28 ottobre 2010

How to disappear completely: L’enigma nella musica dei Radiohead

Radiohead

Tralasciando le storie di ordinaria follia che alimentano il successo delle più acclamate rock band - maggiormente di quelle britanniche e americane - qui nell’affrontare il discorso Radiohead, si parla di qualcosa di ben diverso, di una impressione che si pone al di là del mero “scandalo” inerente a droghe e simili. Credo, d’accordo con altre interpretazioni, che esista un enigma irrisolto nella musica dei Radiohead che abbisogna di essere indagato, scoperto, deve essere avvicinato e riconosciuto. Il segreto che si cela dietro le note di alcune musiche suggestive del gruppo, affascina e inquieta al contempo. La musica rende inquieti, quasi riecheggia una eco di immobilità della capacità comprensoria dell’individuo, la quale viene scandita dai diversi giri di chitarra che si mescolano, spesso, con il suono uniforme e monotono in sottofondo. Non somiglia alla cantilena da ascoltare sui tram, mentre si corre a lavoro; il sound della band britannica è piuttosto un lavoro poetico non scisso da messaggi cifrati, che ne rende difficile e affascinante il percorso uditivo-visivo.


I Radiohead dimostrano da subito di avere uno stile alternativo – si tratta infatti di genere alternative rock – che sugella una vera e propria rivoluzione  nella scena rock degli anni novanta. Ispirati dagli americani Pixies e i REM, con o Radiohead inizia una sorta di rivoluzione copernicana in vista di un riconoscimento intellettuale dei loro brani, con conseguente boicottamento delle normali forme di promozioni pubblicitarie. Il rock da questo momento non si limita ad essere uno stile musicale, bensì si fa carico di problematiche nascenti, per l’appunto, con la fine degli anni 80’ e l’inizio di un periodo sul quale pesa un nuovo modo di concepire l’uomo. Ad essere cantato è l’alienazione, la solitudine e il distacco verso le forme di massificazione in procinto di fortificamento proprio durante quegli anni.

Emblematico è il caso del primo singolo lanciato dai Radiohead: con Creep il gruppo inizia a presentarsi al pubblico e ad esporsi alle critiche; Creep, ed altri lavori, suscitarono molte perplessità perchè considerati pezzi troppo deprimenti.


Con Ok Computer il rock dei Radiohead è attraversato da temi attuali nei quali al centro vi è l’uomo, il suo ruolo verso di sè e verso ciò che sta fuori, in altre parole prende piede il dibattito sulla posizione dell’uomo moderno e sulla problematica esistenziale che esso innesca. La musica accompagna il disagio cantato, esprimendolo soprattutto mediante l’utilizzo di nuove sperimentazioni tecnico-sonore come l’utilizzo delle onde Martinot.

Vi è un lavoro in particolare della band, nel quale il tentativo - voluto o non voluto - è espressamente riuscito: How to disappear completely. È il gioco di morte, il suono dell’incubo, del misterioso che non ci è dato scoprire, quella terribile e oscena creatura figlia delle sensazioni, un misto di scene da film horror e l’inquietudine che l’orrore sia tutto vero e il film il modo migliore per raggirare il terrore.


Scritta nel 1997 la canzone sembra essere nata in seguito ad un sogno del cantante della band e, secondo le interpretazioni odierne, rappresenterebbe l’io del cantante stesso, in bilico tra la realtà che sta fuori – rappresentata dallo stesso tecnicismo e tecnologia che contraddistingue il fare musica del gruppo (e al contempo il tempo moderno che viviamo), esperibile soprattutto nelle performances live – e il mondo “fuori”, nelle vesti dell’elemento naturale tramite il quale si presenta e che potrebbe essere, a livello simbolico, presentato dall’immagine dell’albero che appare, a mo' di chiaro elemento rivelatore del testo visivo, all’interno di tutto il video (official e unofficial video). In questo caso la teoria poc’anzi espressa porrebbe il testo della canzone in stretto legame con una non poco vasta letteratura il cui centro propulsore è il sogno/incubo notturno ispiratore di grandi opere letterarie.

Thom Yorke
Thom Yorke

L’uomo-spirito di How to disappear completely – sia in forma testuale che ipertestuale - sarebbe allora frutto di un lavoro del subconscio, e la canzone, una visione notturna. Thom Yorke si avvicinerebbe sul piano letterario alla dimensione onirica ispiratrice di alcuni scrittori come Kafka, il quale, secondo teorie a più voci, si sarebbe lasciato ispirare per le sue opere da sogni notturni che restavano vividi in lui lungo tutto il giorno e che gli avrebbero suggerito i capolavori da lui scritti. A tal proposito Brad Pitt ha meravigliosamente definito la band riassumendola in poche righe: «The Kafka and the Beckett of our generation»*. Non diversa è la storia di altri scrittori, filosofi in preda a hapax esistenziali o visioni come nel caso del percursore dello spiritismo Schwedenborg.

«“That there, that’s not me.” In a sense, the singer is speaking of his recorded voice from outside the song […]» ( “Quello li, non sono io.” In un certo senso il cantante sta parlando della sua voce registrata dal di fuori della canzone), questa l’interpretazione che porrebbe al centro delle speculazioni il frontman del gruppo stesso volto a negare la propria esistenza, rompendo il normale ritmo conoscitivo tra ciò che che è real e ciò che è unreal**. How to disappear è un brano la cui particolarità non resta legata al mero piano estetico, bensì è la storia in sè, della genesi del brano per intenderci, che lo pone su un piano fantastico  e trascendentale. Dal punto di vista tecnico il pezzo vede la preminenza dell’utilizzo di uno strumento musicale sui generis: le onde Martenot. Il chitarrista della band, Jonny Greenwood, ha impiegato molto tempo prima di riuscire a procurarsi anche solo una foto, una immagine dello strumento in questione. Le onde Martenot se suonate bene riescono ad emulare in toto la voce di una donna, è uno strumento che si potrebbe definire un sintetizzatore ante litteram, il cui uso diverrà ossessivo soprattutto nell’album contenente il track How to disappear ossia Kid A.

Jonny Greenwood
Jonny Greenwood

La particolarità della canzone risiede, però, anche nella genesi, nella storia della sua nascita. La canzone, smembrata però del suo contesto, era nata precedentemente con il titolo How to disappear completely and never be found, e poi abbandonata fino alla revisione che ne ha determinato il suo risultato nell’album Kid A.***
Lo stesso pezzo costituisce uno dei brani del docu-tour dei Radiohead: Meeting People Is Easy, nel quale si respira l’aria rarefatta dell’incredibile irrealtà esperita dai componenti del gruppo durante i loro concerti, ma soprattutto del frontman in distacco ascetico dall’immagine pubblica che egli ora incarna.


L’uomo pubblico versus l’uomo privato, la capacità di mantenere un silenzioso distacco tra l’icona e l’uomo che vive di esperienze di ogni giorno, sono le due metà che hanno costituito un tutt’uno nella persona di Thom Yorke. Per questo motivo in tutto l’album Kid A è possibile ascoltare durante l’esecuzione di alcuni brani, il suono “sporcato” da più voci, eliminando la reale e poco apparente, esistenza di un solo Thom Yorke. Eppure non sfugge un’aurea lugubre del video – sia l’official che l’unoffical - nella quale il soggetto sradicato dal contesto sociale potrebbe essere ogni individuo o, almeno, una presenza indicibile, non conosciuta. In quest’ultimo caso il sogno ispiratore non allontana ma avvalorerebbe la tesi di una presenza nel video, che non è direttamente conosciuta e conoscibile, sebbene essa abbia tutte le fattezze corporee e figurative dell’individuo come egli appare (appear) – e non “scompare” (disappear) -  agli occhi di tutti, agli occhi del mondo.

L’apparire e lo scomparire di alcuni personaggi ambigui nell’unofficial video, come ad esempio la ragazza-bambola dai capelli gialli che accompagna il lavoro di un anziano uomo, lascerebbe aperta l’intuizione già accennata: Thom Yorke (o lo spirito, secondo la mia interpretazione) sarebbe la presenza costante del testo eppure molti segni, come la donna alla quale si accennava, rimanderebbero anche alla teoria aggiuntiva, quella della presenza metafisica che sempre noi possiamo essere.


Siamo tutti capaci di “guardare” ma pochi di “vedere”, c’è un mondo al di là di questo mondo che va considerato, accettato in vista di una non riduzione dell’uomo a mero agglomerato di particelle. Il video accennerebbe, forse, all’enorme scompenso che oggi l’uomo reca dentro di sè, non più un essere a metà tra la scienza e il metafisico, bensì capace solo di accettare e operare un modo di vedere – non vedere – i fenomeni secondo la riduzione sensibile. Ora, qui si apre lo scontro tematico, peraltro attualissimo, che vedrebbe la preminenza delle scienze e delle tecniche sulle esperienze trascendentali, che non possono essere testate o dimostrate come una teoria scientifica. Nell'ouverture dell’unofficial video e, come a chiudere il cerchio, al termine di questo, si impone il simbolo naturale dell’albero: quest’ultimo – peraltro presente nell’official video e in quello di Street spirit e Motion picture soundtrack-  che rievoca la vita, il peccato, la religione, il diavolo, il male e il bene. Non solo, l’albero rappresenta, alla luce della diatriba tra la scienza e la metafisica (quest’ultima intesa in accezione pura e non contaminata dalle questioni nate verso la metà del XX secolo ad opera della filosofia nietzscheana e heideggeriana), dicevamo l’albero è il simbolo della originarietà dell’essere umano, dell’incontro dell’uomo con la mater natura, con colei che l’ha generato. Colui che corre verso quell’albero, al termine del video, e a lui si lega abbracciandolo, cingendolo a sè, potrebbe essere allora l’individuo che terminata la sua vacua corsa della vita ritorna alla sua essenza, ritorna alla natura, si riappropria di sè attraverso la morte.

L’essenza mistificatrice, o il messaggio enigmatico si risolve, o meglio resta irrisolto, nell’immagine iniziale dei tre simboli fondamentali. L’uomo, l’albero, il mondo: potrebbe essere interpretata come la triade secondo i Radiohead o mistificazione inutile di una forza chiamata trinità, chiamata credo? In realtà in How to disappear completely si potrebbe ora affermare, si trascende ogni forma di speculazione religiosa – che fa tanto discutere se deliberatamente affossata con atti eclatanti, come ad esempio fece Madonna – semplicemente la religione come noi oggi la intendiamo non c’è, la religione in strictu sensu cede al richiamo della religione più pura che l’uomo stesso rappresenta: la religione della paura, del timore verso ciò che fa tremare perchè non conosciuto e che permette all’inquietante ospite della quotidiana accettazione di averla vinta su di noi, di poterci uccidere. Ad inquietare è il ritornello, una autoconvinzione contro il tempo e l’esistenza della sua presenza nello hic et nunc: lui – noi? – non è lì, e tutto questo non sta accadendo:

I'm not here
This isn't happening
I'm not here
I'm not here

A questo punto parlare della morte – di cui l’intero testo rappresenterebbe una finissima distorsione tematica – non ha più valore, se le immagini umane vive si muovono simili a simluacri di se stesse. Come a dire che essere in vita, secondo l’interpretazione dei Radiohead, è già, in maniera inconscia,essere defunti. L’horror, la morte, l’apparente incoscienza delle vittime – noi siamo tutti delle vittime – non è separato dal quotidiano morire della vittima, ogni giorno essa si spegne e mentre lo fa si nutre di balletti, televisione, allegri digestivi di una vita che sta per finire o che non è mai autenticamente iniziata. L’horror diventa realtà e la presenza leggiadra, frustrata, incompresa, del fantasma-ombra che si aggira in un circo all’aperto, o nel luogo sconosciuto e spettrale, tra presenze più morte di lui, lo sa.

Kid A
Copertina dell'album Kid A

La Stimmung ovattata e misteriosa che si respira durante l’intera esecuzione del brano e del video, accompagnata dal lugubre e a tratti fantascientifico suono delle onde Martenot, apre scenari immaginari e realissimi al contempo: noi siamo morti, tutti e tutti i giorni, siamo noi i veri fantasmi di noi stessi, simulacri inconsistenti delle immagini che noi stessi emaniamo fuori di noi. Si può ora riconoscere un tale modo di esistere - o di non esistere in relazione all’Hintergrund naturale - di essere in vita, ossia di non essere in vita?

“I am not here”, non sono qui, ma se non esisto qui è perchè non esisto io o, ancora, perchè chi è fuori non riesce a “vedermi”, bensì solo a “guardarmi”. Eppure le persone alle quali la misteriosa presenza si rivolge, sembrano, seppure distrattamente e a volte senza alcuna dimostranza, rispondere al gioco della comunicazione, sebbene in forma passiva, asciutta, senza ombra di umanità. L’inquietudine non è più incarnata da ciò che sfugge al gesto quotidiano, bensì è la routine quotidiana stessa, dalla quale siamo inflitti, il film horror di cui noi siamo gli inconsci protagonisti. Noi siamo scomparsi completamente, tutti, e tutti i giorni.

Testo: How to disappear completely

       That there
That's not me
I go
Where I please
I walk through walls
I float down the Liffey
I'm not here
This isn't happening
I'm not here
I'm not here

In a little while
I'll be gone
The moment's already passed
Yeah it's gone
And I'm not here
This isn't happening
I'm not here
I'm not here

Strobe lights and blown speakers
Fireworks and hurricanes
I'm not here
This isn't happening
I'm not here
I'm not here


Radiohead in breve:

Thom Yorke - voce principale, chitarra ritmica, pianoforte.
Jonny Greenwood - chitarra principale, tastiere
Ed O'Brien - chitarra, voce armonica, cori
Colin Greenwood - basso, sintetizzatori
Phil Selway - batteria, percussioni, cori


Discografia:

1993 - Pablo Honey
1995 - The Bends
1997 - Ok Computer
2000 - Kid A
2001 - Amnesiac
2003 - Hail to the Thief
2007 - In Rainbows

* rivista SPIN, Novembre 2000, vol. 16, num. 11
** dissertazione di dottorato di Marianne Tatom Letts, How to Disappear Completely: Radiohead and the Resistant Concept Album, Texas 2005
*** Cfr. James Doherny, Radiohead-Karma Police, tr. it. Radiohead. La storia, le canzoni, Giunti Editori, Firenze 2005.


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