Non c’è alcun dubbio che, per me, Gli innamoramenti di Javier Marías, sia un romanzo insopportabile.
La storia, nel romanzo, è narrata da María, una trentacinquenne che lavora presso una casa editrice di Madrid. María ogni mattina fa colazione in un bar, lo stesso nel quale fanno colazione Miguel e Luisa, una coppia bella, affiatata, allegra e felice. Qualche tempo dopo la prolungata assenza della coppia dalle colazioni al bar, la protagonista viene a sapere che Miguel è stato assassinato e María si ritroverà, in breve, a entrare in confidenza con Luisa, la vedova, sua coetanea. La storia, almeno, detta così, è intrigante, ma lo sviluppo vira in altri e molto più impegnativi territori.
La storia, come dicevo prima, è anche intrigante, ma quel che rende questo romanzo insopportabile, per me, sono tre cose.
La prima: la lentezza. La storia che vi ho raccontato si sarebbe potuta narrare in cinquanta pagine appena, mentre Marías ne impiega più di trecento; ma soprattutto lo svolgimento delle azioni è di una lentezza che lo rende paragonabile a tratti alla Ricerca del tempo perduto o a La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, di Sterne. Solo per fare un esempio: a pagina 199 Javier chiama María e le chiede di incontrarsi perché vuole parlarle. Per percorrere il tragitto (a piedi) che María compie dalla casa editrice dove lavora a casa di Javier, passano ben diciannove pagine, diciannove pagine di ragionamenti, dubbi, opinioni filosofiche e citazioni letterarie; e la loro conversazione comincia a pagina 218 e finisce a pagina 273!
La seconda: la verbosità. Il romanzo è appesantito dalle digressioni e dai lunghissimi dialoghi dei protagonisti, che – sebbene sia questo lo scopo del romanzo – riflettono sui meccanismi dell’amore e dell’innamoramento. Il problema è che sebbene Marías provi a fare come Proust, a psicoanalizzare i sentimenti, non mi sembra ci riesca, quindi il risultato di queste estenuanti conversazioni è solo la pesantezza. La verbosità, appunto.
La terza: l’irrealtà. Come nei film di Woody Allen i protagonisti sono tutti belli, colti, benestanti – siamo pur sempre nella Spagna del 2011, con la disoccupazione a circa il 25%, e quella giovanile al 50%, altro che Italia! – una versione europea dei WASP; mentre i cattivi sono brutti sporchi e cattivi. Ma soprattutto i protagonisti, giovani fra i trenta e i quarant’anni, s’intrattengono in spericolati monologhi sul senso delle cose, citano, come fa Javier, Balzac che, ovviamente, hanno letto in francese!
Ultima considerazione, da addebitarsi, però, alla casa editrice. A pag. 116, come vedete nella foto, si legge: «Se sarebbe stato ridicolo che anche i miei passi …». E stiamo parlando dell’Einaudi.
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