

25 marzo 2014

Ipotesi filologica su un’epigrafe di Brancati


La donna sarebbe più affascinante se si potesse cadere fra le
sue braccia senza cadere nelle sue mani.
Ambrose Bierce

Quand’ero giovane davvero – e il termine “giovane” non era ancora diventato un eufemismo politicamente corretto di “fallito” – in casa mia non c’erano molti libri. Avrei tanto voluto, ma la mia non è mai stata una di quelle famiglie nelle quali padri e figli si scambiano commenti sull’ultimo volume della Recherche letto. Proprio no.

Il bell’Antonio

2 novembre 2011

Due racconti di Alberto Savinio

Nel mondo c’era la Testa. Poi venne la Croce. Allora Testa e Croce si misero a giocare a testa e croce, e tutto il male viene da lì.Alberto Savinio, Occhio n. 6
Alberto Savinio, L'annunciazione
Alberto Savinio, L'annunciazione, 1932, coll. priv.

Avevo letto di Savinio solo una cosa, la raccolta di racconti Casa «la Vita», e già avevo ammirato la sua lingua pastosa, riccioluta, insolentemente inutile. Alberto Savinio ha sempre (ingiustamente) sofferto la “sindrome del fratello famoso” («Savinio?», «si, il fratello di De Chirico»). Non lo meritava, lui che aveva ideato col fratello la Metafisica e che aveva finito per non goderne la fama indaffarato com’era ad arrischiare nuove strade e nuove forme d’espressione e forse, come si vocifera, volontariamente oscurato dal fratello, col quale ruppe ogni rapporto dopo anni di benefici traffici artistici.

27 ottobre 2011

Jack Unterweger, lo scrittore serial killer


Jack Unterweger
Può la cultura redimere un criminale? E la detenzione poi riabilita davvero un individuo? Queste domande fanno parte di un dibattito che da anni divide le opinioni interne ad ogni paese: tra coloro che sostengono l'impossibilità di una “guarigione” dalla pulsione criminale e chi afferma il contrario. La vicenda di Johann Jack Unterweger sembra rappresentare proprio il condensato di questo dibattito...

23 giugno 2011

L’ebreo errante dell’amore

kafka
Talora ho l'impressione che abbiamo una camera con due porte, l'una di fronte all'altra, e ognuno stringe la maniglia di una porta e basta un batter di ciglia dell'uno perché l'altro sia già dietro la sua porta e basta che il primo dica una sola parola e il secondo ha già certamente chiuso la porta dietro di sé e non si fa più vedere. Egli riaprirà, sì, la porta, perché si tratta di una camera che forse non si può lasciare. Se non fosse esattamente come il secondo, il primo starebbe tranquillo, preferirebbe, in apparenza, non guardare neanche verso il secondo, metterebbe lentamente in ordine la camera, quasi fosse una camera come qualunque altra, ma invece fa esattamente la stessa cosa presso la sua porta, talvolta persino tutti e due sono di là dalle porte e la bella camera è vuota. Di qui sorgono malintesi assillanti.Lettere a Milena, F. Kafka*

Egli è ebreo di cultura ed errante perché porta su di sé la croce della colpa della sua malvagità; nel senso di colpa egli si perde e di questo peso egli si macchia ogni volta che per suo volere erra nella malvagità di una solitudine personale che mai lo abbandona. Di questo male, di cui il mondo fuori ignora completamente l’esistenza ma di cui egli è sicuro, egli è vittima e carnefice al contempo. Nei luoghi sacri dell’amore egli si addentra per poi colpire non l’oggetto amato, bensì sé stesso. È questa colpa che cerca, è in questa colpa che incessantemente erra per perdersi o non perdersi affatto. Questa è la condizione di un uomo, Kafka, che seppe vivere attivamente nel verbo della parola scritta, muto, però, al confronto con ciò che diventava reale, con ciò che è più reale della vita: l’amore.
Manca un pezzo, un collegamento tra il mondo onirico estremamente individualizzato della condizione kafkiana e quello più tangibile e prosaico della «vita Activa» per citare la Arendt, anche lei ebrea, quella vita pratica dell’adulto che è tale perché ha abbandonato la dimensione fantastica del sogno-incubo. Secondo questa lettura Kafka dunque non avrebbe mai effettuato quel salto dalla età adolescenziale a quella adulta, restando un adulto che sogna.

27 giugno 2010

«Un mucchio di libri, un mucchio di sogni e un mucchio di fica». La vita secondo Henry Miller

Henry Miller
Se governassi io il mondo, imporrei alle persone creative una dieta a pane ed acqua; agli ottusi darei da mangiare e da bere a sazietà. Li avvelenerei soddisfacendone i desideri. Il cibo è un veleno per lo spirito, non placa la fame. Il cibo, sia esso sessuale o d'altro genere, placa soltanto gli appetiti. La fame è tutta un'altra cosa: nulla può placarla. La fame è il barometro dell’anima.Henry Miller, Sexus

2 marzo 2010

Intervista a Massimo Carlotto


Massimo Carlotto

La vita di Massimo Carlotto ha dell’incredibile. A diciannove anni, militante di Lotta Continua, casualmente scopre un omicidio e denuncia il fatto ai carabinieri. Viene imputato di omicidio e condannato a 18 anni di carcere. Fugge prima in Francia e poi in Messico, e dopo tre anni di latitanza viene catturato e riportato in Italia. Dopo innumerevoli vicissitudini c’è però un lieto fine, difatti il Presidente Oscar Luigi Scalfaro gli concede la grazia. La sua carriera di scrittore inizia con la pubblicazione de Il fuggiasco che riprende a piene mani la sua esperienza di latitante. Da allora ha pubblicato moltissimi libri e ricevuto importanti premi e riconoscimenti. Attualmente rappresenta uno dei più importanti scrittori europei del genere noir.

2 ottobre 2009

Il diario dei Goncourt ovvero le avventure erotiche dei grandi scrittori

Edmond e Jules de Goncourt
Edmond e Jules de Goncourt
Il 2 dicembre 1851 i fratelli Edmond e Jules de Goncourt iniziarono a scrivere un diario di memorie, dialoghi e riflessioni sulla vita dei parigini. Dopo la pubblicazione dei romanzi Renée Mauperin e Germinie Lacerteux, i due scrittori acquisirono una certa fama tanto da divenire ospiti fissi di salotti e vernissage. Essi così riferirono migliaia di aneddoti e confidenze su scrittori, artisti e nobili. Il Journal infatti è un’opera monumentale, portata a termine da Edmond de Goncourt nel 1896 (anno della sua morte), dopo la prematura scomparsa di Jules nel 1870.

22 luglio 2009

Una dozzina di idee per cambiare l’editoria

raccolta XII
La copertina della raccolta XII

Sul finire del 2006 lessi casualmente un articolo che annunciava la nascita di una nuova forma di editoria on-demand chiamata Lulu. Lulu era, ed è tutt’ora, un sito che consente di stampare e vendere online la propria opera scegliendo proprio tutto, dalla copertina all’impaginazione sino al prezzo di copertina… Tutto ciò senza essere sottoposto ad alcun giudizio degli editor e senza alcun obbligo di spesa. In pratica è possibile ordinare anche una singola copia del proprio libro o magari una decina di copie da distribuire ad amici e conoscenti: una piccola rivoluzione nell’editoria. Come molti già sanno infatti le strade usuali per pubblicare un libro in Italia sono piene di difficoltà e tranelli; non è poi così difficile trovare piccole case editrici disposte a pubblicare l’opera di uno sconosciuto, non sempre perché credano nelle capacità dell’autore, in quanto l’editore avanza abitualmente una richiesta: garantire l’acquisto di almeno un certo numero di copie. Ciò si traduce in un costo di svariate centinaia di euro per l’autore e una pila di libri da dover vendere ad ogni costo. Sicché il risultato finale è che l’editore non perde economicamente nulla, mentre l’autore al più, recupererà una minima parte delle spese. Per questa ragione, tolte realisticamente le chance di un contratto milionario con la Mondadori, l’autore deve trovare altre possibilità…


8 luglio 2009

«L’universo è una casualità moralmente neutra d’inimmaginabile violenza»

Così dice Sam Waterston nell’efficace sceneggiatura d’un piccolo film di Woody Allen. Così sembrerebbe potersi dire per le storie del «casto», del «matto» e della «lesbica», secondo gli improperi che s’erano guadagnati, e che certo col caso e con la violenza, fisica o psicologica che sia, hanno combattuto tutta la vita: «L’uomo non è più artista, è divenuto opera d’arte».