25 settembre 2018

Sulla questione della chiusura dei Centri Commerciali

centro commerciale

Da qualche tempo l’attuale governo sta considerando l’idea, tramite un possibile disegno di legge, di chiudere gli esercizi e in particolare i grandi centri commerciali nella maggior parte delle domeniche settimanali e nei giorni festivi. I cittadini, o almeno quelli intervistati dalle grandi reti televisive si sono divisi tra contrari e favorevoli in merito alla questione. 

Ma la riflessione che colpisce, almeno a livello personale, è quando i cittadini stessi si manifestano contrari a tale disegno di legge con la motivazione per la quale ad una eventuale chiusura del loro centro commerciale di fiducia non avrebbero un luogo alternativo in cui passare la loro giornata domenicale. Di seguito, al di la di eventuali motivazioni che possono essere favorevoli o contrarie alla questione e soprattutto al di la delle ideologie politiche, tali affermazioni fanno comprendere come la nostra civiltà sia ormai giunta all’apice del capitalismo consumistico che non lascia manovra di pensiero e di vita al di fuori del consumo stesso e del luogo dove consumare.  Non a caso Bauman, uno dei più grandi sociologi moderni, nel suo testo Consumo quindi sono fa emergere prepotentemente la tesi per la quale l’uomo “moderno” si divide in due categorie;  la prima riguarda coloro che posso reggere i ritmi e le spese frenetiche del consumo e di conseguenza possono sentirsi accettati dalla comunità, i secondi sono messi ai margini di quest’ultima ma non perché si rifiutano e si tengono distanti da una scelta di vita non condivisa, ma al contrario perché non ne hanno le possibilità. Se un gruppo di adolescenti decide di passare la loro serata sul tetto di un centro commerciale (notizia riportata nella stessa giornata con conseguenza tragiche) anziché altrove, vuol dire che la nostra società ha raggiunto gravi problemi non solo ideologici e umani ma anche nel ricercare un senso di comunità ovviamente perduto, le ormai note cattedrali del consumo che si innalzano ad ogni angolo delle nostre strade hanno d’altronde sostituito da tempo i luoghi di raccolta di giovani e non, in alcuni casi si sono costruite accanto a queste chiese e luoghi di preghiera per poter far si che i “consumatori religiosi” non si allontanassero troppo dal luogo dove poter ritornare a consumare, verrebbe da chiedere però a questo punto quale sia per loro il vero luogo di culto.

Per concludere credo sia allora inutile parlare di come si possano riprogettare nel verde le città, di quali siano i metodi per incentivare le visite ai musei e nei teatri, o la costruzione di grandi parchi se prima non si opera una vera e propria rifondazione umana e culturale sulle persone grazie all’istruzione, la quale deve iniziare a far capire come il consumo sia un mezzo per il sostentamento e non un fine.

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