Ci sono capolavori che di primo acchito non sembrano superare la prova del tempo, circoscritti come sono dentro un certo periodo storico o una tematica specifica. Invece, in una maniera meno immediata, riescono comunque ad arrivare al cuore delle problematiche contemporanee. Madame Bovary è uno di questi.
È la figura paradossalmente più vicina e più lontana a Emma: anche in Homais infatti c’è un desiderio eccessivo e dirompente. Il farmacista vuole essere riconosciuto dai suoi concittadini come persona eccellente e, in qualche modo superiore. Homais è informatissimo sulle novità scientifiche e si occupa di quelli che ritiene i problemi della sua cittadina soltanto per ottenere l’apprezzamento dei compaesani. La sua massima ambizione è infine quella di ricevere dallo Stato un’onorificenza che certifichi la sua “grandezza”.
Madame Bovary invece non capisce cosa vuole: il suo desiderio, sebbene intenso come quello di Homais, non si può concretizzare in una medaglia data dallo Stato, né in una qualsiasi cosa tangibile che la società può offrire. Emma si getta tra le braccia di tanti uomini, senza accorgersi che, in realtà, non le interessa il godimento o l’amore effimero che possono dare. Non è un Don Giovanni al femminile. Sembra cercare invece una condizione di completezza, di Amore assoluto, che si ritrova nel Divino. Più volte nel romanzo viene nominato il suo periodo di studi in convento:
Giocava pochissimo durante la ricreazione, capiva bene il catechismo, ed era sempre lei che rispondeva alle domande difficili del vicario parrocchiale. Vivendo insomma senza mai uscire dalla tiepida atmosfera delle aule e in mezzo a quelle donne dalla carnagione pallida, che stringevano rosari dalla croce di rame, si assopì dolcemente nel languore mistico che esala dai profumi dell’altare, dal fresco delle acquasantiere e dal fulgore dei ceri. Invece di seguire la messa, guardava nel suo libro le immagini devote dall’orlo azzurro, e amava la pecorella smarrita, il sacro cuore trafitto da frecce acuminate, o il povero Gesù che sulla via del Calvario cade sotto la croce. Tentò, per mortificarsi, di rimanere un’intera giornata senza mangiare. Escogitava di fare qualche voto.
Si può ipotizzare quindi che Bovary cerchi, tramite l’eccitazione amorosa, di tornare a quell’estasi mistica dell’adolescenza, così completa e soddisfacente. Uscita dal convento, quindi, il suo Desiderio diventa incontentabile e la porta a voler uscire da sé, da tutto quello che vive, a colmare questa assenza con degli amori, sempre più travolgenti. Nessuno però è in grado di placare il suo desiderio. In definitiva, Emma Rouault è vittima di sé stessa. Il suo è un malessere che non si può curare.
Il delirio di Madame Bovary, questa ricerca indefinita e costante di altro, è anche il delirio dell’artista romantico, che nella società utilitaristica e banale, non riesce a vivere: ecco perché tenta di sfuggirne, inutilmente.
La visione dell’artista che tenta sempre di superare sé stesso e la società entra in crisi all’inizio del Novecento. Forse a causa della Grande guerra e del nichilismo profetizzato da Nietzsche, l’artista si scopre senza alcuno scopo, senza alcuna bellezza da raccontare. E qui fa il contrario rispetto a Madame Bovary: vuole rientrare nell’ordinario. Emblematica è la poesia La signorina Felicita ovvero la Felicità (1911) di Guido Gozzano, dove il poeta dichiara l’intento di annullarsi, di voler rientrare nelle calde banalità del quotidiano:
Oh! Questa vita sterile, di sogno!Meglio la vita ruvida concretaDel buon mercante inteso alla moneta,meglio andare sferzati dal bisogno,ma vivere di vita! Io mi vergogno,sì, mi vergogno d’essere un poeta!
Ed io non voglio più essere io!Non più l’esteta gelido, il sofista,ma vivere nel tuo borgo natio,ma vivere alla piccola conquistamercanteggiando placido, in obliocome tuo padre, come il farmacista…
Da notare come il modello di vita del poeta sia un farmacista, come Homais!
Ma a parte Gozzano si potrebbero fare molti altri esempi: Rimbaud che a poco più di vent’anni rinuncia a scrivere poesie e inizia una travagliata vita di viaggi e commercio; o la One year performance (1985) dell’artista performativo Tehching Hsieh, che è rimasto un anno senza produrre arte. Sebbene quest’ultimo sia un caso estremo, testimonia comunque il paradosso dell’artista che rinuncia alla sua arte.
Insomma, Madame Bovary sembra sia stata dimenticata dagli artisti del XX secolo. Ma la verità è che anche Gozzano, Rimbaud, Hsieh, sono vittime dello stesso desiderio inestinguibile. Può venire in aiuto un altro passo del romanzo flaubertiano:
Emma ritrovava nell’adulterio tutte le banalità del matrimonio. Ma come riuscire a liberarsene? Inoltre, benché una felicità tanto mediocre la umiliasse, per abitudine o vizio vi rimaneva avvinta; vi si ostinava anzi sempre più, con il passare dei giorni, inaridendo ogni piacere per esigerne troppo […] Avrebbe voluto non più vivere, o dormire continuamente.
Quel inaridendo ogni piacere per esigerne troppo anticipa un tema cardine del Novecento. Il Desiderio che diventa noia è, avrebbe detto Carmelo Bene, porno. Ovvero, il volere un desiderio che in fin dei conti non esiste più nella realtà. Madame Bovary è vittima di questo come anche Rimbaud o gli altri. E infatti, Emma, che rappresenta simbolicamente l’artista, è morta, allo stesso modo del poeta maledetto francese. Entrambi si sono uccisi, rinunciando a sé stessi e alla loro personalità.
Insomma, Madame Bovary, apparentemente relegata alla visione romantica dell’artista, è in realtà attuale, ricca di significato. Anche lei, come tutti i più grandi artisti del Novecento e contemporanei ha cercato di dare un senso alla sua vita, un “grande scopo”. Quando Beckett, un altro grande del XXI secolo scrisse la pieces teatrale Aspettando Godot pensava proprio a questo: cosa succede all’uomo quando cerca di dare un senso alla vita? Esiste un senso oppure ce lo diamo noi? Questa indagine può consumare l’individuo, e soprattutto l’artista, l’essere contemplativo per eccellenza. Eppure, ogni persona compie questa ricerca. Ogni persona è, almeno un po’, Madame Bovary.
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