8 gennaio 2011

Astro-Black Infinity: la musica di Sun Ra, una breve introduzione


(Dal sito hadesrecords.com)

Sto dipingendo un quadro di cose che conosco e che ho provato e che il mondo non ha la possibilità di vedere, il quadro di un altro piano di esistenza, in un certo senso, qualcosa che è così lontano che sembrerebbe non esistere. Sto dipingendo un quadro di tutto ciò, un mondo fatto di felicità che la gente ha cercato o detto di volere, ma che non sono stati in grado di raggiungere.(Sun Ra)

A più di diciassette anni dalla sua morte, lo spirito della musica di Sun Ra è a tutt’oggi riferimento per sperimentatori di ogni schiatta, indipendentemente dai generi e dalle filiazioni. Già nei primi anni novanta la sua musica era stata riproposta da un fan d’eccezione come Thurston Moore dei Sonic Youth, chissà cosa accadrebbe oggi che Brian Chippendale dei Lightning Bolt ne è un fanatico collezionista.
In fondo la storia e l’arte di Hermann Sonny Blount, nato a Birmingham nel 1914, è quella di molti outsiders della storia culturale americana del secolo scorso, da Harry Partch a Louis Thomas “Moondog” Hardin, figure “laterali” capaci di dar vita a un proprio compiuto mondo espressivo dove poter realizzare una ricerca di libertà dalle convenzioni anche esistenziale.
Sin da ragazzino sperimenta la segregazione e il razzismo, e la sua risposta è psicologicamente creativa, per quanto borderline: si inventa un suo mondo e inizia a popolarlo. Nel corso degli anni Sun Ra inventerà una propria mitologia (nato su Saturno, il suo nome stesso deriva da Sun, ovvero il Sole e Ra, il dio egizio il cui culto era legato allo stesso pianeta) e un proprio universo poetico (i suoi versi echeggiano la visionarietà di William Blake, come ha acutamente notato Gianni Morelembaum Gualberto).
Una ricerca di radici culturali a vari livelli, già costante della (contro)cultura nera sin dagli anni venti, una rivendicazione identitaria infarcita da simboli mitologici e clichés fantascientifici, un costante sarcasmo nei confronti della “realtà”, un universo (il linguaggio di Sun Ra è pieno di mondi: The Outer Space, The Outer World, The Other Cosmos) di cui la musica sarebbe il propellente, la creazione e il veicolo principale.

Space is the Place, di cui il musicista è sceneggiatore è un tentativo di portare questa filosofia al grande pubblico. Realizzato nel 1974 da John Coney, regista televisivo di stanza a Chicago, si inserisce nel filone blaxploitation (quello omaggiato da Tarantino in Jackie Brown e con cui si cimenteranno geni come Curtis Mayfield e Isaac Hayes producendo rispettivamente le colonne sonore per Superfly e Shaft). Ci sarebbe voluta forse la visionarietà di un Alejandro Jodorowski; resta un film di culto con molte pecche ma, alieno qual è, buon compagno dei più di duecento dischi registrati (per lo più autoprodotti) dagli anni cinquanta ai primi anni novanta, quando Sun Ra muore d’infarto.
Uscito dal carcere (obiettore di coscienza durante la Seconda Guerra Mondiale), si trasferisce a Chicago, dove negli anni quaranta entra a far parte dell’orchestra di Fletcher Henderson, uno dei suoi idoli. Autodidatta (suona il piano a sette anni e per una banda della scuola trascrive brani swing trasmessi da radio locali), Le Sony’Ra, nome d’inizio carriera, rivela col passare del tempo consapevolezza delle dinamiche orchestrali quanto fascino per “altri” suoni, come l’exotica (una musica dei primi anni cinquanta, un primo esempio di sincretismo “postmoderno” tra classica contemporanea e musica etnica) e accordi e arrangiamenti non ortodossi.
Forma piccoli gruppi, allargandoli progressivamente fino a raggiungere un organico orchestrale (ribattezzato Ark-estra). Sonny dorme poco e scrive tantissimo, si rinchiude in studio per registrare direttamente col gruppo, si dedica alle antiche culture africane (nel 1971 terrà una serie di lezioni a Berkley sul Libro Egiziano dei Morti e sulle relazioni tra i culti osiridei e il monoteismo ebraico). Music From Tomorrow’s Worlds, con registrazioni dal vivo al Wonder Inn e alla Majestic Hall del 1960, ristampato dalla Atavistic nel 2002, è un fedele documento del periodo.
Prima di spostarsi nel Greenwich Village a New York nel 1961, dove Coltrane, Albert Ayler e Cecil Taylor stanno mettendo a punto i propri dispositivi musicali, restano fissi solo i sassofonisti John Gilmore e Marshall Allen e il bassista Ronnie Boykins, mentre il trombettista Phil Coran lascia il gruppo per fondare il suo African Heritage Ensemble.
Entra al suo posto Eddie Gale, il baritonista Pat Patrick, il chitarrista elettrico Calvin Newborn. Già Secrets of The Sun, ristampato nel 2008 con l’aggiunta di materiale inedito del 1962, ultime sedute chicagoane, mostra i prodromi di quel che sarà: un Gillmore già maturo (che si presterà a Andrew Hill e influenzerà l’ultimo Coltrane), un suono più vario che comprende oboe, clarinetto basso, percussioni “spaziali” e voci “effettate”.
La nuova collocazione favorisce la creatività: si introducono strumenti inusuali (campane, percussioni, gong, tastiere e sintetizzatori), mentre i membri iniziano a indossare strani costumi “spaziali”, trovarobato teatrale o cinematografico. Il suono è in costante evoluzione, dischi in gran quantità vengono licenziati tramite El Saturn e venduti autonomamente ai concerti; un meccanismo di autoproduzione in anticipo di vent’anni sul punk e sulle sperimentazioni elettroniche.
La musica di Sun Ra arriva comunque a un pubblico più esteso inizialmente attraverso i tre dischi pubblicati dalla oggi rediviva ESP dell’avvocato Bernard Stollman, che dal 1964 documenta l’espansione di quel nuovo esperanto jazzistico, la “nuova cosa” dei vari Giuseppi Logan, Marzette Watts, Milford Graves, da cui il pianista prende le distanze, solo per rimarcare che la sua musica non è “free”: se l’apporto creativo dei singoli musicisti è fondamentale, la direzione è chiara e univoca, e nulla nella musica è lasciato al caso. I primi dischi da cui iniziare per apprezzare la piena maturità del gruppo.
Heliocentrics World Voll. 1 e 2, Nothing is… . Negli stessi anni la collaborazione con il compositore e filmmaker d’avanguardia Phil Niblock produce The Magic Sun, film sperimentale dove le immagini, a partire dai negativi di particolari in movimento delle mani, del volto e degli strumenti, vengono sincronizzate con registrazioni tratte da Strange Strings, rarissimo disco del 1967 ristampato tre anni fa dalla Atavistic.

Strumenti a corda non occidentali, come il dutar di origine iraniana, l’ukelin, una specie di violino con sedici corde dotato di scanalature ai lati per aumentare precisione e controllo dell’archetto, il bandura, un incrocio tra un liuto e una cetra di origine ucraina, vengono decontestualizzati e suonati in una delle partiture più complesse e affascinanti (e anche più difficili) prodotte dal nostro.
Dalle stesse sedute The Solar-Myth Approach, voll. 1/2, stampati a Parigi dalla BYG/Actuel, prosecuzione della ricerca sonora su tastiere (onde martenot, rocksicord, moog, minimoog, wurlitzer) responsabili di dilatazioni dello spazio e dello spettro sonoro; musica estranea alle coordinate classiche di ritmo, armonia e melodia, massa sonora variamente composta e modulata nel corso delle esecuzioni, che si muove per condensazioni, variazioni nella trama sonora, aggiunta e sottrazione di elementi e di strati.
Dal vivo, le percussioni etniche sono un magma ribollente cui si sovrappongono o si danno il cambio note ribattute di piano, tastiera o chitarra elettrica, bordoni di contrabbasso, trame di strumenti a corda e a fiato, che, lontano da qualsiasi arditezza armonica tipica dell’era bop o post bop, creano suoni sovracuti, rumori e vibrazioni ampie e avvolgenti, contrasti e climax. Persino la voce è amplificata (anche utilizzando un bicchiere d’acqua posto sotto le labbra davanti al microfono, negli stessi anni, Demetrio Stratos e Joan La Barbara). 


Poco prima di trasferirsi a Philadelphia («il peggior posto sulla terra, e proprio per questo sapevo che mi ci dovevo trasferire», afferma Sun Ra ribadendo il carattere del suo progetto) si aggiungerà June Tyson, che arricchisce il repertorio del gruppo con brani recitati e cantati, poesie scritte dal leader di cui la performer diventa, sul palco, un magnetico alter ego.
La musica sperimenta anche con formati musicali più strutturati. Dischi come The Night of the Purple Moon (1970) sono dedicati a composizioni più brevi e melodiche, mentre Lanquidity (1978) e Sleeping Beauty (1979) sono sfavillanti costruzioni funky, affini nello spirito a altre produzioni dell’epoca, come quelle targate Strata East, cui un appassionato come il dj della BBC Gilles Peterson ha dedicato, l’anno scorso, un volume fotografico e una doppia raccolta compilata con Stuart Baker (Freedom, Rhythm And Sound, edita da SoulJazz) in cui compare il singolo Nuclear War.
Il brano era stato proposto alla Columbia nel 1982, che lo aveva rifiutato perché troppo esplicito («it’s a motherfucker», proprio nell’epoca in cui il rap inizia ad avere successo globale e MTV è alle porte); verrà pubblicato in Inghilterra dalla Y Records di Mark Stewart su un 12 pollici, marcando una continuità ideale con la scena sperimentale e politicamente consapevole di Bristol, già emersa col punk-funk militante di Pop Group e Slits e alle stelle della cronaca mainstream con il ‘trip-hop’ di Massive Attack e del primo Tricky.
Dopo due decenni di sperimentazioni, afrofuturismi, viaggi per il mondo, contaminazioni, dai primi anni novanta l’Arkestra torna a swingare, allargando il repertorio fino a “tornare” all’amato Fletcher Henderson e riarrangiando in quella chiave (senza abbandonare del tutto l’impronta radicale) il repertorio più noto. Dopo la sua morte, lascerà al fedelissimo Marshall Allen l’eredità di quella che oggi è diventata a tutti gli effetti una rispettata istituzione, per quanto nei circuiti più alternativi.

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