12 ottobre 2021

Scrittrici giapponesi a confronto Banana Yoshimoto e Mieko Kawakami

 

 

La prima non ha bisogno di presentazioni, famosa in Italia da almeno un trentennio, da quando Feltrinelli ha pubblicato per la prima volta Kitchen, nel 1991.
La seconda diventa famosa ora: il suo libro Seni e Uova, pubblicato in Italia da Edizioni E/O nel 2020, sta avendo molto successo, e tutto fa presagire che tutto ciò che scriverà uscirà anche in Italia, in futuro.

Anagrafica

Le indicazioni biografiche sono importanti perché entrambe le autrici pescano dal proprio vissuto per scrivere.
Banana, il cui vero è Mahoko, nasce nel 1964 a Tokyo ed è figlia d’arte. Il padre infatti è un critico letterario, uno studioso ed un uomo noto, importante, che influenza stili letterari e sociali.
Data l’ascendenza, Banana segue il suo destino già predestinato, che la vede laurearsi in letteratura e diventare scrittrice, non prima di essere passata dal lavoro di cameriera presso un golf club. Possiamo anche intuire una vita piuttosto agiata, vista la notorietà del padre.
Mieko nasce dodici anni dopo, nel 1976, a Osaka. Di famiglia povera, riesce ad andare a vivere a Tokyo, dove lavora come cameriera e libraia prima di diventare famosa, grazie alla pubblicazione di un libro nel 2008, Seni e Uova, per l’appunto, che nella versione originale è ridotto (la seconda parte è un ampliamento aggiunto dopo, per la pubblicazione recente).
Il luogo di origine per entrambe è una nota importante: chiunque abbia letto Jun’ichiro Tanizaki, lo scrittore forse più importante del Giappone, sa che la lingua di Osaka, che chiamano dialetto, influenza profondamente la comunicazione, sia dal punto di vista vocale che psicologico, poiché definisce in maniera diversa alcuni ideogrammi e modi di dire, di sentire.
E infatti nei libri giapponesi, ove compaiono personaggi di Osaka, questa profonda diversità viene sempre sottolineata con grande cura, ed in particolare nel libro della Kawakami è molto presente la citazione del “dialetto di Osaka”.
Entrambe sono state insignite di premi letterari, la Yoshimoto molti di più essendo sulla breccia dell’onda da molto tempo, anche se solo la Kawakami può dire di avere fra i suoi entusiasti estimatori Haruki Murakami, e di aver vinto il prestigioso premio intitolato proprio a Tanizaki, per alcuni racconti, non ancora pubblicati in Italia.
La loro immagine mediatica è profondamente diversa, semplice e priva di fronzoli la Yoshimoto, perfetta e con molta più attenzione all’estetica la Kawakami. Entrambe hanno una famiglia con un figlio e sono riservate rispetto alla loro vita privata.

La scrittura

I romanzi giapponesi mi piacciono per un aspetto che ho sempre riscontrato, da Mishima a Murakami, ad altri: il sogno, la visione lucida di cose fantastiche, l’onirico sempre presente.
Tutte le situazioni vengono sempre descritte con una nota evanescente, irreale, che porta il lettore dentro la storia, come un risucchio sognante.

Banana: tutti i suoi libri hanno questo aspetto, e le situazioni descritte escono dall’ordinario a cui appartengono, per diventare qualcosa di diverso, che appare fantastico.
I personaggi descritti sono esteticamente delineati e descritti con minuzia, ed appaiono sempre belli e positivamente delineati.
I temi trattati sono i temi del mondo: amore, amicizia, tristezza, depressione, felicità, famiglia, perdite, morte.
Appare poco la dimensione reale della vita, quella che appartiene alla vita ordinaria: lavorare, faticare per avere uno stipendio, conciliare la vita reale con le situazioni emotive. Evita volutamente di sottolineare gli aspetti reali dei suoi personaggi, per delinearne a fondo la vita mentale, emotiva e sentimentale.
In un libro di Banana non troverete mai un accenno al fatto che lo stipendio non basta per arrivare a fine mese, oppure sarà presente come se non fosse importante.
Per questo motivo viene ritenuta da alcuni critici una scrittrice leggera, superficiale, che descrive situazioni banali. Lei stessa dice di sé che non può farci nulla se ama scrivere di cose che la rendono felice, ed in effetti… i suoi libri rendono felici.
Il libro, i libri, rispondono a molte esigenze, ed una di queste è proprio l’evasione dalla realtà che ci vuole ancorati per l’appunto a problematiche di tutti i giorni.
Personalmente leggo molto volentieri i suoi libri, perché mi lasciano l’atmosfera del sogno lucido. Ed inoltre è sempre presente la dimensione dell’amore, del bene, dell’amicizia e di tutto ciò che riempie l’animo umano di positività.

Mieko invece è esattamente il contrario: scrive di situazioni assolutamente reali, come avere uno stipendio e non farcela, arrivare ad una stazione metropolitana e trovare traffico, il caldo insopportabile della stagione estiva che fa sudare la protagonista, la situazione delle cameriere dei bar, essere poveri.
Leggendola, si percepisce quanto siano piccole le case, e quanto troppo cari siano gli affitti, e che avere un appartamento a più stanze sia considerato un lusso per ricchi, come pure avere tanti vestiti.
La protagonista è Natsuko, che nella prima parte è povera, avviata verso una carriera di eventuale scrittrice e che nella seconda parte è già nota (da qui nasce il mio riferimento autobiografico all’autrice).
Tutto il libro ruota attorno a problematiche squisitamente femminili. Nella prima parte il cerchio si chiude con la crescita dell’adolescente Midoriko e la riconciliazione con la madre, sorella della protagonista, attraverso la magnifica scena di uova che la ragazzina si spacca in testa, unica immagine che richiama la dimensione dell’extra-ordinario.
La seconda parte del libro narra le vicende ed i combattimenti interiori che Natsuko, ormai scrittrice nota ma non ancora affermata, senza più particolari problemi economici, affronta per riuscire ad avere un figlio in provetta, un figlio che sia solo suo.
Le pagine a mio avviso più belle sono quelle dove un personaggio femminile, anch’essa figlia dell’inseminazione, descrive il suo desiderio di non essere nata, domandando alla nostra protagonista se sia giusto chiedersi prima se qualcuno voglia venire al mondo, prima di mettercelo. La nostra protagonista rimane in silenzio.
La critica letteraria ha lodato questo personaggio, sottolineando come la Kawakami abbia finalmente messo il dito sulle pieghe di un Giappone che vuole la donna ancora sottomessa al marito, col senso del dovere della famiglia e delle tradizioni, del tutto anticronica.
Tuttavia io invece trovo questa seconda parte e questo personaggio assolutamente deludente: anche nella prima parte del libro mi convinceva poco, in quanto spettatrice passiva di azioni altrui, mai un moto di affermazione di sé stessa.
Nella seconda parte del libro questo aspetto di incapacità di dire la sua veramente, viene ancora più enfatizzato: non è in grado di portare a termine alcuna conversazione senza farsi sopraffare dal proprio interlocutore, risponde sempre a monosillabi e frasi interrotte.
Pagine e pagine vertono solo su un unico argomento: poiché lei non desidera né il sesso né l’amore con un uomo, cerca di accedere, -e ragiona se ciò sia giusto-, all’inseminazione artificiale, con tutti gli aspetti filosofici, morali e psicologici del caso. La ricerca del donatore, lo stop al romanzo che non riesce a scrivere, e l’incontro con un uomo bello, in gamba, serio e molto aperto di idee, figlio della provetta, che sebbene la ami, lei rifiuta perché “è troppo doloroso fare sesso con un uomo!”.
Soprattutto questo dettaglio ha reso la mia lettura noiosa e banale: il personaggio nega tutto ciò che è previsto dalla natura per l’essere umano, l’amore in primis. E’ un personaggio senza evoluzione, senza maturazione, che ottiene infine ciò che vuole dopo mille peripezie, e cioè una mezza vita famigliare, perché ha troppa paura di amare! Manca la dimensione dell’amore, completamente. Nessun personaggio femminile del libro ha un uomo, o perlomeno se vi è, viene sempre descritto come un despota medievale da cui è doveroso separarsi.
Francamente mi sembra che la scure sia scesa oltre il dovuto, ed oltre la realtà.
Ci sono uomini medievali, orribili, e ci sono donne altrettanto medievali…l’umanità è questa.

Inutile dire che dopo aver letto questo libro mi sono posta molte domande sul Giappone: se è vero che la donna sia così sottomessa, se davvero questa società è così diversa da come appare, se siamo ancora fermi al kimono e ai piedi piccoli…soprattutto a fronte del fatto che altri scrittori non descrivono così il Giappone.
Da una parte ho apprezzato la descrizione della vita reale, comprese le accuratezze culinarie che sempre accompagnano gli scrittori giapponesi, tutti, nessuno escluso.
Dall’altra non ho amato questo personaggio, ed ho avuto l’impressione che la seconda parte del libro sia stata scritta frettolosamente e senza cura, solo per esigenze di pubblicazione, cosa che fra parentesi traspare anche dalla traduzione italiana, che in alcuni punti ho trovato carente.
Penso che sia necessario leggere ancora cose di Mieko, per capire la natura della sua scrittura.

In ultima analisi, ci piace il sogno di Banana, o la realtà di Mieko?
La risposta consiste nel continuare a leggere giap.

Margherita Zoni

Nessun commento: