1 maggio 2020

Il dogmatismo dei virologi, della scienza e dei media

Roberto Burioni Ilaria Capua Giulio Tarro Luc Montagner
Da quando è scoppiata la pandemia di COVID-19 la comunità scientifica si è giustamente mossa in soccorso della medicina e dei governi diffondendo informazioni preziose alla popolazione. Sin da subito le autorità si sono prodigate nel fornire rassicurazioni e ammonimenti, favorendo un’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in merito al contagio. Ovviamente l’esiguità temporale con cui si conosce il SARS-CoV2 non consente di dare risposte certe. I dubbi si rincorrono in attesa di conferme da laboratorio, mentre la scienza corregge il tiro giorno per giorno grazie al susseguirsi di esperienze e studi. In questa genuina volontà di saperne di più, e nel contempo di salvare vite umane, emerge tuttavia un approccio che potremmo definire “dogmatico” in merito all’interpretazione dei dati da parte dei virologi, della scienza e dei media.

L’ovvia attenzione riguardo l’emergenza ci sta rendendo famigliari alcune figure di virologi e scienziati che in questa fase acquisiscono maggiore visibilità e autorevolezza. Tuttavia vi è un proliferare di affermazioni spesso errate o superficiali, se non prive di un reale riscontro scientifico. Ad esempio è ormai nota l’imbarazzante affermazione di Roberto Burioni che il 2 febbraio ospite da Fazio nella trasmissione Che tempo che fa affermava con lapidaria certezza: “In questo momento il rischio di contrarre il virus in Italia è zero.” L’affermazione era legata ad fatto che fino a quel momento (salvo il caso di due cinesi) non erano stati riscontrati dei casi di coronavirus in Italia, mentre in Cina l’epidemia era in piena espansione. Peccato scoprire dopo circa venti giorni che a Codogno vi fossero stati i primi casi italiani. Burioni successivamente si è difeso con ironia autoaccusandosi di non avere delle capacità veggenti. Eppure un’affermazione simile poteva fare la differenza, se al posto di certezze poco prudenti avesse dichiarato che: “Allo stato attuale non si riscontrano casi, ma non è detto che il virus non sia già arrivato in Italia.” 

Ilaria Capua, nota virologa ed ex parlamentare, spesso intervistata per le sue indubbie competenze nel settore, nel corso di un collegamento internet con il sindaco di Firenze Nardella risponde alla domanda: “Quante possibilità ci sono che il virus sparisca dopo l’estate?” La risposta della virologa è: “Zero possibilità”. Certezza, non ci sono alte possibilità, zero possibilità. A queste certezze risponde Giulio Tarro medico e scienziato, allievo di Sabin, affermando che sia la Capua che Burioni, i quali condividono l’opinione secondo cui il virus continuerà a circolare dopo l’estate, fanno delle affermazioni senza dati alla mano. In effetti non ci sono degli studi che consentano di affermare con certezza, le zero possibilità, che il virus permanga dopo l’estate. Così egli, in maniera più cauta, mette in campo tre scenari: che il virus scompaia da sé, che permanga o che perda di forza divenendo una semplice influenza. Tuttavia in successive interviste si pone tra coloro che pensano che con l’estate, anche a causa di una carica virale sempre più debole, il virus potrebbe non costituire un grande problema. 
Tedros Adhanom
Tedros Adhanom, direttore dell'OMS

Un altro capitolo è quello relativo ai cambi di protocollo sul virus. Essendo comparso in Cina nel novembre 2019 le informazioni dettagliate sono state sin da subito poche e carenti, oltre al fatto di provenire da una nazione poco trasparente. Per questa ragione gli scienziati si muovevano sulla base delle esperienze iniziali, ma anche seguendo le prime indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La Cina in un primo momento aveva comunicato pochi dati in merito all’epidemia e lo stesso OMS aveva rilanciato delle direttive che oggi possiamo tranquillamente definire sbagliate. Un caso interessante in cui questa applicazione si sarebbe rivelata errata è quello di Vo’ Euganeo dove è esploso uno dei primi focolai italiani subito contenuto in un cordone sanitario di zona rossa. Durante il focolaio alcuni scienziati come Andrea Crisanti hanno eseguito degli studi per avere dati di prima mano e poter a sua volta reagire a ciò che stava avvenendo. In questo caso si era deciso di fare i tamponi a tutta la cittadinanza consentendo di avere la fotografia sanitaria di quel momento. Questa strategia ha permesso così di scoprire l’esistenza degli asintomatici secondo un rapporto di 1 su 3, ossia per ogni contagiato sintomatico vi sarebbero circa 3 asintomatici. Questo importante dato ha smentito tutte le indicazioni dell’OMS e del ministero della Sanità italiano secondo cui la presenza di asintomatici veniva dichiarata come rara. Crisanti in un’intervista a Report del 6 aprile dice di aver agito “fuori legge” sin dal primo momento andando contro i protocolli esistenti, ma senza questa sua forzatura non sarebbero emerse queste importanti novità. Una frase indicativa dello scienziato a conclusione dell’intervista è: “Nella scienza si deve sfidare lo status quo se si vuole andare avanti”. 
Andrea Crisanti
Andrea Crisanti

Il 20 aprile è uscito uno studio condotto in Savoia il cui risultato attesterebbe che i bambini non trasmettono il virus. I risultati incoraggianti di questo studio hanno indotto il governo francese a dichiarare subito la riapertura delle scuole per il mese di maggio (ma adesso il Governo francese frena). Lo scetticismo che segue questa dichiarazione è legittimo, e appare grave il fatto che la decisione di un Governo porti come prova il risultato di uno studio che in termini scientifici è irrilevante (per validare un’affermazione servono più studi indipendenti che diano lo steso risultato) ma che influisce sull’intera comunità. 


Le condizioni da cui il virus è emerso in Cina ha fatto scatenare una serie di dubbi in merito alla sua comparsa. La presenza di un laboratorio in cui si coltivano virus nella città di Wuhan ha fatto sorgere il dubbio che lo stesso non sia di origine naturale, o che magari sia sfuggito per errore o persino rilasciato appositamente come arma biologica. A questo si aggiungono dei sospetti in merito alla possibile correlazione con le antenne del 5G o ai livelli di inquinamento. Tutte queste posizioni alternative, provenendo dal calderone di internet sono state bollate subito come fake news, teorie bizzarre, bufale e coloro che anche timidamente hanno posto questi dubbi sono stati silenziati come complottisti. Ad unirsi al coro di coloro che considerano il virus manipolato c’è Luc Montagner che in un’intervista televisiva afferma di aver studiato il virus e di aver ottenuto dei risultati che farebbero propendere per una manipolazione. La tesi di Montagner è grave perché farebbe rivedere un po’ tutto l’approccio che oggi abbiamo in merito alla pandemia e per questo è certamente una materia delicata. Secondo lo scienziato premio Nobel all’interno della sequenza del virus sono presenti dei geni dell’HIV, in misura minoritaria, ma che sarebbero in grado di indirizzare il comportamento del virus per come lo conosciamo. Queste sequenze sarebbero state aggiunte nella speranza di poter ottenere un vaccino contro l’AIDS, e dunque sarebbero la traccia di una manipolazione. A smentire questa tesi un coro unanime di scienziati che a fronte di pubblicazioni su riviste specializzate affermano che le sequenze a cui fa riferimento Montagner si troverebbero in tutti i virus secondo una sequenza assolutamente casuale. Ora il punto contestato è proprio questa sequenza, sulla cui origine si può certamente affermare che entrambe le opinioni sono discutibili in mancanza di studi ripetuti: l’uno afferma che quelle sequenze sono state aggiunte, mentre la comunità scientifica propende per la casualità. In uno dei tanti articoli che prende in causa questa diatriba il biologo molecolare Ettore Meccia dice: “Quei quattro frammenti non si trovano solo nel genoma di HIV, ma allo stesso modo anche in quello di molti altri virus, microrganismi, batteri e organismi superiori. Sono piccoli frammenti che non hanno alcuna specificità di organismo o di funzione, la loro presenza è puramente casuale.” Anche in questo caso abbiamo due opinioni totalmente opposte, Montagner afferma che queste sequenze indirizzano il comportamento del virus, mentre Meccia (assieme alla comunità scientifica) afferma che non hanno funzione. 


Con questi esempi non si vuole sostenere una qualche tesi di fondo, in quanto qualsiasi mia affermazione fatta oggi potrebbe facilmente essere smentita domani a fronte di nuovi aggiornamenti, nuovi studi ed evidenze. L’aspetto importante da sottolineare è semmai un altro: l’evidenza di una visione scientifico-mediatica non discutibile. Attenzione non sto dicendo che la versione sostenuta sia errata, ma che essa sia poco discutibile, a fronte della necessità uno spirito critico all’interno del contesto scientifico. L’aspetto che in un certo qual modo fa supporre una tendenza paradigmatica della scienza (utilizzo un termine caro a Thomas Kuhn nel famoso saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche) sembra comparire con una certa irruenza in questa specifica circostanza. Nell’affermare ciò faccio notare come ad esempio nessun giornale mette in discussione le certezze della Capua o la brutta figura di Burioni, esse vengono al più considerate come errate valutazioni colte in un momento in cui non si avevano dati sufficienti. Diversamente viene fatto nei confronti di Tarro per cui, un po’ come avviene in politica nei confronti di certi avversari politici, più che entrare nel merito delle questioni si tende a mettere in dubbio i titoli e le competenze in modo da annullare l’autorevolezza di un medico con un’opinione diversa.

Lo stesso metodo denigratorio è applicato a Montagner, la critica più che legittima alle sue dichiarazioni viene spesso posta con toni ironici, come se a parlare non fosse una persona competente (che magari ha idee strane o forse troppo visionarie) ma un semplice idiota... Di Montagner viene smontato tutto e accusato di credere a teorie lontane dalla scienza come la cosiddetta memoria dell’acqua, ma soprattutto d’essere no-vax, il che lo rende implicitamente colpevole per associazione (alla stessa stregua di Tarro). Ecco il punto è proprio questo, il mondo della scienza, ma soprattutto i media applicano un metro di giudizio paradigmatico: sono sempre schierati con la versione più rassicurante, ponendo anche una semplice teoria fuori dal coro nel calderone delle sciocchezze provenienti da internet. Eppure bisogna necessariamente dire che la scienza, su cui si ripongono grandi certezze, ha al suo interno parecchie incertezze… Quando si parla di argomenti scientifici si punta in genere l’attenzione sul mezzo pieno di ciò che conosciamo, ma non sul mezzo vuoto di ciò che non conosciamo. 

La storia della scienza è costellata da un approccio che mantiene una teoria in piedi finché non ne subentra una migliore in grado di soppiantare la prima, ma per procurare la svolta è necessario che un’intera generazione di scienziati muoia affinché possano prendere piede le nuove teorie, ovviamente dopo essere stati stigmatizzati e derisi. Sarebbe il caso di dilungarsi molto su questo argomento, ma non lo faremo almeno in questo articolo. Va però aggiunto che oltre all’approccio del mondo accademico, per cui le pubblicazioni su riviste scientifiche avviene a fronte di una revisione paritaria, la cosiddetta peer review, coloro che giudicano gli articoli esprimono questa tendenza conservativa tagliando come antiscientifiche le posizioni più eretiche. Questo “pensiero unico” è applicato alle questioni del coronavirus anche da parte di Facebook e Youtube che in maniera sempre più invasiva bloccano i contenuti non in linea con i dettami dell’OMS. Questa scelta ha come fondamento quello di limitare il moltiplicarsi di articoli, video e quant’altro tenda a voler vedere dietrologie in ogni dove, ma nel contempo si pone di fatto come una rigida limitazione della libertà di espressione che, per estensione nell’utilizzo, potrebbe raggiungere presto anche opinioni politiche, economiche ecc. 

La scienza ha bisogno, anche e soprattutto, di voci diverse e fuori dal coro, perché è proprio con questo spirito critico che si fanno importanti passi in avanti. Riporto ancora una volta le parole illuminanti di Andrea Crisanti per capire il vero senso di quanto scritto: “Nella scienza si deve sfidare lo status quo se si vuole andare avanti”. 

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