23 gennaio 2012

Elegante e austero: l’ultimo Faletti

Tre atti e due tempi

Non avevo mai letto niente di Faletti, a parte qualche riga rubata durante le frettolose “sniffate” in libreria. L’ultimo suo libro pubblicato, uscito alla fine del 2011, Tre atti e due tempi – Einaudi, dodici euro – mi ha davvero sorpreso. Certo, ormai Faletti è una firma sicura e accettata, nonostante il “peccato originale” dello strepitoso successo commerciale dell’esordio, anche dalla critica più esigente. Il potente critico del «Corriere» Antonio D’Orrico, poi, è un suo dichiarato ammiratore. Ciò non toglie che da un autore di thriller che dispone di una platea di lettori così ampia, non mi aspettavo questa qualità. Tre atti e due tempi è un romanzo sussurrato, elegante, educato, scritto con parole precise e misurate. Certe atmosfere da provincia sonnolenta care a Simenon e la solitudine del protagonista sono davvero ben descritte:


La città, da sempre, aspetta.
Sono i cicli morbidi della provincia, dove tutto arriva con calma, da fuori. Una volta era la ferrovia, poi sono arrivate le automobili, la televisione, l’autostrada e ora Internet.
Ma il senso rimane quello.
L’attesa si è fatta solo un poco più ansiosa, l’orgasmo un poco più precoce.
Ci sono ancora dei bar e dei perdigiorno, persone che hanno i soldi e persone che esibiscono soldi che non hanno. Ci sono parole vuote e discorsi pieni di parole, che sovente hanno lo stesso significato. La faccia al sole contende con tenacia spazio alla faccia in ombra.
E viceversa.
Qui, come in altre città simili a questa, in realtà Facebook è sempre esistito. Contatti fatti di sussurri, sguardi, cose dette di fronte e fatte alle spalle, sedili ribaltati, sesso frettoloso con addosso i calzini, matrimoni, separazioni e ancora matrimoni. I ricchi con i ricchi, i poveri cristi con i poveri cristi. Solo la bellezza è una merce di scambio in grado di sospendere questa cadenza e sovvertire i pronostici. Il pensiero è concentrato e diluito, rarefatto e rappreso, noncurante e permaloso.

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