8 dicembre 2015

La perdita dell'innocenza

John F. Kennedy a Dallas poco prima di essere ucciso.

La perdita dell’innocenza è forse il peggiore shock a cui va incontro un qualsiasi essere umano quando vede crollare in pezzi la sua idea del mondo; come un adolescente chiamato bruscamente dalla vita, in circostanze tragiche, a diventare adulto.
Il 22 novembre 1963 gli americani bianchi (o meglio, buona parte di essi) di colpo diventarono adulti. Quel governo-padre in cui credevano ciecamente, che li aveva allevati al sole della Dichiarazione D’indipendenza e della Costituzione più libera del mondo, che li aveva teneramente risollevati dal crudele strapotere del demone Wall Street col grandioso New Deal roosveltiano, che aveva liberato il mondo dalla piovra Nazista e che ora proteggeva sotto le sue ali l’occidente libero dal mostro Comunista, aveva spazzato via in un solo colpo tutte le loro illusioni, o forse l’unica grande illusione, quella di sentirsi padroni del destino del loro grande paese.

Bang!
Tre colpi di un vecchio Manlicher-Carcano della prima guerra mondiale o, più verosimilmente, un tiro incrociato da ben tre postazioni di fuoco, con un ultimo fatale colpo che fa saltare in pezzi il cervello del presidente. Poi, una lunga, disarmante serie di depistaggi e menzogne perpetrate senza vergogna da chi avrebbe dovuto scoprire la verità, e, dulcis in fundo, i risultati di una commissione governativa piena zeppa di nemici ed epurati dell’amministrazione Kennedy, conclude le indagini con delle risultanze cui oggi crede, sí e no, un americano su quattro.


La sensazione di un colpo di stato interno si diffonde lentamente, anche e soprattutto grazie alle ricerche di uno sconosciuto procuratore distrettuale di New Orleans, che alla fine degli anni ’60 riuscirà a portare alla sbarra (senza esito) parte dei probabili esecutori, seppur osteggiato da autorità governative, stampa e dalla maggior parte dei colleghi.
Da allora si succederanno, grazie soprattutto al paziente lavoro di ricercatori volontari, ritrovamenti di filmati smarriti, testimonianze incredibilmente ignorate e strani suicidi di testimoni chiave che nel 1976 porteranno alla creazione di una commissione interministeriale governativa (il select committee on assassinations).
Ma la conclusione dei due anni di lavoro di quest’ultima si risolverà con l’ennesima beffa per il popolo americano. Tuttavia una silenziosa, sorda protesta monta nel cuore degli americani anno dopo anno, impercettibile ai più (soprattutto qui, nella vecchia Europa), cresce, costante e significativa, la disaffezione verso la politica, testimoniata ampiamente da dati sull’astensionismo americano mai realmente evidenziati.

Dalle presidenziali del 1960 con la partecipazione del 63,1% degli aventi diritto, infatti si scivolerà lentamente fino al 49,1% del 1996 (2° mandato Clinton) per risalire lievemente solo nel 2008 sull’onta della protesta post-crisi (56,8%) che ha portato alla storica elezione di Obama; con una media dal 1964 al 2008 del 54,6% per le elezioni presidenziali e appena del 40% per quelle di medio termine che determinano la composizione del congresso americano. Dati francamente sconcertanti per noi italiani abituati a partecipazioni elettorali di oltre l’80%, significativi di un popolo ferito e disilluso che ha maturato (grazie a un vero senso democratico e dello stato radicato e a una pluralità d’informazione inimmaginabile per il nostro piccolo universo mediatico) la consapevolezza della realtà di una politica eletta formalmente dal basso ma diretta realmente dall’alto, ossequiante verso chi la foraggia e la tiene in piedi per i suoi fini di controllo delle masse.

Boom!
Il 12 dicembre 1969 anche gli italiani persero la loro innocenza: un ordigno piazzato nella sala d’aspetto della Banca Nazionale Dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano esplose provocando sedici vittime e diverse decine di feriti più o meno gravi, dando il là a quella fase della nostra storia tristemente nota come “strategia della tensione”.
Anche qui gli apparati preposti alle indagini si affannarono a depistare e camuffare la verità, cercando a tutti i costi di attribuire la strage al movimento anarchico da cui il PCI stentava a prendere decisamente le distanze.



Colpendo indirettamente quest’ultimo e creando al tempo stesso un clima di instabilità e tensione sociale, si voleva inculcare nell’opinione pubblica una tale insicurezza da richiedere un intervento autoritario da parte delle istituzioni.
La “sterzata” a destra ci fu, la piccolissima borghesia provinciale italiana abboccò in parte (elezioni del 1972 e successivi esecutivi Andreotti I e II), tuttavia una cospicua parte dell’opinione pubblica italiana intuí le strane interferenze di una qualche entità esterna, un’entità che voleva condurla a forza lontano da quell’anomalia chiamata PCI (unico caso per consistenza numerica nell’Europa Occidentale), verso i più tranquilli lidi delle socialdemocrazie francesi e tedesche, la strategia della tensione appunto.

Questi italiani, privi del senso dello stato degli americani, più portati da pulsioni individualistiche verso un radicalismo politico e grazie anche all’azione di dirigenti politici ben consapevoli infastiditi da una palese sovranità limitata, reagirono dando ancor più forza al PCI che addirittura nel 1976 sfiorò il clamoroso sorpasso nei confronti della DC, sorpasso in realtà realizzatosi un anno prima alle regionali del 1975 (quelle senza le isole per intenderci).
Anche per Piazza Fontana, naturalmente, come per la Deeley Plaza di Dallas, non basteranno sette (!) processi in 36 anni per portare alla condanna quantomeno gli esecutori materiali, i neofascisti e gli agenti segreti rifugiati tuttora in Sudamerica.

La storia del paese, nel frattempo, si susseguì come sappiamo e quegli italiani riottosi alla solita “non-verità” della solita strage senza colpevoli, dovettero piegarsi lentamente e non senza altro sangue (Aldo Moro) al potere, scivolando nell’anonimato del socialismo craxiano prima e del berlusconismo poi.

Ma in tutti, americani e italiani che siano, cambiò irreversibilmente l’idea del mondo libero nato sulle rovine della seconda guerra mondiale. Un mondo ben più ristretto del previsto, non più diviso in due blocchi distinti: bene o male, legalità o illegalità, democrazia o dittatura, bianco o nero, ma composto di una triste e variegata tonalità di grigio. Ma quante altre Dallas, Piazza Fontana, Hotel Ambassador, Capaci, Via D’Amelio e 11 settembre  ci vorranno prima che la maggior parte di noi si renda conto di ciò?


Francesco Motta

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