20 aprile 2024

La teoria delle implicature conversazionali di Paul Grince

Paul Grince

Nella seconda metà del secolo scorso, la filosofia del linguaggio poteva essere compresa in due principali filoni speculativi. Da una parte vi era una filosofia del linguaggio di matrice neopositivista, saldamente ancorata alla tradizione scientifico-empirista, che si proponeva di riformare il linguaggio attraverso gli strumenti della logica formale e che annoverava tra i suoi principali esponenti personalità del calibro di Gottlob Frege, Bertrand Russell, Alfred North Whithead e il primo Wittgenstein. Dall’altra, e in aperta polemica con questi, vi erano i teorici del linguaggio comune, anche detti informalisti, i quali, prendendo le mosse dal pensiero del secondo Wittgenstein, ne elaborarono le istanze attraverso una valorizzazione della molteplicità degli usi del linguaggio (i famosi “giochi linguistici”), ponendo al centro della loro indagine non già il concetto di significato ma i modi di parlare quotidiani. Paul Grice (Birmingham 1913- Berkeley 1988) mette da parte gli uni e gli altri, proponendo una terza via che contribuirà alla nascita di un nuovo ambito di studi filosofici: la pragmatica

Come Frege, egli riconosce il ruolo centrale della nozione di verità nello studio del linguaggio, ma ne prende le distanze anzitutto per il suo marcato psicologismo e per la convinzione che l’analisi vero-funzionale, di per sé, non sia sufficiente a garantire il significato di un’espressione. Inoltre, pur aderendo alle istanze generali espresse dai teorici del linguaggio comune (Ryle e Austin su tutti), Grice non accetta l’identificazione tra significato delle espressioni e loro uso. È anzi proprio rimarcando questa fondamentale distinzione – la distinzione tra ciò che è detto e ciò che è implicato, tra semantica e contesto – che Grice offre il suo più grande contributo alla filosofia del linguaggio, un contributo che appare ancora oggi straordinariamente fecondo.
Un ulteriore punto innovativo della teoria griceana è poi quello di aver suggerito che la comunicazione può essere intesa essenzialmente come un processo razionale e cooperativo, caratterizzato dalla manifestazione d’intenzioni da parte del parlante e dall’ascrizione d’intenzioni al parlante da parte di un uditorio.
In questo breve saggio mi proporrò l’obbiettivo di delineare i principali aspetti del pensiero di Paul Grice alla luce della sua teoria delle implicature conversazionali, con particolare riferimento alle massime conversazionali e a come queste vengano sfruttate nel parlare ordinario al fine di arricchire la conversazione di una ulteriorità di contenuti.

1.0 Linguaggi naturali vs linguaggi formali: una breve panoramica

Il linguaggio naturale è un fenomeno assai complesso e stratificato. Se da un lato l’interazione tra contesto e contenuto, l’omonimia e la polisemia di talune espressioni lessicali e i loro possibili sensi espliciti ed impliciti, rendono conto dell’enorme plasticità di questa forma di comunicazione, dall’altra ne sottolineano inevitabilmente le numerose ambiguità e imperfezioni. A questo proposito, i primi filosofi del linguaggio tentarono di tradurre la complessità e la vaghezza dei linguaggi naturali attraverso l’utilizzo di regole formali mutuate dalla logica-matematica, regoli tali da garantire una perfetta corrispondenza tra forme e significati. Nasceva così quella branca della filosofia che ebbe grande fortuna soprattutto nella prima metà del XX secolo che prenderà il nome di neopositivismo (o empirismo logico), e che avrà nel suo statuto l’idea che la filosofia debba aspirare al rigore metodologico della scienza.
Ben presto però, i critici di questa corrente misero in guardia contro i rischi di un simile approccio, sostenendo che i linguaggi formali semplificassero eccessivamente la complessità del linguaggio naturale, trascurando le numerose sfumature che pure sono presenti nella comunicazione umana. Inoltre, alcuni linguaggi formali potevano essere considerati eccessivamente rigidi e mal adattabili ai mutamenti della comprensione umana nel tempo.
All’interno di questa diatriba s’inserisce il discorso di Paul Grice. Grice afferma che a ben vedere non esiste una reale divergenza tra quelli che lui chiama “formalisti” (ovvero i sostenitori di un’analisi logica del linguaggio) e i teorici del linguaggio comune (o “informalisti”), e che le due analisi possono coesistere purché si faccia distinzione tra il concetto di semantica e quello d’implicature pragmatiche.
Nei paragrafi che seguono verranno analizzati i principali aspetti della teoria delle implicature conversazionali a partire da una serie di lezioni che Paul Grice tenne ad Harvard nel 1967, successivamente riunite nel saggio dal Logic and Conversation. Si partirà dalla differenza tra significato naturale e significato non naturale.

2.0 La teoria del significato: significato naturale e non naturale

Si presti attenzione ai seguenti enunciati:

  1. «Quelle macchie vogliono dire morbillo».
  2. «Quei tre squilli di campanello (dell’autobus) vogliono dire che l’autobus è pieno».
In questi esempi, il verbo to mean (“voler dire”, “significare”, “intendere”) viene impiegato di volta in volta con scopi comunicativi differenti.
In particolare, riducendo le due formulazioni alle seguenti espressioni generiche: (1a) x voleva dire [meant] qualcosa (in una data occasione)» e (2a) «A voleva dire [meant] qualcosa con x (in una data occasione)», Grice fa notare che la principale differenza nell’uso della forma verbale to mean è il riferimento o meno ad un soggetto che intenzionalmente usa un certo segno per comunicare qualcosa a qualcuno. Mentre nel caso di (1) le macchie rappresentano un fatto e non vi è nessuno che voglia comunicare con esse alcunché, nel caso di (2) si sottintende al contrario la presenza di un soggetto che per mezzo di qualcosa (i tre squilli) manifesta una precisa intenzione comunicativa al suo uditorio (nello specifico il messaggio che l’autobus è pieno). A questo proposito, Grice parla di significato naturale di un segno, quando tale significato esiste indipendentemente dall’uso che s’intende fare di quel segno e di significato non naturale, quando tale significato è attribuito dall’utente al segno al fine di comunicare qualcosa a qualcuno. Centrale nell’analisi del significato non naturale è dunque la nozione d’intenzionalità. Afferma infatti Grice che « […] il significato (in generale) di un segno deve essere spiegato nei termini di ciò che con esso vuol dire ( o dovrebbe voler dire) chi lo usa in particolari occasioni». Ma questa condizione non è sufficiente. Ad esempio, nell’enunciato (2), affinché il suono del campanello produca l’effetto comunicativo “l’autobus è pieno”, è necessario che il conducente:

(i) intenda indurre nei passeggeri la credenza che l’autobus sia pieno (intenzione primaria).
(ii) intenda che i passeggerei riconoscano che (i)
(iii) intenda che (ii) sia, almeno in parte, la ragione per cui i passeggeri credono che l’autobus sia pieno.

Per Grice, quindi, il significato dell’enunciazione di un parlante è grossomodo equivalente a ciò che il parlante intende comunicare ad un auditorio, che riconosce l’intenzione che sta dietro l’enunciazione e riconosce che quella stessa intenzione, all’interno di un contesto ben definito, ha il compito d’indurre quello specifico effetto/risposta.
Fatte queste doverose premesse, entreremo ora nel dettaglio della teoria delle implicature conversazionali, partendo dalla definizione delle massime conversazionali e analizzando gli specifici aspetti che le caratterizzano.

3.0 La teoria delle implicature conversazionali

3.1 Massime conversazionali, principio di cooperazione e loro rapporto con la teoria vero-condiziale

Per Grice la conversazione è un’attività cooperativa regolata da certe massime. Queste massime non sono da intendere come norme prescrittive, ma come una serie di regole che tutti i partecipanti della conversazione sono tenuti a seguire, regole volte ad uno scopo comune e rette dal cosiddetto principio di cooperazione. Grice sintetizza tale principio con la seguente formula:

sia il tuo contributo alla conversazione tale quale è richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento accettato dello scambio linguistico in cui sei impegnato.

Pertanto, ad ogni stadio della conversazione, vi saranno delle mosse che, pur teoricamente possibili, verranno rifiutate in quanto non appropriate nel contesto della conversazione stessa.
Grice distingue quattro categorie all’interno delle quali ascrive le sue massime e le relative submassime:

1) Categoria della quantità:

- Dà un contributo tanto informativo quanto è richiesto
- Non dare un contributo più informativo di quanto richiesto

2) Categoria della qualità:

- Dai un contributo che sia vero
- Non dire ciò che credi essere falso
- Non dire ciò per cui non hai prove adeguate

3) Categoria della relazione:

- Sii pertinente

4) Categoria del modo:

- Sii perspicuo
- Evita l’oscurità di espressione
- Evita l’ambiguità
- Sii conciso
- Sii ordinato nell’esposizione

Tuttavia, le massime summenzionate descrivono un andamento piatto e per così dire statico della conversazione, dal quale il parlante sovente si distacca attraverso una violazione che, quando intenzionale e improntata a far sì che anche l’uditorio colga l’intenzione del parlante stesso di violare dette massime, fa scattare quelle che Grice definisce implicature. In questo contesto, l’uditorio cerca di conciliare la violazione delle massime con l’assunzione della cooperatività del parlante attraverso un ragionamento rapido e intuitivo. Una pragmatica così intesa, in grado di ricavare contenuti ulteriori a partire dal significato letterale, restituisce centralità alla semantica vero-condizionale e rappresenta il cardine della teoria griceana.

3.2.1 Le implicature conversazionali: caratteristiche e tipologie

Nel paragrafo precedente si è accennato a come le massime conversazionali possano essere violate per ragioni d’uso. Ed è anzi proprio in virtù di queste violazioni che, aderendo al principio di cooperazione, le massime si dicono sfruttate, poiché in grado di far scattare delle implicature.
Tuttavia, è importante non confondere il concetto d’implicatura, con quello d’implicazione, termine quest’ultimo specifico della logica e che indica il rapporto tra inferenze valide e le sue conclusioni.
Grice definisce l’implicatura in rapporto all’atto del dire. Con l’atto di dire, infatti, noi restituiamo il solo significato letterale di un enunciato, mentre l’implicatura è ciò che si vuole far intendere pronunciando quello specifico enunciato. In altre parole, l’operazione che Grice compie è quella di mettere in rapporto il significato inteso come valore letterale con il significato inteso come intenzione.
Possiamo riconoscere due principali tipi d’implicature: le implicature convenzionali (strettamente connesse al significato convenzionale delle parole e la cui trattazione esula dagli scopi del presente saggio) e le implicature conversazionali.
In riferimento a quest’ultime, si può dire in generale di un soggetto che abbia proferito p che egli implichi conversazionalmente che q se:

a) si può presumere che si stia conformando alle massime del principio di cooperazione
b) si può presumere che egli si renda conto o pensi che q
c) pensa che il suo uditorio possa inferire che è richiesta la supposizione espressa 2)

L’idea generale, è che una volta soddisfatti questi presupposti, l’uditorio sarà in grado di ricostruire il significato non naturale di uno specifico enunciato espresso da un parlante, attraverso un percorso argomentativo inferenziale – dunque razionale – che deve poter essere sempre calcolabile.
Stabilito il concetto d’implicatura conversazionale, Grice passa ad elencarne le varie tipologie.
In particolare, vengono considerati tre diversi modelli d’implicature conversazioniali: le implicature conversazionali standard, quelle da conflitto e quelle da sfruttamento.
Nelle implicature conversazionali standard, non vi è di fatto alcuna reale violazione delle massime, ma l’implicatura scatta nel momento in cui l’auditorio tenta di rendere coerente il messaggio del parlante con la supposizione che egli sia cooperativo e che osservi le massime. Viene talora definita di prevenzione secondo la nomenclatura introdotta da Sbisà, poiché nell'assumere che ci sia questa implicatura preveniamo l'idea che una certa massima sia stata violata. Un esempio di implicatura standard o di prevenzione potrebbe essere il seguente:

(i’) È finito il pane
(ii’) Il supermercato è aperto fino alle 20.00
(I): il supermercato vende il pane.

Ad una prima analisi ii’) appare non pertinente, ma lo diventa grazie ad I), ovvero all’assunzione che il supermercato venda il pane.
Le implicature da conflitto prevedono al contrario la violazione di una certa massima, la cui osservanza ne violerebbe un’altra che in quella particolare situazione potrebbe essere più rilevante da osservare. Relativamente a questo esempio, Grice fornisce il caso di A e B che programmano un viaggio nel sud della Francia per andare a trovare un loro caro amico:

A: “Dove abita Mario?”
B: “Da qualche parte nel sud della Francia”
(I): B non sa in quale città francese si trovi Mario, sicché A assume che la massima della quantità (“dà un contributo tanto informativo quanto richiesto”) sia stata violata per non violare quella della qualità (“non dire ciò per cui non hai prove adeguate”)

L’ultima implicatura, detta da sfruttamento, si configura quando vi è una violazione per così dire plateale di una certa massima al fine di comunicare qualcosa in più rispetto al semplice significato letterale di un determinato enunciato.

C: “E è scappato con i miei soldi!” (P1)
D: “Che caro ragazzo!” (P2)
(I): E si è comportato immoralmente.

C assume che D si stia attenendo al principio di cooperazione e che la massima della qualità si stata violata per affermare P2 con ironia.
Grice introduce un’ulteriore distinzione per le implicature conversazionali, a seconda della loro dipendenza o meno dallo specifico contesto della conversazione. Si riconoscono così implicature conversazionali generalizzate (1), le quali dipendono dal solo fatto che il parlante ha detto una certa cosa e dagli assunti riguardanti la cooperatività conversazionale, e le implicature conversazionali particolarizzate (2), che richiedono fra le loro premesse assunti relativi allo specifico contesto di proferimento.

(1) Maria si è sposata e ha avuto un figlio.
(I) In questo caso il connettivo “e” ha una duplice funzione: non solo rende vero l’enunciato (1) se entrambi i congiunti dell’enunciato sono veri, ma permette anche di fornire una lettura di tipo temporale (Maria si è sposata e poi ha avuto un figlio)

(2) F: “Ti va una bistecca?”
      G: “Sono vegetariana”
(I): G sta violando apertamente la massima della relazione (“Sii pertinente”) per comunicare ad F che non mangia carne. È significativo notare che questo tipo d’implicatura è causa frequente di difficoltà nei processi di traduzioni dei testi, poiché non è sempre facile mantenere il significato contestuale spostandosi tra lingue con regole grammaticali spesso molto differenti. 
 

3.2.2: Le implicature conversazionali: proprietà

Passate in rassegna le varie tipologie d’implicature conversazionali, Grice identifica una serie di proprietà intrinseche legate alla specifica natura di tali implicature che permettono di distinguerle da quelle convenzionali. Tali proprietà sono:

Indeterminatezza: cioè, poiché possono esistere diversi modi per preservare l'assunto che il principio di cooperazione viene osservato, l'implicatura conversazionale può consistere in una disgiunzione aperta. In altre parole, possono esistere diversi modi per preservare l’assunto che il principio di cooperazione viene osservato.
Cancellabilità o Revocabilità: cioè, le implicature conversazionali possono essere sempre cancellate sia esplicitamente che contestualmente se il parlante dà segno di essere uscito da una situazione di cooperazione. Nell’esempio (3) “Maria si è sposata e ha avuto un bambino, ma non so in che ordine si sono prodotti i due eventi”, la cancellazione dell’implicatura temporale non genera infatti una contraddizione come accade invece per (4) Maria ha ammazzato Paolo ma Paolo è vivo.
Non distaccabilità: cioè, se il contesto di proferimento di un determinato enunciato ha dato origine ad un'implicatura conversazionale, qualunque parafrasi dello stesso enunciato susciterà la medesima implicatura.
Calcolabilità: cioè, qualsiasi implicatura conversazionale deve poter essere rilevabile attraverso un processo inferenziale, cioè razionale
Non verofunzionalità: cioè, anche nel caso in cui l’implicatura sia falsa, ciò non incide sul valore di verità dell’enunciato che la suggerisce. 

4.0 Punti deboli e criticità della teoria delle implicature conversazionali

Pur evidenziando l’assoluta centralità della teoria delle implicature conversazionali nello sviluppo della pragmalinguistica e della filosofia del linguaggio in generale, essa non manca tuttavia di punti deboli e criticità che vari autori non hanno mancato di sottolineare. James Urmson e John Searle hanno ad esempio evidenziato come nella definizione di significato non naturale, le condizioni proposte da Grice non siano sufficienti. Urmson propone l’esempio di un prigioniero di guerra che viene torturato dai suoi aguzzini attraverso l’uso di una schiacciapollici al fine di estorcergli informazioni di cui si presume egli sia a conoscenza. In questo caso, pure essendo presenti tutt’e tre le condizioni menzionate da Grice ( (i’)esistenza di un’intenzione primaria da parte del parlante (ii’) l’intenzione di far riconoscere tale intenzione all’auditorio e (iii’) l’intenzione che l’effetto si realizzi sulla base del riconoscimento da parte loro della suddetta intenzione primaria), non siamo autorizzati a ritenere che applicando lo schiacciapollici i carcerieri stiano significando non naturalmente che il prigioniero debba parlare, perché tale intenzione si comunica piuttosto attraverso la situazione stessa (il contesto) in cui il prigioniero si trova.
Altra critica che può essere mossa alla teoria delle implicature conversazionali si basa sull'assunzione che i parlanti siano cooperativi e che abbiano un interesse comune a comunicare efficacemente. In alcune situazioni comunicative, infatti, questa cooperazione potrebbe risultare gravemente compromessa o addirittura mancare del tutto. È il caso ad esempio di conversazioni tra individui che hanno obiettivi contrastanti o che non si fidano l'uno dell'altro o che siano impegnati in un litigio.
Vi è poi un limite che si potrebbe definire culturale, o quantomeno contestuale, legato al fatto che ciò che è implicito in una cultura potrebbe non esserlo in un'altra. Inoltre, le implicature possono essere influenzate da fattori come il tono di voce, l'espressione facciale e il contesto fisico della conversazione.

5.0 Conclusioni

La teoria delle implicature conversazionali sviluppata da Paul Grice ha impresso senza dubbio una svolta decisiva nello sviluppo della filosofia del linguaggio, aprendo le porte allo studio di una nuova disciplina filosofica: la pragmalinguistica. Essa offre un modello chiaro e intuitivo per analizzare e comprendere le modalità con cui i parlanti comunicano significati non letterali mediante una conversazione. La teoria di Grice fornisce altresì una spiegazione convincente per molti fenomeni linguistici, come l'umorismo, l'ironia e altri aspetti della comunicazione umana che coinvolgono significati impliciti.
Tuttavia, essa non è scevra da alcune evidenti criticità, legate perlopiù all'assunzione di una cooperazione tra i parlanti, alla sensibilità culturale e contestuale delle implicature e alla complessità intrinseca di fenomeni quali l'ambiguità e la polisemia di talune espressioni. Nonostante tali limiti, la teoria delle implicature conversazionali rimane ad oltre cinquant’anni di distanza un'importante cornice concettuale per comprendere i meccanismi sottili della comunicazione umana e continua a fornire spunti preziosi per lo studio del linguaggio e della pragmatica.

6.0 Bibliografia

  • Pragmatica del linguaggio, C. Bianchi, (ed. Laterza 2011).
  • Filosofia del linguaggio (p.221-244), P. Casalegno, P. Frascolla, A. Iacona (a cura di), E. Paganini (a cura di), M. Santambrogio, (ed. Raffaello Cortina Editore).
  • Profilo di Paul H. Grice, Paolo Labinaz, APhEx 6, 2012 (ed. Vera Tripodi).

Giulio Di Donato

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