19 novembre 2012

Crowdsourcing democracy

Sembra che la rivoluzione tanto agognata e desiderata stia per realizzarsi. Non dobbiamo, però, immaginare forconi e bastoni davanti a palazzi simbolo di una politica al collasso, bensì, questa rivoluzione, il cui cuore pure palpita dal basso, ha da farsi nel modo più democratico e umano possibile. È composta di esseri umani fuori della cerchia politica, che fanno la spesa e pagano le tasse e che, come la media più comune, ha un accesso ad internet. I forconi di ferro si sono trasformati in moderni pc o tablet, la violenza del fuoco sostituita dal cospicuo e interessante dibattito sui social network. Il furore del popolo è sempre lo stesso ma visto lo stato democratico in una società che non viene rappresentata con gli stessi ideali, si è optati per la libera espressione à la crowdsourcing. Questa rivoluzione è la versione moderna della famigerata “rivoluzione francese” e per più di un motivo. Le ragioni possono essere comprese attuando una chiave di lettura moderna a valori etici vecchi come il mondo, ma che l´uomo, per motivi sconosciuti, fatica a realizzare. Innanzitutto è una rivoluzione “egualitaria” perché ad essa tutti possono prendere parte, senza distinzione di classe sociale o di reddito. È “fraterna” perché poggia su basi appunto “democratiche” tout-court, ossia è una rivoluzione “aperta”, nella quale il giudizio di ogni singolo individuo è un punto di vista fondamentale per la riuscita e il miglioramento del sistema. “Liberté” gridavano ancora i francesi e di libertà soprattutto si tratta in una rivoluzione la cui arma principale è la connessione ad internet

Le linee della neonata forma rivoluzionaria possono essere ricercate in alcuni esempi eccellenti; il primo è offerto dalla liberale Islanda, la quale ha avuto in attivo un numero di civili incaricati di elaborare e accogliere consigli utili e critiche scottanti degli altri cittadini, idee che successivamente sono confluite in un testo che aspetta di essere approvato dal Parlamento. Poi c´è il caso, meno scontato, dato il livello di corruzione, del Brasile. Qui sette anni fa il popolo ha iniziato a partecipare attivamente alla politica, consigliando sulla destinazione del denaro pubblico, ad esempio. Seguono a ruota la Russia e le Filippine, dove la chiave di volta del nuovo sistema politico è quella di fare politica coinvolgendo il popolo in campi decisionali di rilievo.

In Italia, invece, sta per fare il suo ingresso una rivoluzione che presenta tutti gli ingredienti sopra menzionati. Sembra quasi di sentire risuonare l’eco della campagna elettorale di Grillo, il cui must si realizza nella voce data al popolo in nome di una democrazia pratica, applicata mediante risorse online. In effetti il leader del Movimento a 5 Stelle, ha foraggiato l’idea di una politica green, alleggerendola nella forma e nella sostanza, sfoltendola di tutti gli anacronismi e degli ideali ampollosi e poco realistici che erano più facile a dirsi che a farsi. Sostanza, volontà nel fare, voglia di condividere in nome di ideali comuni e concreti, questa è la base sulla quale il futuro della politica del basso sembra puntare. Questa nuova azione democratica ha un nome e un personaggio di spicco, le cui generalità sarà bene ricordare fin da ora: Roberto Esposito, un giovanissimo reazionario campano, e DeRev, nome della piattaforma che darà voce al popolo.

Chissà se i vecchi politici nostrani almeno conoscono l’esistenza di questa forca e di questo fuoco, che in mano al popolo fa più paura dei vecchi pomodori maturi.

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