21 luglio 2016

È Goethe a spiegarci le differenze tra gli europei del nord e quelli del sud

Goethe

In queste settimane mi sono imbattuto più volte in Goethe, essendo questo il periodo delle celebrazioni dei 200 anni del suo Viaggio in Italia. Per l'occasione Radio Rai ha creato una persino una trasmissione dal titolo emblematico: Dove fioriscono i limoni, che consiglio vivamente di ascoltare anche su podcast. Ma il mio discorso non verte su ciò, quanto su un interessantissimo passo del suo Viaggio.
Il 28 maggio 1787 Goethe si trova a Napoli, città che contrariamente a quanto si possa pensare lo entusiasma tanto che in un passaggio afferma che tanta più è la confusione e il baccano, tatan più è la sua calma. La vitalità partenopea e lo stile di vita brulicante sono così per lo scrittore uno spunto per una serie di riflessioni tra lo stile di vita nord europeo e quello mediterraneo:

È vero, non si fa praticamente un passo senza imbattersi in gente assai malvestita o addirittura cenciosa; ma non per questo si deve parlare di scioperati, di perdigiorno! Sarei quasi tentato d'affermare per paradosso che a Napoli, fatte le debite proporzioni, le classi più basse sono le più industriose. Non si può pensare, beninteso, di mettere a paragone quest'operosità con quella dei paesi del Nord, la quale non ha da preoccuparsi soltanto del giorno e dell'ora immediati, ma nei giorni belli e sereni deve pensare a quelli brutti e grigi e nell'estate deve provvedere all'inverno. Postoché è la natura stessa che al Nord obbliga l'uomo a far scorte e a prendere disposizioni, che induce la massaia a salare e ad affumicare cibi per non lasciare sfornita la cucina nel corso dell'anno, mentre il marito non deve trascurare le riserve di legna, di grano, di foraggio per le bestie e così via, è inevitabile che le giornate e le ore più belle siano sottratte al godimento e vadano spese nel lavoro. Per mesi e mesi si evita di stare all'aperto e ci si ripara in casa dalla bufera, dalla pioggia, dalla neve e dal freddo; le stagioni si succedono inarrestabili, e l'uomo che non vuol finire malamente deve per forza diventare casalingo. Non si tratta infatti di sapere se vuole fare delle rinunce: non gli è consentito di volerlo, non può materialmente volerlo, dato che non può rinunciare; è la natura che lo costringe ad adoperarsi, a premunirsi. Senza dubbio tali influenze naturali, che rimangono immutate per millenni, hanno improntato il carattere, per tanti lati meritevole, delle nazioni nordiche; le quali però applicano troppo rigidamente il loro punto di vista nel giudicare le genti del Sud, verso cui il cielo s'è dimostrato tanto benigno. Si attagliano perfettamente all'argomento le considerazioni fatte dal signor von Pauw nel passo delle Recherches sur les Grecs dedicato ai filosofi cinici. Secondo lui, l'idea che ci si fa delle penose condizioni di quegli uomini non è del tutto esatta; il loro principio di far a meno di tutto è fortemente facilitato da un clima prodigo d'ogni sorta di doni. In quei paesi un povero, uno che a noi sembra miserabile, può non solo soddisfare le più urgenti e immediate esigenze, ma godersi il mondo nel modo migliore; e un cosiddetto accattone napoletano potrebbe altrettanto facilmente sdegnare il posto di viceré in Norvegia e declinare l'onore, se l'imperatrice di Russia gliel'offrisse, del governatorato della Siberia.

Un quadro di Napoli di Jacob Philipp Hackert

In queste parole, così attuali, sembra emergere anche lo scontro in atto tra le due aree d'Europa, laddove i paesi mediterranei vengono additati d'essere pigri e restii al lavoro, Goethe con la sua cultura ne trae una vera e propria lezione di antropologia. Egli poi aggiunge:

Fra l'altro, il paradosso che ho azzardato poco fa si presterebbe a varie riflessioni per chi volesse tentar di dare un quadro esauriente di Napoli; impresa che comunque richiederebbe notevoli capacità e alcuni anni d'indagine. Si giungerebbe forse allora a concludere che il cosiddetto lazzarone non è per nulla più infingardo delle altre classi, ma altresì a constatare che tutti, in un certo senso, non lavorano semplicemente per vivere ma piuttosto per godere, e anche quando lavorano vogliono vivere in allegria. Questo spiega molte cose: il fatto che il lavoro manuale nel Sud sia quasi sempre assai più arretrato in confronto al Nord; che le fabbriche scarseggino; che, se si eccettuano avvocati e medici, si trovi poca istruzione in rapporto al gran numero d'abitanti, malgrado gli sforzi compiuti in singoli campi da uomini benemeriti; che nessun pittore napoletano sia mai diventato un caposcuola né sia salito a grandezza; che gli ecclesiastici si adagino con sommo piacere nell'ozio e anche i nobili amino profondere i loro averi soprattutto nei piaceri, nello sfarzo e nella dissipazione.
So bene che il mio discorso è un po' troppo generico, e che non è possibile tracciare nitidamente le caratteristiche di ciascuna classe, se non dopo precisa cognizione ed osservazione; ma a grandi linee sarebbero questi, credo, i risultati a cui si approderebbe.
Per riprendere l'argomento del popolino napoletano, si nota in esso il medesimo tratto che nei ragazzi vivaci: ossia, se gli si dà da fare un lavoro non si tirano indietro, ma trovano ogni volta il modo di scherzare su ciò che fanno. Questa specie umana è permeata d'uno spirito sempre sveglio e sa guardare alle cose con occhio libero e giusto. Il suo linguaggio dev'essere figurato, il suo umorismo arguto e mordace.

In queste parole così argute, Goethe coglie il senso stesso delle prospettive con cui viene interpretata la vita e la società nel sud d'Europa rispetto a quella del nord. Ed è in queste due prospettive che si comprende meglio lo spirito vero, il più delle volte frainteso e superficialmente denigrato di come la storia millenaria e il territorio influiscano sullo sviluppo dei popoli.

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