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Musica e letteratura hanno un forte legame, indissolubile. Sono arti che si richiamano spesso; l’una influenza l’altra; si accompagnano creando un’unità sublime e commovente.
Ci sono stati artisti che hanno aperto l’Ottocento, il secolo di una nuova sensibilità, furiosa e solipsistica, ma pochi sono riusciti a definirlo e a influenzare le produzioni artistiche successive. Tra questi pochi eletti, o geni, compaiono due nomi di nazionalità diverse, Giacomo Leopardi e Ludwig van Beethoven. L’uno italiano, l’altro tedesco. Se si vuole giocare con la fantasia e l’immaginazione, strumenti questi di cui si nutrono le arti, si possono figurare i versi delle ultime tre liriche, scritte nel periodo del suo soggiorno napoletano, danzare assieme ai quattro movimenti che compongono l’ultima sinfonia scritta da Beethoven, la Nona. Proseguendo sempre in questo gioco fantastico e bizzarro, si noterà la perfetta armonia che nasce dall’unione degli ultimi palpiti dei due titanici artisti prossimi alla morte.
La Sinfonia n. 9 in Re minore fu composta tra il 1822 e il 1824, anni nei quali il giovane Giacomo Leopardi lasciava Recanati per scoprire l’infelicità che si annidava nel resto delle città italiane. Tre anni dopo Beethoven morì a Vienna. Tra il 1835 e il 1836, trasferitosi a Napoli assieme al suo amico Antonio Ranieri, il poeta dell’Infinito scrisse la Palinodia al marchese Gino Capponi, il Tramonto della luna e la Ginestra. L’anno successivo salpò verso quell’infinito che aveva immaginato sul colle davanti alla siepe.
Queste opere, quindi, furono realizzate poco prima della fine della loro esistenza terrena.
I e II movimento: Allegro ma non troppo, un poco maestoso
L’ultima sinfonia del compositore di Bonn si apre con due movimenti dal celebre motivo, soprattutto il secondo, grazie anche all’uso che ne fece Stanley Kubrick nel controverso Arancia meccanica. L’atmosfera che Beethoven crea è simile a quella di una tempesta. Una bufera minacciosa e turbinosa di archi; un nervosismo di timpani che cresce battuta dopo battuta fino ad esplodere in un fragore assordante, pari a quello di una cascata violenta nel mezzo di una burrasca. Un’ira pazza e incontenibile che riflette i turbamenti titanici di un artista che avvertiva i limiti della propria natura umana. Accompagna questa prima parte della sinfonia il forte sentimento di voler travalicare il confine, un desiderio smanioso di andare oltre, sempre oltre.
Un tale nervosismo, sebbene più misurato, ma, allo stesso tempo, caratterizzato da un’acidità corrosiva, è presente nella Palinodia al marchese Gino Capponi.
Aureo secolo omai volgono, o Gino,i fusi delle Parche. [...]
Sia nella palinodia, un componimento poetico di ritrattazione di precedenti affermazioni, sia nella lirica i Nuovi credenti (due movimenti di una stessa sinfonia), Giacomo Leopardi ironizza sul cieco ottimismo dei suoi tempi. L’Ottocento fu il secolo del progresso sia tecnico che scientifico che garantirono uno sviluppo economico senza precedenti; si poteva parlare di una nuova età dell’oro che avrebbe dovuto garantire un avvenire più appagante per l’umanità. Per Leopardi, voce solitaria e fuori dal coro, non fu affatto così.
Lo sdegno nervoso del poeta nacque dalla consapevolezza di un consorzio umano sempre più viziato e ingiusto (cibo de’ forti/ il debole, cultor de’ ricchi e servo/il digiuno mendico). Allo stesso tempo, l’irritazione furiosa fu esacerbata dalla consapevolezza che, nonostante le scoperte e le invenzioni, l’umanità continuava ancora ad essere indifesa, contro gli attacchi della Natura, e insoddisfatta, perché incapace di godere di una felicità duratura. Anche Leopardi, come Beethoven, visse una tensione interiore nata dall’insofferenza posta dai limiti umani.
Questi e molti altri, che nimici a Cristofuro insin oggi, il mio parlare offende,perché il vivere io chiamo arido e tristo.(I nuovi credenti)
III movimento: Adagio molto e cantabile
Gli umori nel terzo movimento della sinfonia si distendono; alla furia impetuosa e incontenibile dei movimenti precedenti si sostituisce un tono più dimesso ed elegiaco. È una tappa necessaria per far riposare l’animo dopo il fantasmagorico tour de force precedente ma è anche una preparazione alla celeberrima esplosione di gioia ed ottimismo che conclude l’opera.
Facendo uno sforzo di immaginazione, si può raffigurare questo movimento come un viandante che si riposa contemplando il paesaggio circostante. Avverte la dolcezza del momento ma, in fondo, cela una malinconia che lo inquieta.
Tal si dilegua, e talelascia l’età mortalela giovinezza. In fugavan l’ombre e le sembianzedei dilettosi inganni; e vengon menole lontane speranze,ove s’appoggia la mortal natura.Abbandonata, oscuraresta la vita.
Nel Tramonto della luna, ultimo saluto al satellite tanto caro ad un poeta di notturni come Leopardi, le sfumature dei singoli versi si fanno più delicate e malinconiche. Il poeta sveste i panni del nervoso satirico e si rivolge alla pacata contemplazione della natura prima che sorge il sole. Ancora una volta, nelle ore della notte, il poeta si domanda quale sia il senso dell’esistenza per poi arrivare all’amara conclusione che tutte quelle domande, poste dal Pastore errante dell’Asia, non troveranno risposte e, di conseguenza, la vita rimarrà sempre un «fatto estrano».
Non pare di sentire la gravità sommessa dei violini leggendo tali versi?
IV movimento: Allegro energico, sempre ben marcato
Si giunge infine alla maestosità del quarto e ultimo movimento della sinfonia. Si apre con un’introduzione nella quale il maestro di Bonn riprende i tre motivi dei movimenti precedenti, per poi lasciare spazio al recitativo. L’atmosfera adesso è festante e gioiosa; si lasciano i turbamenti titanici e le atmosfere elegiache per fare spazio ad un messaggio di fratellanza e di ottimismo: il celebre Inno alla gioia di Friedrich Schiller.
Seid umschlungen, Millionen!Diesen Kuß der ganzen Welt!Brüder, über'm SternenzeltMuß ein lieber Vater wohnen.
Con toni entusiasti, il coro, simile ad un’onda che si ingrossa battuta dopo battuta, celebra in estasi, come davanti ad una visione ineffabile e profonda, la vera ricchezza che l’umanità possiede: la fratellanza. Beethoven osanna i rapporti con amici e amanti perché tali garantiscono la possibilità di poter resistere alle avversità e ai limiti dell’esistenza umana. La sfrenata sinfonia lascia il pubblico con un messaggio di speranza e di conforto.
L'uomo a cui la sorte benevola,concesse il dono di un amico,chi ha ottenuto una donna devota,unisca il suo giubilo al nostro!
Leopardi, complici anche i manuali scolastici, è etichettato come un poeta pessimista, eppure con la sua ultima poesia, la Ginestra, il poeta prende commiato dal mondo lasciandogli un messaggio positivo, intriso di ottimismo. Come il quarto movimento, anche questa lirica si apre con temi già affrontati in versi precedenti: l’infelicità umana e i disastri provocati dalla Natura, vista come matrigna e indifferente. Nonostante questo, Giacomo Leopardi scorge, come in una amorosa visione, la possibilità che ha l’umanità per poter sopravvivere e resistere con dignità.
Tutti fra se confederati estimagli uomini, e tutti abbracciacon vero amor, porgendovalida e pronta ed aspettando aitanegli ultimi perigli e nelle angoscedella guerra comune.
La «social catena» è l’unica risposta che Leopardi trova; essa è necessaria per sopportare le avversità e le tribolazioni della vita.
Ciò che colpisce è il messaggio di ottimismo che questi due artisti regalarono al mondo prima della loro dipartita. Furono criticati e poco capiti all’epoca; vissero un’esistenza infelice e tribolata, un’asperità che si acuì nell’ultimo periodo del loro soggiorno terreno; eppure avvertirono il bisogno di accomiatarsi dal pubblico con una nota di gioia e di amore per la vita: solo la reciproca e disinteressata cooperazione tra i popoli può rendere il passaggio su questa terra più sopportabile.
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