11 settembre 2020

Bufalo Bill: i “vinti” di Francesco De Gregori

De Gregori
Il quinto album in studio del cantautore romano è una fiabesca quanto straziante raccolta di microstorie che hanno per protagonisti i “vinti”.

 

La storia e lo stile

Siamo nel 1976, l’anno precedente De Gregori aveva pubblicato quel piccolo gioiello, massacrato ingiustamente da qualche critico, che è Rimmel. Bufalo Bill, anche titolo della canzone che apre l’album, nacque, stando a quanto dichiarato dallo stesso cantautore, come una specie di “punizione” per il grandissimo successo di vendite dell’album precedente; questa punizione si concretizzò attraverso l’uso di uno stile scarno e soprattutto essenziale

Sì, perché De Gregori raccoglie in questo album delle brevissime storie, raccontate senza dilungarsi in troppi, e forse inutili, particolari.

Bufalo Bill è una collana di microstorie che catturano, come in una fotografia, i determinati momenti e i momenti determinanti della vita dei vari protagonisti creati dalla fantasia di Francesco De Gregori.


Ma Bufalo Bill è anche un omaggio che il poeta romano fa al suo americano maestro: Bob Dylan.

Come il menestrello di Duluth anche De Gregori racconta delle storie, inventate e non, attraverso un sapiente uso di metafore, di analogie e di similitudini. Il cantautore romano non racconta in maniera obiettiva, come farebbe un giornalista che scrive di cronaca nera, ma distorce la realtà attraverso le emozioni e i sentimenti che hanno suscitato in lui un evento e che lo hanno poi spinto a scrivere di quell’episodio.

Quello che fa De Gregori è ricreare, attraverso delle sfrenate quanto criptiche analogie che lo avvicinano, e non poco, alla corrente dell’Ermetismo, l’emozione che ha accompagnato lo sviluppo dell’evento che viene narrato. I dolci e violenti sentimenti dell’io poetico deformano la realtà facendole perdere la propria oggettività. 


I protagonisti


Molti dei protagonisti che popolano l’universo di Bufalo Bill sono dei “perdenti”; degli eroi “vinti” dalle sfortunate circostanze della vita.

Il primo personaggio che ci viene presentato è William Frederick Cody, alias Buffalo Bill. La canzone che apre l’album non è altro che un malinconico monologo di Bufalo Bill che racconta la sua infanzia e giovinezza passate nelle sconfinate e selvagge praterie americane che dimostravano «in maniera lampante l'esistenza di Dio». Passarono gli anni e al bufalo subentrò la ferrovia, il cavallo venne soppiantato dall’ottimismo dell’American Dream. Le vergini praterie americane hanno lasciato il posto alle grandi ed infernali metropoli e al povero Bufalo Bill, ormai cinquantenne, non resta altro da fare che accettare un lavoro nel circolo «Paceebbene». Il ragazzo della prateria ha così la possibilità di poter rivivere la bellezza e la libertà dei tempi che furono ma tutto questo non è altro che una facciata: le praterie e i suoi vent’anni lo hanno abbandonato ad un presente squallido e miserevole che lo ha trasformato in pagliaccio che intrattiene il pubblico.


Il secondo “perdente” è il giovane esploratore Tobia. Questo quindicenne ha «alle spalle un'infanzia igienicamente perfetta/morbillo, tristezza e nessun'altra malattia». Tobia, durante una gita scolastica salva un vagone in fiamme dando l’allarme. Questo giovane scout, nonostante la sua giovane età, è vinto da una terribile concezione: ciò che conta, per stare bene e sentirsi realizzati, è compiere una buona azione quotidiana, tutto il resto poi non ha importanza. Il giovane Tobia è destinato ad una vita di ipocrisia.  

Nella stupenda favola L’uccisione di Babbo Natale ci viene raccontato l’incontro notturno tra Dolly e il «figlio del figlio dei fiori». Le immagini fiabesche di questa canzone («il grillo», «la luna impaurita», «Babbo Natale») ci descrivono l’innocenza dell’età verginale, ovvero della fanciullezza. Quella notte però qualcosa accade, «il figlio del figlio dei fiori» uccide Babbo Natale. La favola non ha un lieto fine: con la morte di Babbo Natale muoiono anche le illusioni che addolciscono la vita dei bambini. Dolly e il «figlio del figlio dei fiori» entrano nello squallido ed arido mondo degli adulti.


Un altro “vinto” è sicuramente Ninetto che vive coi suoi all’interno di una colonia. Durante la proiezione di un film, irrompe sulla scena un pellegrino che parla una strana lingua; tutti i presenti ammutoliscono, ben consapevoli, purtroppo, di quello che a loro accadrà a breve. Con questa canzone Francesco De Gregori si scaglia contro le politiche colonialiste: i poveri ed inermi abitanti della colonia, tra i quali «il piccolo Ninetto scemo», sono vittime della bestiale violenza dei colonizzatori. Alla fine tutti muoiono nel cinema e gli «impiegati della compagnia» non si fanno scrupoli nel razziare la colonia.

Nel dolcissimo e malinconico brano Atlantide ci viene raccontata la storia di un uomo solitario, «con un cappello pieno di ricordi» e «un principio di tristezza in fonda all’anima», che ricorda tutte le donne delle quali è stato innamorato e che ora fanno parte del suo passato; il suo presente di silenzi è sempre più affollato dai ricordi delle tante storie d’amore finite bruscamente, forse per la sua incapacità di amare davvero, forse per il suo «vizio dell’amore». «Ditele che l'ho perduta quando l'ho capita/ ditele che la perdono per averla tradita».


Ipercarmela è la storia di una coppia emigrata dal Sud. Lui osserva compiaciuto la casa («l'uomo pensava: "Questa è casa mia"»), segno che ha cominciato ad adottare lo sfrenato e cinico desiderio del possesso di beni materiali tipico delle città industrializzate; lei, che «guardava su un giornale a colori,/la vita di una donna bionda, famosa e ricca», comincia invece a diventare invidiosa, superficiale e desiderosa di apparire sempre giovane e bella («"con qualche anno in meno", pensò,/"qualche anno di meno, e lei somiglierebbe a me"»).

In ultima abbiamo la storia di due cantautori: Luigi Tenco in Festival (forse la canzone più bella dell’album) e lo stesso De Gregori in Ultimo discorso registrato. Due cantautori talentuosi “vinti” loro malgrado dall’ottusità del pubblico e dalla critica troppo cieca per capire appieno la loro genialità e bravura. («E a questo punto i tre quarti del pubblico/cominciarono a fischiare, a gridare:/"Ogni cosa a suo posto, quest'uomo è nel posto sbagliato!"»)


Questo disco è un grande classico ma da De Gregori non ci si aspettava altro. Un album dedicato ai “vinti”, a tutti quelli ai quali la preghiera finale a Santa Lucia renderà «dolce anche la pioggia nelle scarpe/ anche la solitudine».

Emmanuele Antonio Serio

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