25 settembre 2023

Amore, destino e patriottismo: Dante, Beatrice e la profezia del tricolore italiano

Dante

Dante Alighieri, il padre della lingua italiana. Il poeta che, forse, è riuscito più di tutti a sfidare la minaccia più pericolosa dei secoli che trascorrono: l’oblio. Da solo, è stato ed è testimonianza della tradizione italiana nel mondo. L’uomo che ha compiuto la discesa negli inferi più famosa della storia, seguendo le orme di Omero e Virgilio. L’uomo – oltre il poeta – che ha mosso a commozione migliaia e migliaia di lettori, interessati alla sua visione di Beatrice e a quell’amore che, seppur mai davvero vissuto, ha saputo rendere così sublime e inarrivabile. 

Tra il 1292 e il 1294 ha scritto per lei un’intera opera letteraria. Trentuno liriche in cui racconta della sua storia d’amore ideale – che definisce fervida e passionata. Il primo esperimento stilistico di un poeta che ha superato i limiti del tempo e dello spazio, divenendo il padre della letteratura italiana. Ancora oggi, uno dei massimi rappresentati della nostra poetica, studiato in Italia e all’estero per il suo estro creativo, per la sua sublime ricerca e per quella capacità narrativa che lo ha portato a muoversi – con disinvoltura – attraverso vari livelli linguistici e stilistici. 

L’opera di cui parliamo è la Vita Nova

vita nuova

Il poeta è Durante di Alighiero degli Alighieri, conosciuto in tutto il mondo come Dante Alighieri. 

La donna è Beatrice, la tanto gentile e onesta. Da sola, nelle fattezze della donna Angelo del Dolce stil novo, ha ispirato un poeta che – per tutta la vita – ha celebrato la sua fede, il suo impegno politico e la sua terra imprimendo inchiostro sulla pergamena. 

Beatrice Portinari – questo il nome del personaggio storicamente esistito che la critica letteraria riconosce come la Musa del poeta – è un lungo filo rosso che tiene insieme tutta la poetica dantesca. A lei, il Sommo poeta ha dedicato parole d’amore immortali, sonetti dolci e distesi ma anche terzine profonde. Grazie a lei, nella Divina Commedia (la massima espressione delle sue capacità letterarie), Dante riesce a ricongiungersi con Dio.

Una donna, una musa, che ha superato i limiti metafisici della carne divenendo ispirazione, contemplazione e disio (desiderio).
Ma chi era davvero Beatrice?
E perché quello di Dante è un amore raccontato ma mai vissuto?
Per capire, dobbiamo fare un piccolo passo indietro.

È il 1274 e i due si incontrano per la prima volta, da bambini. Nel 1287 il loro secondo e ultimo incontro: tre anni dopo Beatrice muore – seppur giovane – probabilmente dando alla luce un figlio.
La morte della donna fa precipitare Dante in una profonda crisi – umana e spirituale. In quegli anni si chiude in sé stesso e nella ricerca filosofica: studia e legge le opere di grandi uomini e autori che, proprio come lui, avevano perso una persona amata. La fine della sua crisi coincide proprio con l’inizio della stesura della sua prima opera. Le dà il titolo di Vita, ma Nova: è la sua rinascita esistenziale e poetica.

Nei 42 capitoli di questo viaggio d’amore ci racconta di Beatrice, Bice di Folco (da Folco Portinari, suo padre), la prima donna a lasciare una traccia indelebile nell’intera letteratura italiana.
Dante carezza Beatrice con parole soavi, costruisce un incanto d’amore in cui intreccia autobiografia e cenni storici. È lei l’unica custode del suo cuore e della sua anima. Tant’è che nel primo capitolo dell’opera si assiste a un’immagine cruenta ma esplicativa. Il topos del cuore mangiato è tipico della letteratura medievale ma nel caso descritto dal poeta assume un’accezione diversa.
Dante intravede il dio Amore che trattiene in una mano il suo cuore e porta tra le braccia una:

madonna involta in un drappo dormendo

Quella donna è Beatrice che, una volta ridestata dal dio, mangerà il cuore di quel poeta che tanto la ama.

È così che Dante descrive il suo amore per quella donna – in modo cruento e simbolico – che, tra tutte, può cibarsi del suo cuore per acquisirne le virtù (secondo le credenze medievali le virtù avevano sede proprio in quell’organo). È anche la prima testimonianza della poetica religiosa di Durante: questa stessa immagine potrebbe riferirsi a una rielaborazione in forma laica dell’eucarestia cristiana. 

Dante parla di Beatrice come della sublimazione dello spirito e della carne: chiunque avesse voluto conoscere Amore avrebbe potuto farlo semplicemente guardando “il tremare” dei suoi occhi.
Ma perché un amore così tormentato?
Perché Beatrice resta solo musa e ispirazione?
Ricominciamo da zero: probabilmente la donna non ha mai conosciuto davvero il poeta. Quello che sappiamo con certezza è che entrambi si sono sposati: lui con Gemma Donati e lei con Simone di Geri de ‘Bardi

Gemma sposò Dante perché il loro matrimonio fu combinato dall’infanzia. Anche se molte fonti attestano che il poeta fu spinto a sposarla per consolarsi della morte di Beatrice (prima tra tutte, il Trattatello di Boccaccio nel quale – in forma anche spiccatamente misogina – il poeta asserisce che un dotto, un intellettuale come Dante, non avrebbe mai dovuto ammogliarsi perché:

il matrimonio è una distrazione inutile e dannosa

Simone de ‘Bardi, detto Mone, fu scelto per Beatrice perché condivideva le sue stesse origini. Entrambi, infatti, appartenevano a due famiglie di banchieri. La ricostruzione storica del personaggio è stata assai complessa ma, alla fine, si è pensato a lui come al marito della donna perché in un atto notarile – attestato al 1280 - Mone de' Bardi cede alcuni terreni a suo fratello Cecchino con il beneplacito della moglie Bice (che all’epoca aveva appena quindici anni). 

Beatrice muore poco dopo e il suo luogo di sepoltura viene tradizionalmente indicato nella chiesa di Santa Margherita de' Cerchi, vicina alle abitazioni degli Alighieri e dei Portinari. 


Forse fu questo dolore così sentito a spingere Dante verso la stesura della sua opera più importante: quella Commedia diventata – grazie al Boccaccio – Divina.
Nell’opera Beatrice ha un ruolo centrale: è il cuore del viaggio di Dante, è la ragione per la quale il poeta affronta il suo pellegrinaggio nel mondo ultraterreno ed è anche l’unica speranza, l’unica possibilità di ricongiungimento con la luce e con la bellezza dell’Amore assoluto (Dio).

Per il poeta Beatrice era l’ideale sublime. A lei, un ruolo importante: una figura spirituale che, grazie alle sue virtù, fa trascendere l’uomo e lo accompagna al bene e alla salvezza eterna. Se Dante fosse un peccatore, Beatrice sarebbe la sua espiazione: la via di fuga dal contrappasso che, invece, tanto affligge e tormenta i dannati.

Alcune ipotesi – assai più romantiche che attendibili – rivestono Beatrice anche di una certa importanza patriottica e nazionalistica. Secondo alcuni critici, in effetti, Dante avrebbe profetizzato la nascita del tricolore italiano contemplando l’apparizione di Beatrice nel canto XXX del Purgatorio:

Velata da una nuvola di fiori
che saliva dalle mani angeliche
e ricadeva in giù dentro e fuori, su di un candido velo e cinta d’olivo
una donna mi apparve, sotto un verde manto
vestita di un color di fiamma viva.

Ed ecco apparire i tre colori del nostro vessillo: il bianco, il verde e il rosso. Ma ciò che sappiamo con assoluta certezza è che per Dante quei colori erano espressione delle virtù teologali: rosso per la carità, bianco per la fede e verde per la speranza. 

Dante ci ha raccontato di Beatrice come dell’unico amore della sua vita. Compagna letteraria e protettrice di tutta la sua ispirazione poetica. L’ha resa immortale e – anche se non si sono amati davvero nella loro vita terrena – condividono insieme la gloria eterna.
Perché nessuno penserebbe mai a Dante senza la sua Beatrice.
E nessuno penserebbe a Beatrice senza il suo poeta.

Forse è giusto così. Anche prendendo per buona l’ipotesi che Dante abbia sposato Gemma per superare la morte della sua amata, Beatrice era già impegnata con Simone. Se i due si fossero davvero conosciuti e amati, probabilmente avremmo corso due rischi: Dante si sarebbe auto-inflitto le pene e il contrappasso dei lussuriosi o – e questo è anche peggio! – quel girone non sarebbe mai esistito perché il poeta non avrebbe mai scritto la sua Commedia

E la perdita – per l’intera umanità – sarebbe stata inaudita e incalcolabile. 

 Maria Izzo

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