Vi siete mai chiesti che odore abbia la morte per un ragazzo di quattordici anni? Vi siete mai chiesti che colori abbia la morte per un ragazzo di quattordici anni? Erano anni che non mi struggevo così per il finale di un romanzo… Eppure, stanotte, mentre il paesello era immerso nella quiete del sonno, mentre un lampione proiettava una fioca luce gialla disegnando sagome note sui mattoncini sconnessi di un vicolo popolare, ho chiuso il libro dopo averne succhiato con ingordigia le ultime pagine. Avevo gli occhi bagnati e sono rimasta in silenzio, pensando – come sempre mi accade – a quella meravigliosa penna che nel 1975 ha dato vita a La vita davanti a sé.
Yann Queffélec scrive:
I romanzi irresistibili sono rari. La vota davanti a sé, il capolavoro di Roman Gary, fa parte di quei libri che sconvolgono l’equilibrio affettivo del lettore.
Ci sono uomini che giocano a fare i bambini e bambini che giocano a fare gli uomini… più rari, ma pur sempre possibili. Momò ha dieci anni… Pardon, quattordici: è un petit mystère che risolverete solo leggendo. Il libro è meraviglioso. È una sorta di viaggio infernale dantesco, in cui i cerchi sono le vie degradate e nottambule della banlieue di Belleville. E il nome di questo sobborgo di un’umanità fuori dai bordi è una sorta di contrappasso: nella “Bellacittà” si avvicendano, come sagome che hanno perso la vita, prostitute, spacciatori, drogati, piccoli delinquenti, di origini e nazionalità disparate: un crogiuolo di dannati che dilaga nelle strade puzzolenti e caotiche, avidi di raccontare la loro storia o, come è più probabile, di sopravvivere per un istinto primordiale e ingovernabile. È un racconto dantesco quello di Momò, che, camminando con passo svelto tra le miserie del quartiere, incontra persone inaspettatamente colte, come il signor Hamil, ex venditore di tappeti, dispensatore di bene e di sapere, che gli insegna il Corano e un velo di saggezza e di ordinata conoscenza in questo microcosmo dionisiaco. Momò si affaccia alla vita con la naturalezza di un bambino, che però ha già compreso tante cose, perché accanto a sé impera, con i suoi 95 chili, il suo Virgilio, Madame Rosa, un’antieroina dal passato di prostituta e di deportata ebrea e dal presente di donna anziana, obesa e malata che, con approssimazione, si dedica ai figli delle prostitute. Sembra che la letteratura sia tutta riconducibile a questi universi sgangherati: i vinti di Verga, i dannati di Dante, i ragazzi di vita di Pasolini, i Rougon-Macquart di Zola si incontrano e si scontrano, per una beffa del destino o per la magica universalità della letteratura, in questi anfratti di sofferenza e di espedienti. Eppure, questi frammenti di vita vengono analizzati dagli occhi e con gli occhi di un bambino, in un’atmosfera talvolta indefinita, dove in un condominio senza ascensore si incontrano un prosseneta, il nigeriano Monsieur N'Da Amédée, protettore di prostitute, elegante e impeccabile semianalfabeta dalla penna in prestito per narrare alla sua famiglia la sua grandezza ed il lusso conquistato; bambini dai tratti caratteriali originali perché raccontati da bambini: Moïse e Banania, “che si sbellicava sempre perché era nato di buon umore”. E poi ci sono Madame Lola, un travestito che abita al quarto piano e che batte al Bois de Boulogne; il dottor Katz, il medico di Madame Rosa, che attraversa, come un’ombra l’intera vicenda e che parla con Momò come se fosse un adulto; persino un vecchio ombrello, vestito di tutto punto da capo a piedi: il buon Arthur. I luoghi sono una fantasmagorica proiezione di una società cosmopolita che sembra, dopotutto, non essere pronta ad esserlo, lei stessa fagocitata dalle tante peculiarità di culture lontane, “esotiche”, assorbite con vorace curiosità dall’animo ingenuo e vivace del piccolo protagonista. Ed in questa prospettiva, ogni incontro diventa un’occasionale proposta di arricchimento per Momò: è la strada che lo informa e lo forma… ed un fatiscente condominio a sei piani. La bellezza di questo romanzo è tutta qui (si fa per dire!) ed io l’ho letto quasi in apnea fino all’epilogo struggente e meraviglioso, che, ovviamente, non vi svelo…
La regia stilistica è solida, innovativa, a tratti sorprendente. La penna di Romain Gary ricorda quella di Pennac: l’energia sintattica e lessicale viene sprigionata dal linguaggio semplice e inedito di Momò; espressioni come “forma olimpica” o “abortire” vengono sapientemente decontestualizzate ed inserite in una tragicommedia umana che risponde a regole diverse, dove i bambini si prendono cura dei vecchi ed i vecchi diventano bambini, indifesi e soli tutti. Gli esempi linguistici sono davvero moltissimi e non sta a me svelarne il piacere, che solo una lettura accurata del libro può generare. La vita davanti a sé è uno di quei casi editoriali per i quali la fascinazione narrativa si intreccia misteriosamente con la vita-morte dell’autore. Romain Gary, il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, si toglie la vita nella sua casa di rue du Bac. Indossa una vestaglia rossa e si uccide con un colpo di pistola. Lascia questo mondo dopo la morte di sua moglie Jean Seberg l’anno prima e lo fa con un biglietto che recita:
Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove.
Dopo un’esistenza intensa, culminata in svariate esperienze ed eclettici ruoli – eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes, vincitore di un Goncourt – tutti sono convinti che Gary sia un romanziere ormai senza parole… E invece… Tra lo stupore generale, dopo la sua morte si scopre che Emile Ajar, l’autore de “La vita davanti a sé” altri non è che… proprio Romain Gary… Altro che romanziere senza parole… E le parole, quelle belle, arrivano dritte al cuore, come la storia di Momò e dei suoi strambi amici, le cui esistenze misere e ricche acquistano sapore e odore attraverso l’innocenza di un bambino senza età, un giovane saggio che parla con i grandi di malattie e preoccupazioni, che impara ascoltando e che percorre l’arco di una vita con la precoce consapevolezza di chi osserva e di chi sa che la parabola discendente della vecchiaia è solo la naturale conseguenza della vita, sebbene ne avverta la paura. Ma il mistero è tutto qui ed ora Momò lo sa: non si può vivere senza nessuno da amare. E lui, con la sua giovane età, ha amato, senza remore e senza ripensamenti. È una straordinaria lezione. Per ciascuno di noi…
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