30 novembre 2020

Rodari e il fantastico errore

Gianni Rodari

«Oh Capitano! Mio Capitano!» è questa la frase che mi viene in mente quando rivedo una foto in bianco e nero di Rodari; quando rovistando nella libreria confusionaria di un’avida lettrice appassionata come me trovo uno dei suoi libri o quando di rado riesco ad ascoltare una delle interviste sempre interessanti, piene di spunti che rivedrei a ripetizione per cogliere il significato nascosto di ogni parola.
Ecco, Rodari per me è come il professor Keating nel film immortale L’attimo fuggente e per lui salirei sul banco per sconvolgere ogni schema, cambiare prospettiva e comprendere che in fondo tutto ciò che ci guida veramente è la passione, l’arte, la fantasia perché anche se per un attimo, ci fa sollevare su ali sottili che lasciano trasparire il sole ma che allo stesso tempo sono resistenti e solide e ci fanno salire in alto al di sopra delle nuvole.

La biografia di Gianni Rodari è forse troppo corta; “la terra tutta sbagliata”, come ha detto lui stesso in una Favola al telefono, lo ha visto nascere cento anni fa da Giuseppe Rodari e Maddalena Arirocchi in un paese, Omegna sul lago d’Orta. Si diploma come maestro nel 1937 e viene esonerato dal servizio militare per colpa della sua salute e a causa della guerra perde due dei suoi migliori amici, Nino Bianchi e Amedeo Marvelli. Si trasferisce in Lombardia dove finalmente raggiunge l’Unità di Milano e inizia a curare La domenica dei piccoli.

La sua carriera scolastica e poi accademica abbraccia vari ambiti, alcuni dei quali mai conclusi o abbandonati ma diventa maestro in giovane età ed assorbe tutto il divertimento dei bambini quando in classe, usavano la fantasia e saranno proprio i più piccoli ad aiutarlo a migliorare i suoi racconti fantastici. Proprio grazie alle sue opere letterarie , il 6 Aprile 1970 Gianni Rodari è l’unico italiano che riceve il premio “Hans Christian Andersen” il Piccolo Premio Nobel” della letteratura dell’infanzia.

Le avventure di Tonino l'invisibile

Nei suoi libri con titoli curiosi, a volte spiazzanti e divertenti, Rodari rivoluziona i canoni delle favole e trasforma Cappuccetto Rosso in una combattente che non vede l’ora di incontrare il lupo cattivo, il Principe Azzurro preferisce una delle sorellastre e non la bellissima ed eterea Cenerentola e la Bella Addormentata diventa quasi un’insonne cronica che combatte per cadere in un pisolino anche se breve. Per la prima volta Rodari celebra l’errore, lo sbaglio fatto dal bambino che confonde una parola o sbaglia l’ortografia perché proprio da questi errori possono nascere una miriade di idee, storie uniche. Uno dei racconti che preferisco non è molto conosciuto ma ho avuto la fortuna di ritrovarlo quasi per caso; si chiama Viva la Saponia e fa parte del libro Le avventure di Tonino l’invisibile e lo uso spesso come terapia quando la mia penna sembra tentennare e la fantasia rimane titubante sulla sfera combattendo con l’inchiostro che non vede l’ora di scendere sulla carta. In questo racconto conosco un piccolo gruppo di amici romani, Dario, Sandrino, Franco, Livia e Massimo che si ritrovano in una piccola cava sconosciuta quasi a tutti dove Dario, “autentico cervello saponico” aveva inventato la lingua saponica e insieme agli altri aveva deciso di lasciare dei messaggi scritti e nascosti per i posteri. Mentre le righe scorrevano mi vedevo piccola alle prese con i messaggi in codice o un alfabeto comprensibile soltanto alle amiche più care e mi sono sentita fortunata perché in un certo senso potevo essere anche io una componente della Saponia. Un gruppo di ragazzini romani semplici ma magici che volevano lasciare un messaggio a chi avesse avuto il coraggio di scavare e non rimanere soltanto in superficie aggrappato alle apparenze.

Nei suoi Quaderni di Fantastica Rodari cerca di spiegare, presentare e cercare i fondamentali principi di tutta la fantasia e parla della metafora del sasso gettato nello stagno dell’immaginazione che muove personaggi che prima non si conoscono nemmeno ma che sono costretti in un certo senso a venire a contatto scambiandosi energia, creando a sua volta altre piccole onde che potevano raggiungere anche le profondità dello stagno dove si trovavano altri personaggi e altre storie che non aspettavano altro che venire alla luce.

L’errore così diventa fantastico perché ci trasforma in protagonisti, dobbiamo avere il coraggio di prendere il sasso e gettarlo al di là di noi per ritrovare una parte della nostra mente assopita da tempo; a volte bisognerebbe lasciar andare la ferrea ragione per far emergere la parte più pura e magica di noi seguendo le onde concentriche di quel sasso che abbiamo lasciato andare nella nostra mente, nei nostri passi. Sicuramente Rodari non esalta l’errore fine a sé stesso e non sarebbe stato contento di avere una classe con compiti pieni di errori rossi e blu ma apre in un certo senso la mente dei più piccoli per farli crescere più liberi, indipendenti e solidi nelle idee e convinzioni.

Lui stesso infatti scrive: «Se un bambino scrive sul quaderno “l’ago di garda” ho la scelta tra correggere l’errore con un segnaccio rosso o blu, o seguirne l’ardito suggerimento e scrivere la storia e la geografia di questo “ago” importantissimo, segnato anche nella casa d’Italia».

Rodari ci insegna con la semplicità dei racconti “lunghi un sorriso” che esistono storie che non finiscono sulla carta ma continuano nella fantasia di ognuno di noi che può creare molteplici finali tutti diversi trasformando quella pagina in un poema spontaneo mai uguale dove la fantasia non viene imbrigliata negli schemi ma lascia spazio alle inclinazioni speciali di ognuno di noi.

Come ho detto all’inizio, la storia terrena di Gianni Rodari viene scritta in fretta, troppo brevemente perché il 10 Aprile 1980 viene ricoverato a Roma per un intervento chirurgico ad una gamba e muore quattro giorni dopo a soli 59 anni lasciando a noi il compito di leggere e cogliere ogni sfumatura, ogni piccola onda del sasso che lui ha lanciato con ogni sua storia insegnandoci che l’errore è forse l’arma più potente che abbiamo per agire, cambiare, creare ed essere noi stessi.

Pamela Del Bianco

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