28 settembre 2020

Amelia Cuni: cantante, performer, viaggiatrice della voce


Amelia Cuni è forse la performer più conosciuta al mondo che è riuscita a coniugare la sua occidentalità con la vocalità della musica indostana. Quella che vi racconto, è una piccola parte della sua storia.

Breve biografia 

Amelia Cuni ha studiato in India per un decennio la musica Dhrupad da alcuni fra i più noti maestri nel genere indostano, fra i quali: Rahim Fahimuddin Dagar, Bidur Mallik e Dilip Chandra Vedi
Inoltre ha appreso la danza kathak, una danza classica del nord dell’india, e le percussioni.

E' una delle poche voci femminili che cantano Dhrupad ed ha ricevuto l'apprezzamento della stampa internazionale in numerose recensioni.
Si è esibita come solista in festival internazionali e noti teatri in tutto il mondo: Barbican Centre I.C.A. a Boston, Purcell Room di Londra, Haus der Kulturen der Welt a Berlino, Teatro Rossini di Pesaro, Fondazione Cini a Venezia, Nehru Centre a Bombay, solo per citarne alcuni.

Collabora con artisti di estrazione diversa, dalla musica antica alla New Music e Ambient, Jazz, alla musica per film e per le produzioni radiofoniche, partecipando a numerose rassegne internazionali. 
Ha al suo attivo diverse produzioni discografiche, e diversi compositori, fra i quali Terry Riley, scrivono per la sua voce.
Compone lei stessa musiche su testi in varie lingue, fra le quali anche il ladino dolomitico.
Ha ricevuto diverse residenze premio ed assieme a Werner Durand, suo marito, compositore e musicista, è stata Artist in residence a Berlino dove ha realizzato l'opera multimediale Ashtayama Song of Hours.
Ha eseguito la prima del Solo 58 dai Song Books (1970) di John Cage, 18 Raga Microtonali, (link sotto indicato).

Tra l'anno 2000 e il 2015 ha insegnato canto indiano al Conservatorio di Vicenza e tenuto numerosi seminari di canto indiano anche presso la Scuola Interculturale di Musica della Fondazione Giorgio Cini di Venezia.
Dal 1992 risiede a Berlino. 

Io e lei

Ho avuto il privilegio di essere sua studentessa, in solitudine, per tre anni circa. In quel periodo il mio corso di studi non coincideva con altre iscrizioni di studenti, che si trovavano o più indietro o più avanti negli studi e così ho potuto studiare da sola con lei. È stato un periodo intenso. Quando Amelia veniva giù da Berlino non volevo scontentarla, perché insomma, sentivo addosso la responsabilità di essere almeno un poco all’altezza dello studio.
A volte non lo ero, lo confesso, perché magari non riuscivo a praticare abbastanza la musica in quel periodo, perché avevo avuto la tosse o altre magagne, ma lei è sempre stata gentile e mi ha sempre incoraggiato.
Come già detto in altri articoli, la musica indiana richiede una frequentazione continua, quotidiana, e diventa un po’ come una sorella che quando torni a casa la rivedi e devi parlarci assieme.
Lei mi ha regalato delle pagine intense, intrise di suono. Fare lezione era come stare ad un concerto e fare un concerto contemporaneamente.
Ero stanca la sera, ma felice, un po’ per aria, con quella sensazione di stordimento sereno che sempre mi dà il canto Dhrupad.

Inserisco il link a questo pezzo bellissimo, prodotto con Robert Miles, ovvero Roberto Concina, compositore e musicista che ci ha lasciato troppo presto a soli 47 anni, famosissimo per aver veduto 5 milioni di copie con Children nel 1995, ma che aveva al suo attivo diverse produzioni di musica di ricerca e colta, fra le quali questo meraviglioso Bhairav, con la partecipazione di Amelia.

Questa intervista fa parte della mia tesi di laurea, e le parole di Amelia Cuni sono la chiosa perfetta per ogni dialogo musicale, o forse per ogni dialogo..

Amelia Cuni

Come è iniziata la tua ricerca nella musica indiana? Ricerca musicale (di una musica diversa), o ricerca di un suono diverso?
Mi risulta difficile, se non impossibile, dividere le due cose, ricercavo un modo diverso di fare musica, quindi un modo diverso di imparare. Poi mi sono resa conto che questo comporta anche altri ideali di suono...

Come sei riuscita a coniugare la tua “occidentalità”  musicale con la musica indiana? Hai avuto difficoltà percettive? Tecniche? 
La lunga durata (15 anni circa) dei mei studi in India mi ha portato naturalmente ad una integrazione. Pur essendo occidentale, sono rimasta permeabile e attratta anche da altre culture e attraverso le mie scelte di vita ho potuto coltivare un modo diverso di essere. Non ho incontrato grandi difficoltà, forse la passione per questa musica mi ha aiutato. MI sono dedicata alla musica indiana anche perché ero attirata da suoi certi aspetti, così diversi e particolari, quindi mi ci sono buttata a capofitto...

Adesso, vivo e insegno in Occidente e ritengo che si possano elaborare mezzi efficaci per facilitare questo processo di integrazione. Ho sempre cercato di comunicarlo, sperimentando con metodi di insegnamento e attraverso le mie composizioni e performances. Trovare parallelismi mi ha sempre incuriosita e arricchita, e anche definire le diversità. 

Ritieni che siano due cose che possono assemblarsi o in qualche maniera la musica indiana resta  “non amalgamabile”?
Col tempo, queste due diverse mentalità si amalgamano e in qualche modo si completano, una aiuta l'altra, ma ritengo che per taluno questo processo sia piú agevole...Adesso, con la mia passata esperienza, posso affermare che per alcune persone questo amalgama divenga necessario e fattibile, ma non per tutti, e come e a che grado si realizza, rimane una cosa individuale, legata alle esperienze di ciascuno.

Una domanda per l’artista: il suono e i raga ti hanno aiutato nella ricerca della tua voce? Nella tua espressione artistica?
Mi sono dedicata per anni all'apprendimento del raga anche perché ritengo che ciò sia salutare. Tutta la mia attività artistica si basa su questo principio, usare la voce in modo sano e naturale facendo in modo che il nostro corpo partecipi; canto versi in svariate lingue incluso l'italiano, mia madre-lingua che è stata sempre una fonte di gioia ed ispirazione per me. Queste multiformi esperienze mi hanno aiutato molto. Ritengo che una parte del contributo del Dhrupad alla Musica del Mondo si basi appunto sul linguaggio, e che la mia ricerca sul Suono sia influenzata anche da questa sensibilità che ho sviluppato musicando raga in lingue diverse.

Durante le mie lezioni con te ho avuto modo di sperimentare metodi come il Feldenkreis, dove il corpo viene invitato alla funzione propria dei micromovimenti, che tu hai ben analizzato e applicato alla funzione fonatoria del canto. Ritieni che il raga con i suoi microtoni sia, analogamente, uno studio più preciso sulla sonorità della propria voce?  Trovi che cantare il raga  arricchisca il suono della voce e l’atto del cantare?
Penso che ci sia molto da imparare dal canto Dhrupad ma anche dall'osservazione di fenomeni naturali  e soprattutto da sè stessi, ascoltandosi con minuziosa attenzione come pure lasciandosi trasportare dai movimenti dell'anima. Ciò arricchisce senz’altro la nostra espressione artistica come pure approfondire tutto quello che la musica indiana incarna: la filosofia, gli ideali estetici ecc. Ritengo che praticare i raga aiuti inoltre a sviluppare un orecchio musicale e a sensibilizzarlo, che questo studio possa rendere capaci di percepire variazioni minime, di notare anche piccole differenze nel suono e nell'intonazione, cosa che senz’altro influisce sul processo creativo. La mia intera produzione artistica si basa sui raga e non mi sono mai sentita priva di qualcosa, anzi, penso che la mia musica con la conoscenza dei raga che vi traspare, abbia arricchito molti in Occidente.

Una domanda per la persona: il suono ti ha aiutato nella tua ricerca personale umana?
Non riesco a separare il 'personale' dall'artistico, quello che ho imparato dal canto Dhrupad influisce nella mia vita e viceversa.
Ho vissuto e studiato in India fino al 1996, dopo ho vissuto, viaggiato e lavorato in Occidente e ritrovare il mio 'centro' è stato un processo lento e faticoso...ci ho messo piú di 10 anni per riconquistare un po’ l'equilibrio!

Sei un’artista e performer  famosa,  hai fatto anche sperimentazione musicale, ricordo i microtonalraga di  John Cage e il lavoro svolto con Terry Riley: hai mai avuto difficoltà tecniche o ostacoli di tipo creativo/mentale a sperimentare e mescolare i generi?
Ho avuto molti contatti e collaborato anche con esponenti della musica sperimentale e cosí, gradualmente, ho iniziato a fondere i generi incontrando svariate difficoltà, alcune in comune con altri occidentali che hanno fatto scelte simili. 
Devo dire che ogni progetto mi ha aiutato a mettere insieme alcuni pezzi di me e che  forse proprio per questo li ho voluti e ideati, per imparare e continuare a crescere come artista. Molte volte  le scelte spontanee hanno qualcosa da insegnarci, quindi anche decisioni che possono sembrare irrazionali dovrebbero essere prese in considerazione.

La situazione delle musiciste in india: parlami della tua esperienza negli anni in cui ci hai vissuto, descrivimi come sei stata accettata tu come musicista, in quanto artista straniera, e come invece viene gestita e organizzata l’arte musicale classica per le donne indiane. Parlo di musica classica Dhrupad e non dei generi semiclassici, dove le donne hanno più visibilità e facilità di emergere.
Durante il periodo di studi in India, non sono mai stata consapevole di discriminazioni o trattamenti sessisti, forse piú tardi ho interpretato certi atteggiamenti e frasi come discriminatorie, ma la durata del mio apprendimento ha dimostrato a tutti il mio interesse genuino come pure i grandi nomi da cui ho imparato. Anche l'aver tenuto vari concerti in ambiti seri e riconosciuti penso che mi sia stato d'aiuto...
Ora la situazione è diversa, l'emancipazione femminile in India riguarda anche il mondo della musica classica, e varie donne oggi cantano pubblicamente il Dhrupad, ma mi piace pensare che io sia stata d'esempio e che la mia storia abbia ispirato altre donne a fare del Dhrupad una carriera. Ricordo come Dilip Chandra Vedi, uno dei miei maestri, si lamentasse spesso delle sue allieve donne che poi inesorabilmente tralasciavano il canto per poi occuparsi solo della famiglia. 
Forse oggigiorno andrebbe diversamente, ma comunque ho l'impressione che la ricerca sul Nada Brahma in India incuta sempre rispetto e simpatia. In ogni caso posso affermare che la cosa che più meravigliava lì, era la mia dedizione a imparare il canto e la danza senza la protezione o l'aiuto dei genitori e di una famiglia alle spalle.
Come straniera, ho spesso incontrato simpatia e comprensione in India, penso che soprattutto la mia voglia di continuare a studiare colpisse e che ciò mi abbia molto aiutato.

Il ricordo più bello che hai della tua esperienza in questo settore, come musicista, come docente, come donna, come persona: dimmi un ricordo che ti è particolarmente caro.
Moltissimi ricordi mi sono cari! 
Qui posso menzionare le mie visite in California agli inizi del 2000, tre in tutto, per concerti e seminari. Oltre alle generose persone che mi hanno ospitato, ai numerosi artisti che ho incontrato e ai bei concerti, mi rimane impressa la natura meravigliosa di quelle zone. Ho potuto imparare molto e devo dire che il rispetto e l'apprezzamento per il mio lavoro che ho ricevuto mi hanno incoraggiata e dato forza. Penso che molti americani abbiano potuto superare il fatto delle mie origini non indiane e semplicemente godere della mia musica.

Vi è una persona, se vi è, a cui devi un ringraziamento più importante per la tua formazione artistica in questo ambito musicale?
Come ho detto, ho avuto sostegno da moltissime persone e da tutte ho imparato qualcosa. I miei maestri in India mi hanno insegnato tantissimo, e ho appreso da persone diverse perché ciascuno mi ha dato qualcosa di unico e speciale di cui mi pareva aver bisogno in quel momento. 
Anche qui in Occidente ho imparato molto dagli artisti con cui ho collaborato o avuto scambi ma la persona che ha maggiormente influito su questo mio 'essere fra i mondi' e che devo ringraziare per avermi fatto conoscere molta musica contemporanea é mio marito, Werner Durand. Infatti, con la sua passione e conoscenza, mi ha introdotto al lavoro di molti artisti, aiutandomi nel mio percorso e nella mia ricerca.

Vedi un futuro per la musica indiana che non sia superficiale, ma di studio approfondito e serio? Lo vedi in Europa, in Italia, o nel mondo in genere?
Ora che molti si sono abituati ad ascoltare suoni di ogni genere e che perfino la musica commerciale usa idee provenienti da ovunque, penso che anche la musica indiana non suoni più così lontana... mi sembra che possa anche essere utile nella formazione dei musicisti e che lo studio di alcuni dei suoi fondamenti possa avvantaggiare chiunque. Anche se una buona parte della conoscenza musicale oggi rimane ancorata su principi occidentali, europei, ci sarà sempre qualcuno che ricerca a fondo e mi sembra che ora ci siano sempre più persone interessate e disponibili ad uscire dai vecchi schemi... Penso che la musica indiana rimanga una musica d’elite, per pochi, ma che alcuni suoi principi possano essere recepiti da un numero maggiore di persone.

Ritieni che il modello della Gurukul (scuola di musica dove l’allievo apprende oralmente e vive in 
simbiosi col proprio Maestro) sia ancora attuale? Il mondo digitale travolgerà il modello di trasmissione di questo tipo di musica, che ricordiamo è solo orale da docente a discente, oppure potrà sopravvivere nei secoli come è sinora avvenuto?
Spero che il metodo di trasmissione orale venga tenuto da conto, mi sembra il metodo più efficace per conoscere questa musica...penso che chi è motivato, ricerchi e apprezzi questo modo di imparare. Inoltre, grazie a questo diverso, più intimo, contatto con l'insegnante, si può esercitare un altro modo di comunicare e di apprendere impiegando facoltà che non usiamo spesso.

Ed infine Amelia, c’è qualcosa che, col senno di poi, rifaresti in un altro modo, o non rifaresti, come artista? O c’è ancora qualche sogno nel cassetto da realizzare?
Credo che tutto ciò che ho realizzato sia stato utile alla mia ricerca, ma a volte sogno di riuscire a scoprire la magia del Suono, di come usare la voce per raggiungere la consapevolezza e anche di trovare il modo per condividerlo!

Hai un consiglio da dare a chi intraprende questo cammino nella sonorità del raga?
Posso consigliare di non aver fretta e di rimanere in ascolto…

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Chiudo questa breve ma intensa testimonianza con riportati due link fra i miei preferiti, (su Youtube vi sono molti brani e cose da vedere e ascoltare):

con Alio Die Apsaras:


con Al Gromer Khan Moonson Point:

1. John Cage scrisse 18 raga microtonali: Amelia Cuni interpretò “Solo 58” che fa parte del Song Books pubblicato nel 1970, con tutta probabilità è stata l'unica cantante di raga tradizionali a interpretarli. Per ulteriori chiarimenti approfondire in “Creazione dei 18 raga microtonali” che compare sul libretto del CD dell’ incisione per Other Minds Records - tradotto in italiano da Marged Trumper - sul sito: http://www.ameliacuni.de/seiten/inhalt.php?nav=dolasila&theme=projects&lang=2.

Margherita Zoni

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