21 marzo 2010

Memorie dal sottosuolo - Fëdor M. Dostoevskij (Romanzo - 1864)


E ora ho voglia di raccontarvi, signori, vi piaccia o non vi piaccia, perché io non sia riuscito a diventare nemmeno un insetto. Vi dichiaro solennemente che spesso desideravo diventare un insetto. Ma neppure di ciò ero degno. Vi giuro, signori, che aver troppa consapevolezza è una malattia, un'autentica, seria malattia.


Dostoevskij ha descritto categorie di uomini che tuttora esistono, che probabilmente non si estingueranno mai... In questo profondissimo romanzo è ritratto un uomo che ancora non è il superuomo negativo che tratteggerà compiutamente in altri romanzi, il crudele gratuito, ma è abbozzato un superuomo ante litteram, troppo onesto ma poco coraggioso, troppo legato a un certo tipo d'idea di giustizia per esserlo fino in fondo.
L'io narrante è di certo l'autore stesso; in una densa e cupa confessione si dipinge con tutte le paranoie che abbiamo imparato a riconoscere nella sua opera e nella sua vita. E' dunque, almeno nei sentimenti, un romanzo autobiografico. E' perciò un romanzo esistenziale, nel quale l'esistenza è analizzata come modo d'essere proprio dell'uomo, raffigurata nella vanità e nella singolarità irriducibile del singolo, dell'individuo. A tratti sembra di leggere Kafka...
L'io delle "Memorie" è in sostanza un uomo arrabbiato, irato contro il mondo e contro tutti; nevrotico, come recita il sottotitolo. Un uomo però intelligente, malato della sua cattiveria; un uomo con molte qualità si direbbe; è, come ci insegnerà più tardi uno scrittore austriaco, un uomo senza qualità. E allora questo eroe, questo antieroe anzi, si sfoga per marcare la differenza tra lui stesso, sofferente e per questo consapevole, e gli altri, desiderosi solo del benessere economico e privi di coscienza. Si scaglia così (e non è possibile non ricordare un celebre "Discorso" di Rousseau) contro l'ottimismo verso il progresso e le scienze, rei, secondo il romanziere russo, di essere la causa della decadenza dell'Europa, della Russia e più in generale dell'uomo.
Dopo l'aggressivo e solenne sfogo iniziale, il narratore quarantenne ricorda una storia di lui ventiquattrenne che lo ossessiona e che, forse, scrivendola, potrà aiutarlo nel suo tentativo di catarsi. Tuttavia alla fine si capirà che non scrive unicamente per purificarsi, ma anche per punirsi. Odia tutti e odia soprattutto se stesso, e il ricordo masochista lo aiuta a rivivere la sua odiabile esistenza. La verità, a braccetto con la meschinità, è l'arma che l'io narrante usa per fare del male agli altri e per fare del male a se stesso. L'invidia e la collera lo portano a perseguitare gli altri, i pochi che conosce e che disprezza. E' invidioso, cattivo, lontano intenzionalmente dalla società. Un uomo che nel suo sottosuolo, nel suo vivere nascosto non riesce a trovare la serenità, bensì solo il tormento. Un umiliato e offeso, dunque, volutamente da sé; un uomo ancora non estinto...

Le foto e i post, se non diversamente specificato, sono state realizzate da Salvatore Calafiore e si possono trovare, insieme ad altro, su: http://salvokalat.blogspot.com/

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