18 giugno 2011

L’empatia come fine

empatia

Se si osservano i mutamenti della storia non sarà difficile notarne un’evoluzione apparentemente lineare, come se la nostra civiltà tendesse verso qualcosa, verso una sorta di finalità o direzione... Ma si può facilmente obiettare asserendo che tale affermazione non è del tutto veritiera perché, in effetti, le vicende storiche a volte paiono ripetersi, gli errori del passato ritornano e la dialettica su certi aspetti della vita sembrano affievolirsi e ricomparire. Se ad esempio ci focalizziamo sull’uso della guerra come espediente per risolvere le controversie tra popoli, potremmo tranquillamente dire che la storia non ha insegnato nulla. Oppure se consideriamo le forme di governo riscontriamo evoluzioni e involuzioni: governi democratici e autoritari, dittature e teocrazie fino ad oggi, senza un’apparente finalità come precedentemente affermato.
Sicché potremmo dire che questa storia, o questi aspetti della storia umana, per quanto fondamentali per la nostra esistenza non paiono sufficientemente adatti per tracciare il profilo della civiltà umana. Ma se invece considerassimo un altro aspetto insito nella storia, troveremmo una nuova coerenza: se fosse possibile misurare con strumenti scientifici il grado di empatia tra persone, potremmo certamente dire che essa è costantemente aumentata nel corso dei secoli e che segna un filo conduttore assai interessante...



La parola empatia deriva dal greco empateia ossia en “dentro” e pathos “sofferenza o sentimento”: l’empatia così risulta essere quella capacità, umana e non, di immedesimarsi e comprendere i sentimenti altrui. Questo sentimento sta suscitando un crescente interesse soprattutto da quando ne è stata data certezza scientifica attraverso la scoperta (tutta italiana) dei neuroni specchio. I neuroni specchio sono dei neuroni che si attivano in egual modo sia quando compiamo certe azioni, sia quando certe azioni vengono eseguite da altri. Dunque la capacità di immedesimarsi nei sentimenti e nelle sensazioni altrui è reale ma estremamente variabile da individuo ad individuo. Così l’odierna sensibilità nei confronti di certi aspetti emotivi della vita: l’amore verso gli animali, quello verso la natura o il prossimo, derivano sostanzialmente da un percorso evolutivo che “filosoficamente” potremmo interpretare in chiave empatica.



Si pensi alla schiavitù, a come in passato questa pratica fosse non solo accettata, ma anche normata dagli stati; solo l’aumento della sensibilità verso il destino e la sofferenza degli altri uomini ne ha determinato la sostanziale scomparsa. Questa sensibilità o coscienza empatica, ha modificato i rapporti interpersonali come quello tra padre e figli, tra marito e moglie e tra individui proprio perché è scattato il meccanismo del dialogo e della reciproca comprensione; in forza di tutto ciò v’è stata l’introduzione della psicoanalisi e la conseguente spiegazione di come certe alterazioni del comportamento siano riconducibili a cause certe e non più frutto della superstizione o della magia. In questo modo l’uomo è stato interpretato anche attraverso le sue fragilità e le sue esigenze. Si è diffusa così una coscienza empatica verso i destini di altri popoli oppressi o colpiti dalle calamità naturali, magari in ragione di un legame con quei luoghi, dove sempre più individui sono stati in vacanza o per lavoro grazie allo sviluppo di una rapida mobilità.

In questo senso la tecnologia e la scienza hanno avvicinato ed esaltato il senso empatico tra uomini. L’uso del telefono, dell’aereo e ovviamente di internet ha stravolto ogni passata prospettiva. Su internet soprattutto vengono oggi condivise le esperienze di ogni uomo tramite Facebook o scambi di email: foto, video e notizie da ogni angolo remoto del pianeta ci rendono sempre più in stretto contatto, e potremmo anche aggiungere, sempre più simili… I vizi e i comportamenti di un bambino italiano sono sempre più simili a quelli di un bambino giapponese, sudafricano o europeo che magari condivide l’interesse di giocare con i
videogames, guardare la TV, uscire con i compagni o andare a scuola. Anche i paesaggi urbani si uniformano facendoci percepire una costante sensazione di famigliarità sia che ci troviamo a New York, a Tokyo o a Francoforte. Sicché la percezione della diversità si riduce e gli individui di aree lontane entrano sempre più facilmente in rapporto empatico. Così i problemi di altri popoli divengono empaticamente i nostri e le sofferenze altrui ci emozionano e ci hanno spinto a seguire con passione le rivolte studentesche di piazza Tienamen o la caduta del muro di Berlino nel 1989, le devastazioni dell’uragano Katrina nel 2005, lo tsunami dell’Oceano Indiano nel 2004 e quello del Giappone di qualche mese fa, per non parlare delle proteste contro la guerra in Iraq del 2003 o l’onda emotiva dell’11 settembre 2001.

Bisogna quindi sempre più considerare la capacità di immedesimarsi negli altri, perché è proprio l’empatia ad aver spazzato le vecchie consuetudini e smosso le coscienze. Un sommovimento che ha toccato anche altri aspetti della vita, come quello legato agli animali e alla natura. Se nei secoli passati la vita e la morte degli animali ci era sostanzialmente indifferente, salvo essere collegata ad un mero interesse economico, oggi agguerriti movimenti animalisti hanno indotto i governi a varare leggi a protezione dei loro diritti. Così se oggi si uccide deliberatamente un cane o un gatto si è passibili di una sanzione penale, con l’ovvia collera di migliaia di persone indignate per la crudeltà del gesto: una sensibilità impensabile al tempo dell’Impero Romano quando il popolo si divertiva assistendo alle lotte tra belve negli anfiteatri. La sensibilità si è spostata anche alla sperimentazione animale dove nuove norme impongono ai laboratori il ricorso alla vivisezione solo in pochi casi e comunque tramite l’uso di antidolorifici. Ma esistono anche altre forme empatiche verso gli animali, come il vegetarianesimo o le crescenti lotte per l’abolizione della caccia e della pesca.
Dunque la natura e l’ambiente ormai entrano prepotentemente nel nuovo flusso di coscienza empatica: l’interesse verso il destino delle foreste amazzoniche, lo strato di ozono e i cambiamenti climatici globali, l’ecosostenibilità dei processi industriali e la riduzione degli sprechi, rientra in un processo che negli ultimi trent’anni mostra importanti segnali di consapevolezza. Una coscienza che oltre a porsi in sintonia con i destini altrui, si pone la domanda sul proprio e su quanto ogni singolo aspetto della propria esistenza possa, in un modo o nell’altro, garantire una migliore sopravvivenza all’umanità.

Ma per quale ragione il grado di empatia tra i popoli è aumentato nel corso dei secoli? Quale processo si è innescato affinché gli uomini acquisiscano una nuova coscienza che include finalmente gli altri? La ragione è semplice, l’interscambio tra genti e nazioni è la chiave di volta di una reciproca conoscenza che allarga i confini della propria appartenenza. Se dapprima l’uomo identificava la propria individualità nella comunità ristretta di un paesino o di un regno, oggi il concetto perde sempre più di senso. Le persone abbandonano i rigidi schemi nazionali per considerare il proprio essere appartenente all’intero pianeta. Sempre più persone infatti si considerano “cittadini del mondo” piuttosto che italiani o americani. Un mutamento antropologico che induce a pensare il futuro in termini certamente più positivi ed estremamente diversi da quelli di oggi.
Tuttavia questo ragionamento che chiama in causa ancora una volta l’empatia sembra cozzare con ciò che quotidianamente vediamo: con la devastazione di intere aree del pianeta, le guerre regionali o lo strenuo consumismo. Questa opposizione è certamente vera ma non esclude
in toto il nostro discorso, perché i termini su cui bisogna considerare questo ragionamento sono relativi ad un cambiamento lento e progressivo; un cambiamento che certamente non abbraccia l’intera società, e che determina piccoli ma significative evoluzioni nel corso delle generazioni.

L’odierno equilibrio naturale del pianeta, proprio a causa della sua alterazione, richiederà un deciso cambio dei cicli produttivi e delle abitudini individuali. Un cambiamento che potrebbe avvenire grazie alle nuove scoperte tecnologiche e a nuove forme di energia pulita, anche se allo stato attuale questa ipotesi appare lontana. Così questo meccanismo ormai insostenibile dimostra probabilmente come laddove una civiltà giunge al massimo sviluppo economico e tecnologico, arriva anche il suo declino. In fondo altre civiltà sono scomparse per queste ragioni, schiacciate dal peso di uno sviluppo che ha poi ucciso l’economia e la capacità di sopravvivenza.
La nostra civiltà apparentemente si muove allo stesso modo, laddove si sta evidenziando un picco di benessere, subentra anche una maggiore pressione antropica, un’entropia che si ripercuote nell’intero pianeta erodendone le risorse a lungo termine. È possibile immaginare un’accelerazione del processo empatico tale da innescare un meccanismo virtuoso nella gestione di noi stessi e degli altri, affinché germogli di una nuova civiltà (che magari torni a rivalutare quel lato spirituale perso nell’ombra dei secoli). Se avverrà concretamente qualcosa è difficile dirlo anche perché la storia umana è poco prevedibile. Tuttavia l’unica apparente certezza è che l’empatia tra esseri umani sembra rappresentare il vero filo conduttore della nostra civiltà.



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