5 febbraio 2014

Simone Weil e la condizione umana

Simone Weil


«[...] Ci si può chiedere se esista un àmbito della vita pubblica o privata dove le sorgenti stesse dell'attività e della speranza non siano avvelenate dalle condizioni nelle quali viviamo. Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utili, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve di un posto.»
Parole eterne e nella loro fulminea attualità sembrano risuonare come un accorato intervento, nei meandri del pensiero di ognuno di noi. Vita pubblica e privata, critica secca alla condizione del lavoratore. Leggendo oltre, un ulteriore attualissimo intervento recita così:
«Infine la vita familiare è diventata solo ansietà, a partire dal momento in cui la società si è chiusa ai giovani. Proprio quella generazione per la quale l'attesa febbrile dell'avvenire costituisce la vita intera vegeta in tutto il mondo con la consapevolezza di non aver alcun posto nel nostro universo. [...] Viviamo in un'epoca priva di avvenire. L'attesa di ciò che verrà non è più speranza, ma angoscia».

Le riflessioni sopra riportate non sono state scandite da un attivista dei giorni nostri, né da un politico con particolari doti da oratore, né da un comunista di nuova generazione: sono parole sparse nelle Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale, non di un autore, bensì di un'autrice francese, Simone Weil, insegnante di professione, operaia per scelta e filosofa di vocazione.

Simone Weil appartiene ad un'epoca particolarmente accesa per tutti i risvolti politici, storici e sociali che da questa si svilupperanno. Le Riflessioni appartengono a questo periodo di eccezionale vivacità, sono state scritte, infatti, durante il 1934, poco prima dello scoppio della grande guerra e a ridosso di un periodo il cui clima sociale è in pieno fermento. In questo momento così delicato, Simone prende commiato dalla carriera come insegnante di filosofia e si inventa operaia. Subisce le mortificazioni della fabbrica, le molestie del lavoro vuoto e alienante, si infligge le più tremende quotidiane violenze della fabbrica per sentire sulla sua carne la condizione operaia, i luoghi in cui il popolo è costretto a vivere per esistere. Vivere ed esistere, appunto, si intersecano nella vicenda umana generale che per la Weil assume i contorni terrificanti di una esistenza nuda e inutile per il sistema capitalista. Se per esistere quel popolo deve imparare a non-vivere nelle fabbriche, l'esistenza stessa si spoglia della sua straordinaria trascendenza magica, della quale, sottolinea la filosofa, la natura umana si nutre.

Se esistenza è vivere-non vivere, o anche, mortificare il proprio quid trascendentale per continuare a sussistere, essa è inferno, un'esperienza "horror", la definisce Simone Weil in uno scritto del 1941, Condition première d'un travail non servile. L'atto pratico che mortifica lo spirito diviene il male più lacerante che un uomo possa esperire. Ma tutti gli uomini delle macchine di assemblaggio si muovono tra bulloni e oggetti e al di là di essi nulla, oltre al movimento sterile e reiterato dell'operaio delle moderne macchine di produzione, non vi sono immagini di alcuna bellezza, se non quelle ispirate dalle macchine stesse. Un bullone e il suo movimento di oscillazione sono, allora, più della loro stessa natura, sono lo «specchio che va ripulito e dal quale bisogna leggere i simboli che sono scritti nella materia» (Condition première d'un travail non servile).

Quello che scrive dà voce all'interiorità pura e autentica con la quale ogni essere umano viene alla luce: non accetta l'indifferenza verso il prossimo, verso il dolore altrui, ripudia il concetto di massa come merce ma sa riconoscere che nel più spietato capitalismo parlare di rivoluzione è pura illusione, un gioco nel quale gli uomini si fanno cadere in tentazione per poter poi iniziare a pensare una nuova rivoluzione contro la vecchia oppressione, e così all'infinito. Un gioco banale, scarno, che Simone Weil scopre mentre avanza una critica al marxismo. Le sue riflessioni su Marx sono un misto di eccellente precisione e di una conoscenza dell'essere umano che sbalordirebbe la psicoanalisi. Al capitalismo non si sfugge, sembra affermare Simone, eppure esistere in forma di essere umano può ancora essere possibile, se e solo se, la provvidenza in forma di religione fa capolino nella vita dell'individuo lasciandolo libero di sentire il più grande mistero della fede, che tutto può vincere e tutto può donare. La vita religiosa si trasforma nelle mani della Weil in pura materia spirituale in ogni movimento meccanico dell'operaio, in ogni oggetto plasmato dalle mani stanche dell'operaio ella cerca quella 'luce di eternità' che fa trascendere l'essere mediante il bullone di una macchina. Poesia effimera nel roboante frastuono delle macchine, illuminazione divina in forma di componenti metallici della Renault.

Il diario redatto durante il suo periodo da operaia porta in sé le stigmate del lento e graduale logoramento della materia umana a contatto con la materia capitalista: ordini da eseguire con prontezza, umiliazioni psicologiche che riducono l'operaio a un personaggio inetto, assenza quasi totale di solidarietà tra i lavoratori. La riduzione dello spirito umano passa dalle macchine dei padroni al quotidiano svolgimento della pratica capitalista sugli strati sociali. Impossibile per la Weil non riconoscere nei tratti della violenza disumana sul lavoratore delle macchine industriali il cittadino oberato dal vuoto e dall'insensatezza della vita, metafora della vita dell'individuo nutrito in teoria dalle belle parole sugli ideali e spinto da una forza selvaggia e disumana verso il basso, in fondo verso la rimozione dell'istinto di giustizia. Il cittadino spento della grande città ricalca semplicemente l'esempio di alienazione subita dall'operaio, la libertà è in ambo i casi ridotta fino a smembrare gli uomini della loro stessa carne che li rende sensibili e dunque uomini. Il sistema capitalista è il risvolto finale di una incessante forza maligna dell'uomo, della sua spinta verso la produzione massimizzata e la costante pressione di una maggiore richiesta di merce, che rende l'uomo schiavo dello stesso sistema che gli offre un posto di lavoro, nel quale è la figura dell'operaio quella ad essere emblema delle dinamiche sociali ed economiche tout-court. Il quadro offerto da Laure Adler nel suo L'insoumise. Simone Weil. Récit (tr. it. L'indomabile Simone Weil, Jaka Book, 2009 Milano) è solo uno dei capolavori scritti in memoria di una donna tanto eccentrica, che portava occhiali spessi, di una bellezza incredibile, ma ricordata come donna 'asessuata' da chi l'ha conosciuta e estremamente attenta alle parole degli altri. Impara a leggere e a scrivere a cinque anni, quando il fratello, futuro genio della matematica, per sorprendere il padre la introduce nel mondo della lettura. Una madre e un padre attenti e sempre presenti sono le uniche presenze in un corollario di eventi in cui c'è poco spazio per gli altri borghesi. Si annoia in classe, ritira lo stipendio da insegnante e lo dispensa ai poveri, si sente rapita da Cristo ad Assisi. Ebrea e cristiana insieme, Simone accetta la sfida dell'esistenza e di essa vuole scoprirne i retroscena, ma sa benissimo che per fare ciò deve abbandonare il comune modo di pensare e di agire, deve darsi totalmente ad un'ispirazione interiore tanto forte da valerle la definizione di mistica. Mistica, ebrea e cristiana, ma anche operaia e insegnante, madre dei sofferenti, pazza per chi la conosce. La critica a Marx non è altro che la suggellazione di un pensiero che non può che debilitare il corpo. Scoprire l'inganno non poter risolvere l'enigma, forse troppo per l'anima della Weil, incastrata nel corpo di una sofferente di emicranie che non possono che essere il risultato corporale del male che lei stessa si infliggeva, stati di pensiero acuto ai quali seguivano periodi di prostrazione fisica nella fabbrica, sino al tormento per essersi abbandonata alla pigrizia. Lei non voleva oziare e quando i laceranti mal di testa la obbligavano a fermarsi, soffriva del dolore di tutti gli operai che continuavano a lavorare, con i quali condivideva la stessa zona di residenza.

La riflessione della Weil potrebbe essere riassunta con il concetto di passione del pensiero, il cui risultato porta alla disperata e infrangibile struttura di una realtà, la cui essenza risiede nel superamento di quest'ultima tramite la forza del pensiero che trascende l'immanente. Simile a una mistica, questo è infatti un ulteriore aggettivo che la descrive, nella realtà dell'esistenza la Weil scruta in profondità sino a riconoscere i simboli nascosti in essa, gli stessi simboli che l'hanno fatta appassionare alla storia del mito, mondo antico e mai superato al quale la filosofa francese si rifà per spiegare il suo mondo mediante antichi valori sotto forma di chiavi simboliche.

L'immagine del mondo operaio nel quale si concentra la forma di afflizione dell'intero ordine sociale è la metafora buia e meccanica della realtà-incubo dei tempi moderni di Chaplin. Simili a maiali accalcati per riconcorrere il luogo deciso dal capofila, i lavoratori in fila ripresi nel film Tempi moderni, sono gli stessi individui uccisi dal moderno stato sociale e non è un caso che Simone si sente fortemente colpita da questo film.


Vinti dalle macchine e schiacciati dal potere imprenditoriale, l'industria taylorista di Simone Weil è l'emblema dei tempi moderni dell'uomo ai tempi della macchina. Dinanzi a tanto rigorismo meccanico l'individualismo soccombe generando una confusione iniziale che si tramuta ben presto in consenso passivo, perché, come spiega Simone Weil, il movimento meccanico e sempre uguale dell'operaio sale fino al pensiero, il quale, una volta spento sotto la spinta di un lavoro banale e meccanico, entra fino all'anima dell'uomo distruggendone la sua natura e rendendolo più simile alla macchina, anzi suo schiavo. In Tempi moderni il macabro rito subito dall'operaio che si fa macchina, è reso ancora più sarcastico nella scena in cui il presidente della fabbrica è l'unico detentore del tempo e della cultura, dunque del pensiero: questo il paradosso della società squilibrata scoperta dalla Weil, alla classe operaia viene tolto il tempo del pensiero mediante i movimenti meccanici di una fabbrica al cui vertice sta il 'padrone', il vero detentore del potere culturale. Se la cultura è ancora potere in termine di denaro allora ubbidirà alla stessa formula di Marx e verrà ridotta in merce, e dunque svilita della sua essenza. In questo caso la formula stessa della cultura come merce adempierà ai 'tempi moderni' della struttura di classe dedita all'ordine imposto dall'alto. Non si può ora e in questo intricato ammasso di riflessione, non citare Pier Paolo Pasolini e le sue Lettere Luterane, raccolta di pensieri in forma di articoli del pensatore italiano. Pasolini traccia il radicale cambiamento della struttura antropologica e sociale degli italiani che si interseca alla componente geografica, sud e nord, periferia e centro come la borghesia e la classe operaia. Il punto cardine delle riflessioni pasoliniane racchiudono la verità, oramai avveratasi, del pericolo che Simone Weil vede riflesso sulla pelle dell'operaio; i 'giovani deturpati' e 'brutti', con i loro 'occhi spenti' e le facce 'tristi' descritte da Pasolini sono i figli dei padri degli operai delle riflessioni di Simone Weil. Il peso della borghesia e la morte lenta ed inesorabile della rude bellezza della periferia, si confonde con l'ascesa dei principi di una società che non è reazionaria, né può essere rivoluzionaria, è servile e asservita.

Un socialismo inesistente, la funzione passiva delle rivoluzioni di classe destinate a cadere nella rete dei giochi di potere del nuovo padrone, sono le false ideologie che cadono nel confronto con il pensiero della filosofa. Più avanti questo illusorio mondo dalla facciata rivoluzionaria dietro alla quale si cela il mostruoso conformismo, resta un inganno di cui Pasolini è il testimone più feroce in Italia. Oggi rimbombano le parole della Weil come questo inganno: alle promesse di rivoluzioni future seguiranno la rassegnazione che non è più solo operaia, ma sociale e umana. Intanto una struttura sociale dal sapore democratico e dal cuore classista continua ad oscillare come i bulloni umani degli operai della Renault.


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