6 luglio 2021

Il cinema della diaspora: fenomenologia di un tema

Alì ha gli occhi azzurri

A cavallo tra il XX e il XXI secolo, quel fenomeno di scambio economico/commerciale meglio conosciuto come “globalizzazione”, coincise con lo spostamento di masse che, provenendo soprattutto dalle regioni più povere, erano dirette verso altri paesi in cerca di opportunità. Osservando chi abbandonava la propria patria, cercando di mettere radici altrove, molti registi iniziarono a considerare la centralità della migrazione sul grande schermo, nonché la sensazione di sentirsi sospesi tra due culture, il disagio di parlare la lingua di una minoranza e per molti aspetti il vedersi tagliati fuori dalla vita sociale. 

La Francia fu probabilmente il paese più redditizio dal punto di vista della produzione cinematografica a tema diaspora. A Parigi il peronista Fernando Solanas girò Tangos – L’esilio di Gardel uscito nel 1985, una riflessione sulla cultura popolare argentina. Tre anni dopo Emir Kusturica realizzò Il tempo dei gitani, storia di un membro della comunità Rom che giunto a Milano con la promessa di un futuro migliore, si ritrova a trafficare esseri umani. Nel 1989, diversi iraniani sfuggiti alla rivoluzione degli integralisti islamici e in attesa di trovare asilo in Europa, collaborarono con il regista Reza Allamehzadeh al film Gli ospiti dell’hotel Astoria

Film di questo genere erano opera di molti immigrati di seconda generazione che, pur essendosi integrati nel paese ospitante, restavano comunque parte di una cultura minoritaria. È il caso dei beurs (nordafricani di seconda generazione) in Francia, o dei gastarbeiter turchi (lavoratori – ospiti) in Germania. Spesso questi personaggi venivano a contatto con le proprie radici non mediante la memoria diretta, ma attraverso la cultura popolare. Ne è un esempio, la regista Gurinda Chadha, cresciuta in Inghilterra guardando film indiani con il padre, che raggiunse il successo internazionale nel 2002 con Sognando Beckham. Al centro della trama Jess, ragazza indiana con la passione per il calcio che entra in conflitto con il tradizionalismo della sua famiglia. 

Con l’accentuarsi della mescolanza etnica in molte nazioni, i registi provarono anche a raccontare storie prendendo spunto da scontri e incontri fra gruppi diversi. L’odio dell’immigrato ungherese Mathieu Kassovitz, rappresentò la realtà negli anni ’90 della banlieue parigina, delle gang d’immigrati e di oriundi francesi. 

In Italia fu la regista Roberta Torre a capire quanto sarebbe diventato fondamentale il tema dell’immigrazione nel nuovo secolo e con Sud Side Stori, trasformò il Romeo della celeberrima tragedia shakespeariana in un giovane siciliano innamorato di una Giulietta dalla pelle nera. Nel 2012 invece, con Alì ha gli occhi azzurri, Claudio Giovannesi commosse il paese portando in scena la vita di Nader, adolescente di origine egiziana nato in Italia, che tenta di nascondere il colore nero dei suoi occhi dietro uno sguardo e un colore più simile a quello dei suoi connazionali. 

Tuttavia in questi anni il film di diaspora più visto è stato quello dell’esule iraniana Marjane Satrapi, che si trasferì a Vienna ancora adolescente, conobbe Parigi, fece ritorno in Iran e infine si stabilì in Francia. Creando la graphic novel autobiografica, Persepolis, volle rappresentare la rivoluzione islamica in Iran vista con gli occhi di una ragazzina dal fervente temperamento marxista, amante di Bruce Lee e fan sfegatata degli Iron Butterfly. Nel 2007 divenne un film d’animazione in bianco e nero in cui fece emergere il suo orgoglio di essere iraniana, la paura per la repressione governativa, l’amore per la famiglia rimasta in patria e l’impossibilità di sentirsi a casa ovunque andasse. 

A fronte di questo il cinema, come molte altre forme di espressione, ha saputo ritagliare uno spazio consistente anche nei Festival per un tema sempre attuale come quello della diaspora, talvolta anche con sezioni speciali (si pensi ad esempio al Lampedusa film festival in Italia). Eppure, nonostante si sia cercato in modo piuttosto costante di promuovere l’immagine rassicurante degli immigrati agli occhi del pubblico, è ancora evidente come continui a essere presente lo spettro della diversità di cui risentono soprattutto i ragazzi nati in Europa, ma le cui origini sono da ricercarsi altrove. Cittadini meticci, di serie B, considerati meno importanti che forse, vedranno il proprio riscatto in una convivenza multiculturale, solo con l’avanzare di una terza generazione. 

Ilaria Salvatori

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