Sono un uomo malato… Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole. Credo di avere mal di fegato. Del resto, non capisco un accidente del mio male e probabilmente non so di cosa soffro. Non mi curo e non mi sono mai curato, anche se rispetto la medicina e i dottori.
Da questa presa di coscienza iniziale si avvia una delle opere del grande esponente della letteratura russa Fedor Dostoevskij, autore del celeberrimo Delitto e castigo, che più visceralmente scende nei meandri del subconscio. A parlare è l’uomo del sottosuolo, in un agognato monologo di critica sociale, che progressivamente va decostruendo i tanto esaltati valori positivistici mettendo in risalto una spinta all’autoumiliazione e alla ricerca della sofferenza, insita nella natura umana. Nel corso della sua analisi, l’uomo ripercorre i suoi ricordi passati, riflettendo un’agonia esistenziale ed un’inettitudine che lui stesso ripudia, ma dalla quale sembra non trovare via di fuga. Da qui deriva il suo allontanamento dalla vita sociale ed il suo rifugiarsi nel sottosuolo, appunto, per quarant’anni.