17 febbraio 2021

Dalla prospettiva a Otto e mezzo: l'arte e l'abbraccio del caos

 

Otto e mezzo

Ordine. Forse è questo che più ci affascina in un’opera d’arte. Forse è questa la differenza tra la vita vera, quella di tutti i giorni, e un’opera d’arte: l’ordine.

Pensiamo alla prospettiva nell’arte del Quattrocento e del Cinquecento; pensiamo, giusto per fare qualche esempio, a Masaccio, a Piero della Francesca, a Raffaello Sanzio: ogni elemento nella loro opera è parte di un ordine geometrico e divino. Ogni linea converge verso un punto collocato all’orizzonte – il punto di fuga – che dà ordine allo spazio razionalizzandolo. La realtà diventa geometrica e misurabile; conoscibile perché risponde a precise regole matematiche. Proviamo però ad uscire fuori; saliamo sopra una collina ed osserviamo il paesaggio: noteremo che quel punto all’orizzonte sembra assente. La geometria severa ed “estrema” di Piero della Francesca cede il posto ad un ammasso informe e caotico di elementi. L’arte può assegnare alla realtà un ordine che al di fuori della tela sembrerebbe non esistere. Ordine. 
 
Flagellazione Piero della Francesca

Pensiamo alla filosofia tomistica, quella di Tommaso d’Aquino che rientra anche tra le varie influenze di Dante Alighieri. La Commedia, capolavoro dell’autore fiorentino, è anche un compendio di tutto lo scibile dell’allora uomo medievale ed ogni ramo del sapere era testimonianza di una perfetta realtà ordinata dalla presenza di Dio. La presenza di Dio garantirebbe un ordine perfetto alla natura, al sapere, alla Storia e alla vita dell’uomo stesso. Nel VI canto del Paradiso, a parlare è l’imperatore Giustiniano, ci viene narrata la storia di uno dei più grandi imperi di tutti i tempi: quello di Roma. La Storia, quella con la esse maiuscola, è una sequenza ordinata di eventi perché parte di un progetto divino.

Una vera e propria ossessione quella dell’ordine per il Sommo Poeta. Al disordine italiano contrappone il perfetto equilibrio dei fantastici regni dell’oltretomba: Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, / Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura: / color già tristi, e questi son sospetti! // Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura / de’ tuoi gentili, e cura lor magagne; / e vedrai Santafior com’è secura! // Vieni a veder la tua Roma che piagne / vedova e sola […] (Purgatorio, canto VI)

Perfino il regno della dannazione eterna, nonostante riusciamo perfettamente a sentire le bestemmie e i pianti dei dannati, soggiace ad un principio ordinatore che è Dio – perfetto duce di un regno ideale dove ogni elemento è al proprio posto. Ordine. 

Pensiamo ai drammi del Bardo, ovvero William Shakespeare. Nelle sue tragedie mette in scena un universo che si regge su un ordine precario; è fragile ma c’è, esiste. Macbeth uccide il legittimo re di Scozia; Amleto scopre che Claudio ha assassinato suo padre per prendere il suo posto; re Lear viene abbandonato da quelle figlie che tanto prediligeva, tanto da non riuscire a scorgere il loro egoismo e la loro ipocrisia; Verona è sconvolta dai fatti di sangue causati da due famiglie rivali, i Montecchi e i Capuleti e la lista potrebbe ancora continuare. L’ordine viene messo in discussione ma, alla fine, il cosmo trova sempre il modo per ristabilire l’ordine perduto, anche se questo richiede un altissimo prezzo di sangue da pagare. Ordine.

Principe Il Cielo ha ucciso con l’amore i vostri figli, / e io, per aver tollerato le vostre discordie, / ho perduto due dei miei parenti. Siamo tutti puniti. (Romeo e Giulietta)

Pensiamo poi ai romanzi. Nel romanzo ogni elemento superfluo viene eliminato, nella fitta trama degli eventi trovano posto solo quelli utili all’autore per arrivare al traguardo, al punto che si era prefissato ancor prima di mettere tutto nero su bianco. Ritorniamo quindi al punto di partenza: nell’arte è possibile un ordine. Pensiamo ai Promessi sposi di Alessandro Manzoni. È certamente il romanzo del «guazzabuglio» eppure le disavventure di Renzo e i patimenti di Lucia, il loro costante peregrinare tra la Lombardia e il Veneto, fanno parte di un progetto, di un disegno necessario all’autore per portarli dal punto A al punto B. Ordine. 

I promessi sposi

La letteratura, la filosofia, la pittura ed ogni espressione artistica testimonia la necessità di trovare un ordine in un cosmo disordinato, labirintico come affermerebbe Italo Calvino.

e gli pareva che là nell’informe pasticcio della vita fosse nascosta la linea segreta, l’armonia (L’avventura di uno sciatore)

L’uomo ha bisogno di penetrare nelle cose per scovare quel senso ultimo capace di ordinare il disordine che tanto spaventa. Ed è per questo che si rifugia nell’arte, desideroso di immergersi nell’illusione che questa può garantirgli.

Però spesso accade che l’arte si apra alla confusione della vita.

Da Italo Svevo a Luigi Pirandello, da Emilio Brentani a Vitangelo Moscarda: l’arte abbraccia una realtà babelica, non più unitaria ma frantumata dai tanti, forse troppi, punti di vista.

            Il padre Mi sa dire chi è lei? (Sei personaggi in cerca d’autore)

La domanda che il Padre pone al Capocomico è semplice eppure in una realtà caotica perfino l’identità del singolo diventa difficile da definire. Per l’uomo diventa impossibile raggiungere una forma precisa e valida.

Andando avanti, arriviamo a Otto e mezzo. La pellicola non ha certamente bisogno di presentazioni, è un capolavoro, se non il capolavoro, del maestro riminese Federico Fellini. È la storia di un regista in crisi Guido che cerca risposte soprattutto nel cinema, e quindi nell’arte, per dare un senso alla sua esistenza che sembra andare sempre più alla deriva. In questo suo continuo peregrinare si rivolgerà perfino ad un alto e venerando prelato il quale, però, sembra essere poco interessato ai bisogni del regista. Perfino il cinema sembra abbandonarlo. Affida alla pellicola i suoi desideri, le sue frustrazioni, il suo passato; cerca di ordinare tutte le tessere di quel grande e complesso mosaico che è la sua vita ma inutilmente: tutte le risposte, quelle necessarie a penetrare nelle cose, o mancano o forse non esistono. Ed alla fine, seduto in macchina, osservando quel mondo caotico al di fuori del finestrino, realizza che forse la sola possibilità è quella di accettare quel disordine che tanto lo spaventava. In quel tetro confuso labirinto riesce ad assaporare un momento di felicità.

Ma che cos'è questo lampo di felicità che mi fa tremare e mi ridà forza, vita? Vi domando scusa dolcissime creature, non avevo capito, non sapevo... com'è giusto accettarvi, amarvi... e com'è semplice. Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare... ma non so dire. Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso, ma questa confusione sono io... io come sono, non come vorrei essere e non mi fa più paura. Dire la verità: quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita, viviamola insieme. Non so dirti altro Luisa, né a te né agli altri. Accettami così come sono se puoi, è l'unico modo per tentare di trovarci.

 

L’arte si apre al caos, lo abbraccia, non si affanna a trovare l’ordine; vive il caos senza paura, accettando, come direbbe il caro vecchio Woody Allen, quei piccoli momenti di beatitudine lasciati cascare per sbaglio dal Paradiso dal Buon Dio. L’arte comprende che l’essenza stessa della vita è il caos e non lo rifiuta ma lo accoglie in sé ed altrettanto possiamo fare noi, anche se questo terrorizza.

Nel nuovo secolo, anni dopo il capolavoro felliniano, l’eccentrico autore Charlie Kaufman scrive Il ladro di orchidee, diretto dal talentuoso Spike Jonze. Anche questa è la storia di uno sceneggiatore in crisi, lo stesso Kaufman, che non riesce a dare un ordine alla propria vita e quindi alla propria sceneggiatura. Kaufman cerca nella scrittura, e quindi nell’arte, un ordine da poter dare alla sua esistenza, in bilico tra agenti erotomani, fratelli aspiranti cineasti e giornaliste tossicodipendenti. Eppure anche lui, alla fine di una grottesca ed assurda vicenda, si aprirà al disordine, come ha fatto anni prima Guido. La sua spensieratezza, vissuta in un giorno di sole, è la stessa di Guido/Fellini. 

Il ladro di orchidee

Anche Jep Gambardella, protagonista della Grande bellezza di Paolo Sorrentino, è alla ricerca di risposte e di ordine eppure alla fine esclamerà:

Finisce sempre così, con la morte. Prima però c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla bla bla bla. Altrove? C’è l’altrove? Io non mi occupo dell’altrove! Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco. 

Come Eugenio Montale anche Jep alla fine accetterà il disordine del cosmo e della sua esistenza terrena; accetterà l’impossibilità di poter trovare delle risposte certe («non domandarci la formula che mondi possa aprirti»), consolato dalla speranza di poter godere di «occasioni», momenti fugaci in cui si mostra la bellezza a sprazzi come «l’azzurro» «tra le cimase».

La grande bellezza

E forse questo il vero senso della vita?

Emmanuele Antonio Serio

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