16 settembre 2025

La strategia della tensione: la guerra invisibile che ha sconvolto l’Italia

Il 12 dicembre 1969 Piazza Fontana è affollata, e all’interno della Banca dell’Agricoltura le persone si affannano a sbrigare i propri affari. Nessuno sa che da lì a poco accadrà un evento che cambierà per sempre il corso della storia italiana per i trent’anni a venire. Infatti, alle 16:37 un enorme boato squarcia la tranquillità del capoluogo meneghino. Una bomba esplode, uccide 17 persone e causa 88 feriti: è l’inizio della strategia della tensione. Un nome che vuol dire tutto e niente. In che senso strategia? E perché tensione? Chi ha provocato quel terribile attentato? E per quale ragione?

Subito le forze dell’ordine si concentrano sugli ambienti anarchici, in particolare il circolo di Ponte della Ghisolfa, e arrestano Pietro Valpreda, e soprattutto il ferroviere Giuseppe Pinelli, che morirà cadendo dall’ufficio del commissario Luigi Calabresi (ucciso anni dopo da un commando di Lotta Continua) all’interno della questura di Milano, in circostanze mai chiarite.

Quell’ordigno non è il solo: altri a Roma vengono disinnescati o non esplodono. È un terrore pensato, non cieco, metodico. L’obiettivo? Colpire al cuore lo Stato e creare il panico tra i cittadini per sovvertire l’ordine democratico del Paese. Ma chi sono i responsabili di quella bomba che ha sconvolto tutte le coscienze?

Negli anni ci saranno vari processi e successive assoluzioni. Prenderà piede la pista neofascista di Ordine Nuovo, un’organizzazione terroristica di estrema destra extraparlamentare nata nel dicembre 1969, fondata da alcuni militanti del Centro Studi Ordine Nuovo, guidati da Clemente Graziani, contrari al rientro dell'associazione, insieme al fondatore Pino Rauti, nei ranghi del MSI.

Ma la strategia, come ogni strategia che si rispetti, non finisce lì: si espande, cinica. Il 28 maggio 1974 a Brescia, in piazza della Loggia, durante una manifestazione antifascista organizzata da sindacati e partiti democratici, esplode una bomba nascosta in un cestino portarifiuti. Otto morti, oltre cento feriti. Ancora una volta, lo Stato sembra impreparato. Ma qualcuno lo era. Testimoni raccontano di infiltrati, di presenze ambigue tra la folla.

L’Italia è una terra attraversata da linee sottili e pericolose. Linee che uniscono ambienti neofascisti, apparati deviati dello Stato e misteriosi burattinai. Licio Gelli, gran maestro della loggia massonica Propaganda Due (P2), è uno di questi. Con la sua rete invisibile, tesse relazioni tra militari, politici, finanzieri. Il suo obiettivo? Il “riordino democratico” dell’Italia, a modo suo: più autoritaria, più controllata.

Il 4 agosto 1974, un altro orrore: il treno Italicus, in viaggio tra Roma e Monaco di Baviera, esplode nella galleria di San Benedetto Val di Sambro. Dodici morti, quarantotto feriti. Una tragedia che doveva essere ancora più grande: l’ordigno era stato programmato per esplodere in un tratto di montagna, dove i soccorsi sarebbero stati impossibili. Il disinnesco mancato lo anticipa, evitando una strage ancor più immane.

Le indagini seguono un copione già visto: piste neofasciste, depistaggi, dossier spariti, testimoni intimiditi. I nomi ricorrono: Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, figure come Carlo Digilio, informatori dei servizi segreti, legami con la CIA e il “doppio binario” delle alleanze internazionali. Tutto converge verso un’unica sensazione: lo Stato sta combattendo una guerra sotterranea contro sé stesso.

Bologna, 2 agosto 1980. La stazione è affollata, come Piazza Fontana, Piazza della Loggia e il treno Italicus. All’improvviso, un’ala della stazione si squarcia: un’altra bomba, altro terrore. Stavolta il bilancio è agghiacciante: tra le macerie e l’edificio divelto dall’ordigno rimangono 85 corpi e 200 feriti. I colpevoli vengono individuati tra i NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), l'ennesima sigla a indicare un gruppo terroristico eversivo di estrema destra. Gli esecutori materiali sono Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini; i mandanti Licio Gelli e la P2. Ma anche in questo caso i depistaggi sono molti. La sensazione che qualcuno, dall’interno dello Stato, abbia guidato la mano stragista è prorompente. Quel sangue innocente, quei morti, non sono solo l’opera di qualche pazzo estremista, ma portano la firma di chi desiderava il terrore per un presunto ritorno all’ordine, per sovvertire lo stato delle cose, con una tendenza verso destra, com’era stato per il tentato golpe del generale Junio Valerio Borghese, un colpo di Stato tentato a Roma nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, collegato ad attività eversive del Fronte Nazionale Rivoluzionario.

Strategia della tensione: due parole che inquietano. Non una guerra aperta, ma una guerra psicologica. L’idea, elaborata da apparati interni ed esterni dei servizi segreti deviati, era spaventosa: sovvertire l’ordine democratico del Paese per avere una svolta più autoritaria; seminare il panico per instillare nella popolazione l’idea che solo un ritorno all’ordine avrebbe potuto salvare la Repubblica.

Secondo diverse inchieste e testimonianze (tra cui quella del giudice Felice Casson), l’obiettivo era destabilizzare per stabilizzare. In questo schema non rientrano solo le bombe, ma anche le coperture successive. Il caos non nasce solo dagli attentati, ma dalle indagini deviate, dai documenti scomparsi, dai decenni di processi senza mai verità assolute.

La loggia P2, scoperta nel 1981, è la struttura che forse meglio rappresenta l’invisibile architettura della strategia. In essa figurano alti ufficiali, magistrati, direttori di giornali, persino membri del governo. Il suo Piano di Rinascita Democratica è un manifesto inquietante: il controllo dell’informazione, la subordinazione del Parlamento, la limitazione delle libertà.

Anche l’organizzazione paramilitare Gladio, creata dalla CIA per combattere l’espansione del comunismo ad ovest è stata regista occulta di molti  fatti oscuri come quelli della strategia; per fare un esempio, Giovanni Aiello, un ex poliziotto poi Gladiatore addestrato in Sardegna, sembra aver avuto un ruolo nelle stragi secondo alcuni testimoni e poi anche nelle successive bombe di  mafia del 91-93, oltre che in altri fatti oscuri come l’attentato fallito a Falcone all’Addaura.

Insomma un film ampio, ben strutturato, con diverse finalità ma dai registi e sceneggiatori multipli e incerti. Da Ordine Nuovo alla CIA, passando per la P2 e i NAR e la mafia. Una cosa certa : tante vittime e un paese sotto scacco di se stesso.

Questa è stata la strategia della tensione. Ma ora sorge la domanda più difficile: tutto questo dolore, tutto questo sangue, queste famiglie in lacrime hanno portato a qualche risultato? 

Gli obiettivi possono essere vari, uno di questi, mantenere al potere la Democrazia Cristiana in favore del Partito Comunista, forse è stato raggiunto; i comunisti infatti non sono mai andati oltre al 34,4 per cento del 1976. La DC Andreottiana sinonimo di stabilità e ordine è rimasta saldamente al potere fino alla caduta della Prima Repubblica.

Se l’obiettivo era un ritorno all’autoritarismo, no. Se l’obiettivo era portare la Repubblica Italiana verso un regime di destra come quello greco o spagnolo, ha fallito. Ma a quale prezzo?

Il prezzo è stato l’avvelenamento del dibattito pubblico, la sfiducia nelle istituzioni, la delegittimazione della magistratura, il sospetto permanente.

Ancora più grave è stato il non sapere: nessuna delle grandi stragi ha avuto come conseguenza giuridica una verità assoluta e condivisa. Ci sono state assoluzioni, depistaggi, documenti spariti, corruzione. E ancora oggi molti processi sono aperti.

Del resto, viviamo in un Paese in cui sono appena state confermate le assoluzioni per i protagonisti della assodata trattativa Stato-mafia, riducendo a nulla gli sforzi di giudici come Di Matteo, che avevano dedicato anni e la loro vita a questo scopo, vedendosi distruggere il lavoro. Così nei processi della strategia della tensione, da Piazza Fontana fino a Bologna, ancora non si sa tutta la verità: si può supporre, abbiamo alcune prove, ma non le certezze. Come sul ruolo della CIA, dei servizi segreti e della già citata P2. Molti fatti sono stati secretati e bollati come “segreti di Stato”, che hanno protetto “grossi” nomi e responsabilità, contro cui la giustizia si è infranta.

Il sangue versato non ha portato verità, ma memoria. Oggi, Milano, Brescia, Bologna, l’Italicus sono simboli, emblemi di un’Italia che ha vissuto una guerra interna, non dichiarata, non anticipata da dichiarazioni, ma da sotterfugi. Sono simboli di una guerra dove i nemici non erano esterni, ma seduti in quelle grandi stanze dei palazzi del potere. La strategia della tensione non è finita con gli anni settanta e inizio ottanta, ma ha avvelenato il paese e le istituzioni fino ad oggi, anche se sembra che l’Italia abbia voltato pagina troppo in fretta; sì, ci sono le commemorazioni, sì, cosi come nel caso delle stragi di mafia, annualmente qualche leader politico di qualsiasi colore spreca qualche parola per ricordare, ma le ferite sono ancora aperte, le verità scomode sono ancora sepolte: che ruolo ha avuto lo stato? E i servizi? I neofascisti erano solo semplici pedine di un disegno più grande? Sappiamo per certo che dietro tutto il terrorismo stragista, come già detto c’era un grande disegno, ma ci mancano i nomi dei pittori di quel disegno e chi l’ha commissionato.

In un Paese in cui la verità è spesso più temuta della menzogna, ricordare è un atto politico. Perché la storia non è mai solo passato. È una finestra aperta sul presente. E forse, anche sul futuro.

Federico Valenti

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