21 dicembre 2020

Meraviglioso Boccaccio. Elementi carnevaleschi nel Decameron (parte II)

Boccaccio

Nella prima parte abbiamo accennato ai vari livelli di lettura del capolavoro boccacciano, notando al terzo punto la presenza e l’importanza che riveste l’anarchia tipica del carnevale in molte novelle.

Quali sono, quindi, i temi propri del carnevale che ritroviamo nel Decameron

Il corpo umano era diventato qui il principio primo, con l’aiuto del quale e intorno al quale veniva distrutto l’assetto gerarchico del mondo medievale e si creava un ordine nuovo.

carnevale

Il corpo è protagonista e motore di molte novelle; ci viene mostrato assieme a tutto ciò che lo caratterizza e riguarda: i genitali (il «diavolo» di Rustico che si ammansisce nel «ninferno» di Alibech) ed il sesso, il mangiare e gli escrementi.  

Pericone […], con lei incominciò amorosamente a sollazzarsi: il che poi che ella ebbe sentito, non avendo mai davanti saputo con che corno gli uomini cozzano, quasi pentuta del non avere alle lusinghe di Pericone assentito, senza attendere d’essere a così dolci notti invitata, spesse volte se stessa invitava, non colle parole, che non si sapea fare intendere, ma co’ fatti. 

Alatiel, la figlia del sultano di Babilonia, non disegna i piaceri offerti dalla carne, così come le suore del monastero dove lavora lo scaltro Masetto da Lamporecchio. Il corpo si apprestava a diventare, sempre secondo Bachtin, il «centro relativo del cosmo». 

Uno degli elementi obbligatori della festa popolare era il travestimento, cioè il rinnovamento dei vestiti e della propria immagine sociale.

Si traveste la principessa d’Inghilterra («Alessandro posta la mano sopra il petto dello abate, trovò due poppelline tonde e sode e dilicate») e si traveste anche frate Alberto da «agnolo Gabriello» - una parodia del trasumanare dantesco? - per giacere con Lisetta, «giovane donna bamba e sciocca». 

e in quella entrato, con sue frasche che portate avea, in agnolo si trasfigurò, e salitose suso, se n’entrò nella camera della donna. 

Ma si “traveste” anche la «giovane ciciliana bellissima» quando, ingannando Andreuccio da Perugia, afferma di essere sua sorella. Si gioca con il sesso e con la propria identità; il corpo cambia così come la realtà mutevole.  

Altro elemento carnevalesco presente sono gli escrementi: sì, perché il corpo (nuova misura di tutte le cose) irrompe con violenza assieme a tutto ciò che lo caratterizza. 

Sappiamo che gli escrementi hanno avuto un ruolo abbastanza importante nel rituale della festa dei folli. […] Le libertà scatologiche (soprattutto verbali) hanno enorme importanza durante il carnevale. […] Questo è sinonimo di distruzione, sinonimo di tomba per ciò che viene abbassato. Ma tutti i gesti ed espressioni di tal tipo sono ambivalenti. Il fatto è che la tomba che essi scavano è una tomba corporea. La parte bassa del corpo, la zona degli organi genitali, è la parte bassa che feconda e che genera. Per questo motivo, sotto la metafora dell’urina e degli escrementi, si conserva un legame essenziale con la nascita, la fecondità, il rinnovamento, la prosperità.

Feci ed urina: tumulazione/morte; fecondazione/vita. Immerso nelle «brutture» è maestro Simone, vittima di Bruno e Buffalmacco; per non parlare di Calandrino che mangerà gli escrementi canini, beffato sempre da Bruno e Buffalmacco. Anche Andreuccio da Perugia si ritrova immerso negli escrementi. 

Andreuccio dentro sicuramente passato, gli venne per ventura posto il piè sopra una tavola, la quale dalla contrapposta parte sconfitta dal travicello sopra il quale era, per la qual cosa capolevando questa tavola, con lui insieme se n’andò quindi giuso: e di tanto l’amò Iddio, che niuno male si fece nella caduta, quantunque alquanto cadesse da alto; ma tutto della bruttura, della quale il luogo era pieno, s’imbrattò. 

L’ingenuità di Andreuccio fa sì che questo venga truffato; cade nel «chiassetto» ed è lì che muore la sua parte ingenua: alla fine della novella il giovane parte da Napoli, ricco soprattutto di quell’esperienza che lo ha formato e cresciuto. Morte e rinascita. 

Nel campo dell’arte figurativa la paura cosmica (come qualsiasi paura) è vinta dal riso. È per questo che la materia fecale e l’urina, cioè materia comica, corporea e comprensibile ha avuto in essa un ruolo così grande. […]. La paura cosmica è stata vinta dal riso.

Ser Ciappelletto in punto di morte inganna i suoi confessori: l’inganno e la risata hanno la meglio sulla paura della morte. Il riso libera anche dalla paura dell’aldilà. Francesco De Sanctis parlò del Decameron come la risposta “terrena” alla Commedia di Dante Alighieri; nell’ultima il bene è il Paradiso, è lì che deve tendere l’uomo, altrimenti lo aspettano le pene infernali; nella prima invece il diletto è su questa terra. Non c’è dimensione ultraterrena nell’opera del Certaldese, se c’è è creata dall’uomo ed è inserita in una cornice comica e terrena. L’abate per giacere con la moglie di Ferondo dà da bere a quest’ultimo «una polvere di maravigliosa virtù» che lo fa addormentare; al suo risveglio, travestito, l’abate gli fa credere di essere in «purgatoro». Si scherza e si ride di tutto, anche dell’aldilà. 

si verifica una conseguente liberazione dalla meschina serietà degli affari della vita quotidiana, dalla serietà egoista della vita pratica, dalla serietà sentenziosa e cupa dei moralisti e dei bigotti e, infine, da quella grande serietà della paura che è condensata nelle lugubri immagini della fine del mondo, del giudizio universale, dell’inferno, e nelle immagini del paradiso e della beatitudine eterna.

Ultimo elemento sono le percosse

Si sa che nel Medioevo le processioni carnevalesche erano a volte considerate, soprattutto nei paesi germanici, come processioni degli dèi pagani spodestati e rovesciati. L’idea della forza superiore e della verità del passato sconfitte è associata strettamente al nucleo delle immagini carnevalesche. Non è esclusa certo anche un’influenza dei saturnali sullo sviluppo di queste idee medievali. In un certo qual modo gli dèi antichi avevano il ruolo del re detronizzato dei saturnali

Chi è che viene più percosso nel Decameron? È sicuramente lo sventurato Calandrino, immagine dello sciocco per antonomasia. 

e lasciato andare, gli diè con esso nelle reni una gran percossa; e in brieve in cotal guisa or con una parola e or con una altra su per lo Mugnone infino alla porta di San Gallo il vennero lapidando. 

Calandrino viene battuto proprio perché è sciocco: è la vecchia società, tanto ingenua quanto superstiziosa. Ecco perché è necessario “percuoterla”: 

Ogni colpo inferto al vecchio mondo aiuta il nuovo a nascere; è una sorta di taglio cesareo che è fatale per la madre ma che libera il bambino. Si picchiano e si ingiuriano i rappresentanti del mondo vecchio ma che sta per dar la vita.

Calandrino è come il re dei saturnali: il dio percosso ed immolato; che dà la sua vita per far rinascere il mondo. (cfr. J.C. Frazer, La crocifissione di Cristo

Ninetto Davoli, Decameron
Ninetto Davoli, Decameron

Il variegato mondo medievale del Decameron è alla deriva: troppo vecchio e troppo corrotto. 

Parmene male che Iddio dea a quanti sono; e dicoti così, che, se io ben seppi considerare, quivi niuna santità, niuna divozione, niuna buona opera o essemplo di vita o d’altro, in alcuno che cherico fosse veder mi parve, ma lussuria, avarizia e gulosità, fraude, invidia e superbia e simili cose e piggiori, se piggiori essere possono in alcuno, mi vi parve in tanta grazia di tutti vedere, che io ho più tosto quella per una fucina di diaboliche operazioni che di divine. 

Così Abraam, «uomo giudeo», parla della Chiesa al suo amico Giannotto di Civignì. Si ride nelle novelle ma di cosa: di una società corrotta, viziata ed ipocrita. Perfino i legami familiari e di amicizia vengono sacrificati in nome dell’egoismo; tutto pur di soddisfare le proprie voglie. Un mondo dove il criminale viene santificato. Ed ecco che arriva la peste a piegare ancora di più l’umanità in crisi. In questo clima di anarchia carnevalesca Giovanni Boccaccio realizza la necessità di un nuovo ordine che tenga conto della mutata sensibilità. Un nuovo mondo ordinato (come è ordinata la società che costruiscono i giovani fiorentini); amante dei piaceri che la vita su questa terra offre; nel quale nessuno rinnega la propria natura di essere umano (lo capirà Filippo Balducci che tenta inutilmente di reprimere i naturali istinti del figlio); il tutto però senza superare il «segno della ragione», come afferma giustamente Pampinea (l’equilibrio è una virtù necessaria). Un mondo nel quale tutti rispettano tutti. 

Le forme della festa popolare sono rivolte al futuro e rappresentano la vittoria di questo futuro, dell’«età dell’oro», sul passato: è la vittoria dell’abbondanza dei beni materiali, dell’uguaglianza, della fratellanza. L’immortalità del popolo garantisce il trionfo del futuro. La nascita di qualcosa di nuovo, di più grande e di migliore è indispensabile come la morte di ciò che è vecchio. L’uno si trasforma nell’altro, il migliore mette in ridicolo e distrugge il peggiore. 

Viene proprio naturale dirlo: meraviglioso Boccaccio

Emmanuele Antonio Serio

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