10 marzo 2024

L’ultimo sguardo di Antonioni sulla Sicilia

Noto, Mandorli, Vulcano, Stromboli, Carnevale

Ci sono vari modi per raccontare una terra, le sue tradizioni, le sue bellezze. Ci si può, ad esempio, affidare all’arte per dar vita ad una narrazione tanto nobile quanto necessaria. Che si tratti di fotografia, pittura o cinema, ci vuole una grande maestria per restituire al meglio il ritratto di una terra, del suo popolo, delle sue contraddizioni, ma anche della sua architettura, della natura che la circonda e della sua cultura. A raccontare con grazia e realismo la Sicilia è stato Michelangelo Antonioni nel cortometraggio Noto, Mandorli, Vulcano, Stromboli, Carnevale.

Nel 1992 Siviglia accoglie l’Esposizione Universale, il tema è “L’era delle scoperte” e la data  scelta per la sua conclusione è il 12 ottobre, per celebrare i 500 dalla scoperta dell’America. L’Italia è fra i paesi partecipanti e si presenta con un padiglione, progettato dagli architetti Gae AulentiPierluigi Spadolini, che per grandezza è secondo solo a quello della Spagna, confermando, così, di essere una delle nazioni più importanti del globo. 

Per l’occasione, l’Enel (Ente Nazionale per l’Energia elettrica) affida la realizzazione del video di presentazione dell’Italia al regista Michelangelo Antonioni. Il documentario, dal titolo Noto, Mandorli, Vulcano, Stromboli, Carnevale (1992), è un cortometraggio della durata di poco più di 10 minuti e vede come protagonista la Trinacria. Vi sono, infatti, «cinque momenti, cinque sguardi di Antonioni sulla Sicilia: un ritorno a Noto, uno dei luoghi de L’avventura; una visione inquietante  dei vulcani Stromboli e Vulcano; le immagini dolci e riposanti dei mandorli fioriti sulle colline di Noto; il carnevale di Acireale».

La prima immagine che apre il cortometraggio è quella della meravigliosa città di Noto, dal 2002 dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, presentata nella didascalia in sovrimpressione come “città già protagonista ne L’avventura di Michelangelo Antonioni”. Non è, infatti, la prima volta che Antonioni posa il suo sguardo su Noto e, più in generale, sulla Sicilia.
Già nel 1960 la città barocca è stata parte integrante del primo film della tetralogia incentrata sulla “malattia dei sentimenti”, L’avventura. In questa pellicola, interpretata da Lea Massari, Monica Vitti e Gabriele Ferzetti e presentata al Festival di Cannes, Antonioni «ci offre immagini ripetute di  decadenza pittorica rappresentata da costruzioni barocche in cattivo stato di conservazione», ma anche frames in cui sono raffigurati la Cattedrale, la piazza e le facciate. Anche in questo corto, vengono riprese alcune di queste immagini: la suora che agita le campane, balconi, finestre e diversi particolari architettonici. In questo lavoro, ciò che colpisce è il continuo ricorso ai dettagli che racconta sia lo sguardo del regista che l’oggetto stesso di questo sguardo.

Dopo Noto, a essere rappresentato è il mandorlo, descritto nella didascalia come “il primo albero che annuncia la fine dell’inverno con la sua fioritura”. Qui, attraverso una bellissima panoramica, in cui il bianco fa da padrone, agli occhi del pubblico si presenta una distesa di alberi di mandorlo, che simboleggiano il rinnovarsi della natura, la delicatezza, la speranza. Questo albero, inoltre, è stato spesso oggetto di attenzione da parte di pittori come Vincent van Gogh, John Russell, Paul Cézanne e John William Waterhouse.

A seguire, lo sguardo del regista si sposta su Vulcano, una delle isole appartenente all’arcipelago delle Eolie che, come appare nella didascalia, “prende il nome dato dai Romani al dio del fuoco terrestre e distruttore”. La macchina da presa si posa sul cratere ed è avvolta dal fumo, si nota un cambio del colore ed anche del mood: dal bianco rasserenante del mandorlo al nero inquietante del vulcano. 

In seguito, si giunge a Stromboli, altra isola delle Eolie, presentata con un riferimento letterario: “Jules Verne ha ambientato a Stromboli la conclusione del celebre romanzo Viaggio al centro della terra”. Anche qui, come nell’immagine precedente, il focus delle inquadrature è costituito dal cratere e dal fumo ed è, dunque, la natura in tutta la sua imponenza a vincere.

L’ultimo momento scelto da Antonioni si discosta dagli altri, in particolare dagli ultimi tre, perché protagonista non è più la natura ma l’antropos, l’essere umano. Il contesto rappresentato è quello del Carnevale nella splendida cornice della città di Acireale, perla della Sicilia orientale, famosa per le sue chiese (è infatti conosciuta come la città dei cento campanili), per la sua architettura barocca e per essere teatro del “più bel Carnevale di Sicilia”. Dopo un’iniziale inquadratura dall’alto che riprende un’immensa distesa di gente che affolla il centro storico della città, appare la didascalia: “il Carnevale di Acireale ha origini antiche che risalgono alla fine del ‘500”. Qui la macchina da presa adesso è in piazza, insieme a uomini, donne e bambini, e restituisce dettagli delle macchine infiorate e dei carri allegorici, storici protagonisti della manifestazione acese, gli stessi di cui parla Franco Battiato quando, nel brano del 1981 Cuccurucucù, canta: “Per carnevale suonavo sopra i carri in maschera”. Ci sono luci, divertimento, musica, folklore in un mix fra inquadrature dall’alto e particolari dei carri in movimento, perché, come afferma il musicista Nicola Sani, curatore delle musiche del corto, «Antonioni voleva la festa, le bande, strumenti popolari. Ogni immagine ha la sua musica. [...] Volevamo che la musica non fosse semplice accompagnamento, ma che fosse dentro alle immagini». La stessa atmosfera di festa che appare già in alcuni filmati del 1934 dell’Istituto Luce che raccontano di questo storico Carnevale. 

Vi è un elemento di ciclicità in questo corto che si apre con Noto e si chiude con Acireale, e vede al centro la natura. Un cerchio che si chiude. È inevitabile chiedersi cosa abbia spinto il cineasta a scegliere proprio queste cinque immagini della Sicilia in un contesto così importante come quello dell’Expo. Forse si è cercato di andare verso una rappresentazione che mettesse in luce le varie sfumature di questa terra: da un lato l’austerità dell’architettura barocca, dall’altro il dinamismo naturale e antropologico che si manifesta attraverso i due vulcani e il Carnevale. Prima l’energia e la pulsione espresse con le inquadrature dei due crateri, poi i movimenti della folla in festa in uno storico momento di condivisione che si ripete ogni anno. Non a caso, infatti, secondo alcuni studi demoetnoantropologici: 

una festa popolare, […] reca dentro di sé un patrimonio di cultura; […] la festa è molto spesso un fatto sociale totale; […]  è principalmente un organismo vivo e, seppure legato alle forme ripetitive del rito, non può che alimentarsi di una umanità cangiante dalla quale trae la sua ragion d’essere. Un patrimonio del passato dunque che si invera e si rinnova continuamente nel presente.

In questo corto, sicuramente poco conosciuto rispetto ad altre opere, lo sguardo di Antonioni appare, dunque, attento e selettivo, volto a raccontare al mondo intero la complessità e la maestosità di una terra da lui amata attraverso poche immagini. 

Francesca Bella

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