30 dicembre 2019

Maurizio Cattelan ovvero l’inconsistenza dell’arte contemporanea

comedian Cattelan

Nelle ultime settimane i media hanno molto parlato dell’ultima trovata di Maurizio Cattelan, ossia della sua ultima opera Comedian, nota a tutti come “La banana”. È assolutamente evidente il fatto che anche quest’opera, così come molte altre di diversi artisti contemporanei susciti una grande mole di domande e perplessità; la smaterializzazione delle opere tramite l’introduzione di nuovi concetti come le performance (ad esempio quella dell’artista che ha mangiato la banana di Cattelan) e in questo caso con l’utilizzo di materiale facilmente deperibile, apre da tempo un dibattito sul valore reale dell’opera d’arte contemporanea. A tutto ciò si aggiunge l’ovvia considerazione da parte del pubblico sul fatto che chiunque poteva fare quest’opera, non essendo necessarie particolari abilità, e senza dover parlare addirittura di genialità. Insomma l’occasione della presentazione a Miami di Comedian da parte di Cattelan riapre necessariamente un dibattito che da tempo agita il mondo dell’arte: stiamo parlando di arte o di farsa?

Il dubbio in questo caso è pienamente legittimo perché quel che si muove dietro queste opere è davvero notevole, sia in termini di copertura mediatica che di speculazione economica. Assieme a questo mondo vi ruotano gli intessi delle gallerie d’arte, dei musei di arte contemporanea, delle fondazioni, degli sponsor, degli investitori, ma soprattutto di critici e di artisti. Se ci si concentra su Cattelan, che ad oggi è l’artista italiano più quotato sul mercato dell’arte, non si può negare la scomoda sensazione d’un mero dileggio all’intelligenza. In fondo è fin troppo chiaro l’intento provocatorio di tutto ciò che questo artista ha fin qui prodotto, ma è ancora più chiaro il fatto che per quanto lo si voglia considerare un genio (se lo valutiamo come un creatore di tendenze e di capacità di autopromozione, egli è di sicuro un genio), ma non lo è in termini di contenuto. Per avvalorare quanto affermo mettiamo assieme tutti gli elementi e analizziamoli…

Cattelan

Cattelan non accetta mai interviste video, le uniche interviste finora prodotte sono via email o tramite il suo più grande sostenitore, il critico d’arte Francesco Bonami. Questi parlando di Cattelan scrive nel suo libro Lo potevo fare anch’io:
«L’arte di Cattelan funziona perché davanti a un suo personaggio non ci colpisce la forma, ma la psicologia, la sua anima, i suoi pensieri, i suoi dubbi. 
Il complesso e l’estasi. La teologia della forfora. 

Ogni lavoro è al tempo stesso snervante e profondo, complicato e immediato, si capisce subito e ci confonde al contempo. […]  Maurizio Cattelan non fa e non parla di politica, ma la sua arte è politica perché fa parlare, discutere, arrabbiare.»
Un testo come questo è il chiaro esempio di ciò che oggi è divenuta l’arte contemporanea, ossia qualcosa che tramite un panegirico di parole vuote e incomprensibili afferma che tu, spettatore, non hai sufficiente cultura per capire cosa si celi dietro la “Teologia della forfora”… In questa autoreferenzialità si nasconde da un lato il fastidio di molti, dall’altro l’accettazione passiva del dogma di un critico d’arte su cui, oggettivamente non si può neanche controbattere perché è tutto opinabile.

Arriviamo invece all’uomo-artista Cattelan. Partiamo col dire che è passato dall’oggi al domani dall’essere un infermiere scocciato del suo lavoro all’essersi inventato il mestiere di artista. Egli, infatti, non ha studiano in nessuna accademia, è un autodidatta e l’arte sembra essere soprattutto un modo per vivere come meglio crede. In un’intervista su Vanity Fair dichiara:
«A un certo punto mi chiesero se avessi voglia di lavorare in obitorio. Non dissi di no e feci altri sei mesi, quasi da becchino. A un certo punto dissi basta. Psicologicamente ero arrivato. Trovai un medico pietoso che capì il mio stato d’animo, mi trovò un po’ esaurito e mi diede un paio di mesi d’aria. Avevo ancora lo stipendio, ma per la prima volta anche la possibilità di guardarmi finalmente intorno. I miei coetanei si alzavano la mattina, se si alzavano, facevano quel che dovevano fare, se volevano farlo, e dovevano riempire la giornata con niente. “Ma è fantastico” mi dissi: voglio farlo anche io.»
Attraverso le varie interviste all’artista proviamo a farci un’idea migliore di ciò che egli pensa e del perché Cattelan sia così ricercato. In un’intervista su L’Espresso Elio Grazioli pone la domanda:
L.O.V.E. è del 2011. Al di là di ogni considerazione – che sia l’acronimo di “libertà odio vendetta eternità” l’hai detto tu o qualcun altro? –, ciò che resta enigmatico è che le quattro dita siano tagliate di netto, non piegate, non erose dal tempo.

«Credo che ogni opera assuma un significato diverso a seconda del tempo di cui diventa simbolo. Devo confessare che nel 2010 non mi sarei mai aspettato di riuscire con una sola immagine a predire il futuro politico del Bel Paese: che avremmo visto i fascisti (la mano è un saluto fascista con le dita segate) e i promotori del V-day uniti per il governo della nazione non era nemmeno annoverabile nelle mie fantasie più perverse. È la dimostrazione che l’arte va al di là del pensiero dell’artista. Spero che arrivi presto il giorno in cui altri monumenti ci rappresenteranno meglio di quello.»
Cattelan si considera persino un profeta, ma non dice nulla sul perché abbia scelto di creare una mano con le dita tagliate. Chiara Maffioletti sul Corriere della Sera:
Come si stabilisce cosa è arte e cosa non lo è? 
«È come innamorarsi. Nel momento in cui la vedi sai che la tua vita non sarà più la stessa: è quell’idea capace di colonizzarti la mente e di cui è impossibile liberarsi. L’esperienza di un’opera d’arte è qualcosa che ti segna per sempre, tanto quanto un colpo di fulmine per una persona che non conosci. L’arte, come l’amore, è un elemento che non si può replicare con l’intelligenza artificiale: più queste sperimentazioni si affineranno, più capiremo quanto non sia possibile arrivare all’esperienza estetica tramite la riproduzione artificiale».
Attendiamo ancora un concetto articolato in grado di farci capire d’essere davanti ad un genio... Da Panorama Terry Marocco chiede:
Da cosa non si separa? 
«Non potrei fare a meno della mela che mangio tutti i giorni, la piscina, la bicicletta. Tutte cose che stanno fuori dal portone o che al massimo hanno una permanenza in casa di dieci minuti. 
Le piace Brahms? 
«Mi piace molto Brahms, ma anche Buccini, Bozart, Bagner, Bibaldi.»
Tutte le interviste a Cattelan vanno avanti in questo modo, si concentrano sulla sua vita, sulle quotazioni delle sue opere e qualche domanda su ciò che egli ne pensa, seppur le sue risposte sono sempre generiche, astratte e prive di sostanza. Ciò che si evince leggendo le sue dichiarazioni è una spaventosa pochezza, un’assenza di pensiero e non da ultimo di cultura. Non a caso non cita mai un libro, un autore, un pensiero articolato. 
Una chiara idea su chi sia Cattelan la si può avere guardando il suo primo discorso pubblico tenuto nel 2018 in occasione del conferimento del titolo di professore onorario di Scultura all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Sentirlo parlare evidenzia il fatto di avere a che fare con un giullare (magari questo ci sta), ma soprattutto la conferma che non sappia neanche leggere un discorso scritto da altri.


A fronte di ciò è quantomeno importante capire che l’epoca attuale ci sta abituando all’improvvisazione per cui chiunque può diventare famoso. Lo abbiamo visto nella politica, e ci siamo scandalizzati dell’ascesa degli “inesperti” del Movimento Cinque Stelle, quando nell’arte tutto ciò sembra consolidato da un po’ tempo.

Da questi pochi elementi che ho evidenziato il suo modo d’essere e il suo approccio al mondo dell’arte, ognuno (spero) sarà in grado di farsi un’idea propria. Ma è evidente il fatto che se anche le mie parole esprimono una certa amarezza, una forma di delusione verso un mondo patinato e sempre più vuoto di contenuti, è anche vero che l’obiettivo di Cattelan è stato raggiunto comunque: far parlare di sé, qualsiasi sia il sentimento che vi si frappone fra lui e il pubblico.








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