28 giugno 2021

I gatti nella storia e nell'arte

Gatto Pawel Kuczynski

"Il gatto, la più elegante, cocciuta e scaltra delle creature"
"Il gatto è l’animale tra i più amati e perseguitati dall’uomo e dalla storia"

Da tempi immemorabili i gatti sono presenti nella vita, nel pensiero, nelle opere dell’umanità, tanto da poterne essere considerati, a buon diritto, i naturali compagni di viaggio lungo il tortuoso cammino dell’esistenza. Ma la cultura umana, volubile e astratta, perennemente suscettibile di repentini cambiamenti, ha riservato a questi esseri "straordinari" atteggiamenti via via mutevoli, spesso contraddittori, esaltandoli o denigrandoli incondizionatamente. Pertanto, nell’arco delle umane vicissitudini,  i gatti risultano amati, odiati, temuti, perseguitati, vituperati,  osteggiati, rispettati con un identico ardore e, di fatto, saldamente ancorati alla nostra memoria collettiva. Così nell’antico Egitto i sovrani della XXII dinastia elevarono a divinità suprema Bastet (figlia di Ra), la dea gatta nutrice (raffigurata con il corpo femminile e la testa felina), simbolo della gioia, della danza e della fertilità, tributandole un culto polìade nella città di Bubasti, dove gli scavi archeologici hanno rivelato la presenza di una immensa necropoli felina. In seguito Greci e Romani completarono il processo di antropomorfizzazione, trasfigurandoli nelle divinità Afrodite e Venere, simboli dell’amore e della bellezza, mentre in Germania e Scandinavia gli stessi simboli erano personificati dalla dea nordica Freya trascinata su un carro celeste da quattro gatti grigi.

Bastet
Bastet

E’ evidente dalle premesse che l’elemento femminino ben si adatta alla sensualità felina, imponderabile e misteriosa, le due nature si compenetrano e si fagocitano, in una perfetta e sorprendente simbiosi "L’eterno femminino ci trae in alto" dichiara acutamente Goethe nel V atto del Faust (momento conclusivo della redenzione) riferendosi a quel connotato sacrale e catartico inscritto nella figura della donna "sforzatevi di capire i gatti e così capirete anche le donne" recita un detto orientale.  Ma la storia infinita dei gatti continua e si trasforma radicalmente;  se l’antichità  fu per queste sensibili creature una sorta di mitica età dell’oro, il Medioevo, ahimè, riservò ai simpatici felini un trattamento meno edificante, creando intorno alla loro immagine, in una prima fase, un alone di indifferenza e di proscrizione e successivamente di ostilità  e di rabbiosa e incontrollata  isteria – si trattò del Dies irae a nocumento dei gatti –. Pertanto fino al secolo XII i riferimenti letterari ed artistici ai gatti sono scarni o del tutto inesistenti (ad eccezione di qualche rara miniatura tardo gotica) in sostanza  è loro negata una concreta partecipazione alla vita culturale e sociale. La letteratura, l’arte, la vita quotidiana, monopolizzate dalla Chiesa cattolica, esclusero l’animale dall’iconografia ufficiale e conseguentemente dalla vita materiale e spirituale degli uomini, in quanto la bestiola era associata  all’idea della povertà, condizione malsana e repellente per i chierici crapuloni, riservata alle anime dannate,  e coloro che non obbedivano a tale insindacabile precetto, paradossalmente, correvano il rischio di incorrere in gravi sanzioni (rogo incluso) da parte del tribunale dell’inquisizione, per aver incautamente dato ristoro al servo del demonio.

Freya

Nei testi, nei cartigli, nelle miniature  realizzate dai chierici, unici depositari della cultura dell’epoca (definita, non sempre a torto, media tempestas o inverno culturale), non si odono miagolii, i gatti, ritenuti forieri di sventura, sono ufficialmente cancellati dal pensiero e dal sentimento degli intellettuali. Nonostante questa sconsiderata damnatio memoriae, essi rappresentarono, soprattutto nell’alto medioevo, l’unica risorsa affettiva dei poveri e dei diseredati  che, di fatto, non possedevano nulla ad eccezione di un gatto… unico elemento consolatorio del loro stato permanente di inòpia. Nihil in mondo possidebat praeter unam gattam.

Si può dire, ironicamente, che a furor di popolo ebbe inizio un processo di democratizzazione e populismo del gatto, trasfigurato da divinità pagana a una sorta di icona del proletariato ante litteram. Solo nelle modeste e umili case medioevali i gatti reietti troveranno dunque, nonostante i divieti, una cristiana accoglienza popolare, condividendo con le genti semplici e generose un fattivo e complice intimismo, vox populi vox Dei. Con l’avvento del Cristianesimo, il gatto perde inopinatamente l’alone di nobiltà e leggiadrìa che i secoli precedenti gli avevano tributato e su di lui lentamente cala l’oblio e l’inquietante silenzio: la sua figura assume valenze negative, in quanto considerato positus in maligno, quale depositario di poteri stregoneschi e negromantici, in particolare per la sua facoltà di vedere nel buio, qualità discriminante che consentì agli ecclesiastici di inserirlo nel bestiario del diavolo con le altre creature ad esso legate, come il lupo, il pipistrello, la civetta… anch’esse considerate malvagie per la loro naturale dimestichezza con il buio; l’oscurità, per l’ortodossia cristiana dell’epoca, rappresentava il peccato e gli occhi luccicanti (oculus impudicus) di questi tenebrosi  animali erano paragonati  alle fiamme ardenti dell’inferno.  

La negatività dei gatti fu anche determinata dalla loro associazione alle divinità pagane a cui per secoli erano stati assimilati dalle società politeiste, inoltre l’etimologia della parola gatto venne interpretata nel medioevo come cautus ovvero astuto, maligno, e pertanto messo in relazione con i movimenti eretici, in particolare quello dei Catari Occitani, il cui nome deriverebbe dal latino cathus (gatto) che il teologo e filosofo Alano di Lilla nel XII secolo accusò di praticare sistematicamente la sodomìa e di adorare i gatti come incarnazione di Lucifero, dichiarando che essi "trasudano tutti i loro vizi". Inoltre, la natura selvaggia del gatto e la sua refrattarietà ad ogni condizionamento e alla domesticazione fu messa in relazione con il comportamento della donna, considerando entrambe le creature al di fuori delle norme morali e sessuali, in quanto dedite a deprecabili sregolatezze quali la lussuria e la vanità. E' l’epopea degli oscuri presagi, della caccia alle streghe, spesso identificate nei gatti neri che, nell’immaginario collettivo, rappresentano i loro fedeli compagni, in cui spesso esse si trasfigurano, assumendo sembianze feline. I gatti neri in particolare, sono i prediletti dalle fattucchiere in quanto  animali alfa, emissari del demonio, guide e confidenti nelle loro pratiche occulte. Ne sono un esempio palmare i bestiari litici e lignei, talvolta presenti in alcune chiese e cattedrali romaniche e gotiche in cui il gatto venne trasfigurato, insieme anche ad altri animali reali o fantastici (come scimmie, iene, draghi, grifoni …) in fisionomie aberranti e sataniche, quale malefico sodale del demonio, perdendo quasi del tutto ogni traccia felina. Tali immagini mostruose ed inquietanti, esercitavano una precisa funzione parenetica ed apotropaica, tenacemente perseguita dalla Chiesa cattolica - unam sanctam - sulla popolazione corriva, analfabeta e profondamente ignorante del medioevo;  un vero e proprio instrumentum regni di coercizione e dominio. Anche le invettive e i libelli contro i gatti abbondarono; frutto dell’immaginario aberrante dei chierici e dei dotti laici (dal contenuto spesso risibile) pervasero la cultura asinina dell’epoca, saturandola di oscuri presagi con la pervicace, quanto illusoria, convinzione di svolgere una fondamentale funzione educatrice a favore del popolo.

Celebre è la metafora moralizzatrice sul gatto, di Luca da Bitonto, francescano del XII secolo: 

Il diavolo si prende gioco di alcune anime, come fa il gatto con il topo che, lasciato fuggire più volte viene poi catturato ed ucciso. Allo stesso modo si comporta il diavolo quando permette che alcune anime, per un certo tempo, si allontanino da lui. Ma molte anime si prendono gioco del diavolo, come fa il gatto quando cattura un uccellino per giocare con esso, così come è solito fare con il topo. Ma l’uccellino non si lascia catturare e vola via, alla stessa maniera l’anima saggia inganna il diavolo non ritornando a lui.

Il suo confratello teologo Bernardino da Siena, al secolo Bernardino degli Albizzeschi (proclamato santo nel 1450) utilizza invece la similitudo naturalis quando stigmatizza il comportamento dell’invidioso (l’invidia  è uno dei sette vizi capitali), il quale "fa come fa naturalmente la gatta, che sempre ricuopre la sua feccia", assoggettando il legittimo ruolo della natura ad un iniquo processo morale.

La superstizione ottusa ed oscurantista dell’epoca, pervasa dai, mai del tutto sopiti, postumi della  psicosi millenaristica, considerò i gatti l’incarnazione del maligno giustificandone, (insieme alle disgraziate "signore" streghe che ne condivisero i destini) le più efferate persecuzioni a cui la Santa Romana Chiesa con la sua plenitudo potestatis diede un solerte e indefesso contributo attraverso il braccio armato dell’inquisizione.  Memorabile il dictat di papa Innocenzo VIII che nel 1484 dichiarò: "Il gatto è l’animale preferito del diavolo e idolo di tutte le streghe", un chiaro ed inequivocabile esempio di quel malsano e distorto indottrinamento clericale che ebbe, purtroppo, strascichi  anche in epoca rinascimentale, come dimostrano alcune opere pittoriche di matrice sacra, una fra tutte L'ultima cena (1542) di Jacopo da Ponte detto il Bassano conservato alla Galleria Borghese, in cui l’artista ha dipinto un cane placidamente accovacciato ai piedi di Gesù a testimoniarne la fedeltà e l’amore incondizionato, e un gatto che, con movenze ambigue, striscia accanto all’apostolo Giuda, simboleggiando la ribellione e il tradimento. Né  poterono fare di meglio, nel diffondere la paura, i naturalisti e zoologi del XVI secolo, all’epoca considerati veri e propri savantes, tra essi Ulisse Aldovrandi, bolognese, che assimilò il gatto al peccato di accidia e di gola, e Conrad Gesner, svizzero, che nel suo trattato Historia animalium bestiario affermò che il fiato del gatto potesse nuocere all’uomo in quanto velenoso. Ovviamente non mancarono  nei secoli episodi deprecabili in cui i gatti furono vittime della crudeltà umana, sempre avida di malsane emozioni, e spesso stimolata  dalla più bieca superstizione e dalla più fertile ignoranza; basti ricordare che nella città francese di Metz fino al X secolo, per fare penitenza durante la quaresima si bruciavano decine di gatti e nella città belga di Yprès tra il 962 e il 1674 si praticò un rito purificatorio chiamato "il mercoledì del gatto" in cui i felini venivano allegramente scaraventati giù dalla torre del castello, inoltre, in occasione dell’incoronazione della regina Elisabetta I d’Inghilterra nel 1588, vennero messi al rogo, in omaggio alla sua regale maestà, migliaia di gatti, in quanto considerati personificazione della curia romana corrotta.  

L'ultima cena (1542) di Jacopo da Ponte detto il Bassano

Mala tempora currunt insomma, ma i gatti (che secondo la cultura popolare pare abbiano nove vite) gattescamente, oltre che nelle umili case del popolo, trovarono anche un comodo rifugio nel silenzio e nel raccoglimento dei chiostri dei frati mendicanti e dei frati Certosini, dove i dotti monaci li ospitarono, misconoscendo le futili implicazioni eretiche, e le oltraggiose speculazioni diabologiche dei chierici ortodossi,  dispensando loro amorevoli cure e concedendo, con ineffabile spirito cristiano, un meritato diritto di asilo, nell’attesa di tempi migliori. Sarà il genio di Leonardo da Vinci a rinobilitare l’immagine e l’essenza felina, definendo il gatto "il capolavoro della natura" e dedicandogli innumerevoli studi in cui, con acuto spirito d’osservazione e indiscussa maestria, ne raffigurò gli atteggiamenti naturali e quotidiani; dal gioco, alla pulizia personale, alla caccia, al riposo… inserendolo, a pieno diritto, anche in una elegante opera pittorica raffigurante la Madonna con il Bambino, dal titolo La Vergine del gatto (1480/1483) in cui il piccolo Gesù abbraccia un gatto con affettuoso trasporto; evidente richiamo teologico al Cristo cacciatore di anime, così come il gatto è un ottimo cacciatore di prede. 

La vergine del gatto
La vergine del gatto di Leonardo


Una ulteriore visione domestica e quotidiana del gatto la offre l’opera Madonna della gatta (1522/1523) di Giulio Romano, in cui la bestiola è docilmente accovacciata tra le gambe della Vergine e di Sant’Anna, in un tranquillo colloquio spirituale. Nella monumentale opera Cena in casa di Simone di Paolo Caliari detto il Veronese, l’artista ha dipinto, in primo piano, un gatto pasciuto che condivide, in perfetta armonia, un momento ludico con due cani, strusciandosi languidamente sul pavimento.  

Madonna della gatta di Giulio Romano
Madonna della gatta di Giulio Romano


L’immagine del gatto è spesso presente anche nelle opere pittoriche di artisti fiamminghi del XVII secolo pervase da un realismo moraleggiante mediato dal nuovo cristianesimo evangelico, si pensi alle scene di cucina di Pieter Cornelisz Van Ryck o di Joachim Antonisz Uytewael, dove il gatto che cerca di addentare una salciccia o un pesce (chiari riferimenti fallici) incarna il simbolismo teologico della tentazione della carne o voluptas carnis, stigmatizzato dal puritanesimo luterano. Vi fu anche chi dedicò la sua intera vita artistica a dipingere i gatti in tutte le loro declinazioni espressive, infatti il pittore svizzero Gottfried Mind (1768 – 1814) appassionato e amorevole ritrattista felino, li raffigurò con tale abilità ed eleganza, in centinaia di opere, da meritarsi l’appellativo di "Raffaello dei gatti". Successivamente l’intellettualismo ottocentesco, pervaso di estetismo edonistico, codificò i gatti come enigmatiche presenze, essenze psichiche, foriere di un "disagio freudiano", depositarie di occulte, quanto indecifrabili, dimensioni totemiche, come testimoniano molte opere dell’arte, della letteratura e della poesia naturalista e simbolista: il gatto nero posto ai piedi della donna nuda (una prostituta) raffigurata nell’opera pittorica Olympia (1863) di Edouard Manet a simboleggiare, in modo puramente intellettualistico, sine ira et studio, il peccato e la perdizione, a cui conduce la sfrenata lussuria; il gatto nero di Edgar Allan Poe ne I racconti del terrore presagio di sventura e damnatio per il protagonista della storia; la poesia I gatti di Charles Baudelaire, tratta dalla raccolta I fiori del male, in cui il poeta maledetto ne esalta la natura:

Amici della scienza e della voluttà, ricercano il silenzio e
l’orrore delle tenebre; l’Erebo li avrebbe presi per funebri
corsieri se mai avesse potuto piegare al servaggio la loro fierezza.

Al gatto, il grande Charles dedicò anche liriche meravigliose in cui ne esaltò la purezza e la grazia, mettendo in armonia la sua anima felina con quella della donna: 

Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
ritira le unghie nelle zampe,
lasciami sprofondare nei tuoi occhi
in cui l’agata si mescola al metallo.
Quando le mie dita carezzano a piacere
la tua testa e il tuo dorso elastico e la mia mano
s’inebria del piacere di palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo in ispirito la mia donna.
Il suo sguardo, profondo e freddo come il tuo, amabile bestia,
taglia e fende simile a un dardo, e dai piedi alla testa
un’aria sottile, un temibile profumo
ondeggiano intorno al suo corpo bruno

versi immortali che consacrano il nostro beneamato gatto alla fama imperitura.

Olympia (1863) di Edouard Manet
Olympia di Edouard Manet


Nel nostro XXI secolo il gatto si è ormai consacrato alla modernità e al vivere quotidiano, adattandosi ad un ruolo più domestico e inoffensivo che gli è affatto congeniale. Sono ormai lontani i secoli di sacralità e di blasfemia di cui fu involontario protagonista; il gatto, né foriero di sensualità né araldo del male, è consapevole di potersi crogiolare nelle certezze (e nelle mollezze) di un’esistenza sorniona ma ludica quanto basta, da essere considerato un gioioso compagno di giochi e un eccellente dispensatore di affetto, dotato di indubbie capacità terapeutiche. Consapevole di aver acquisito, con il suo incanto sibillino, un ruolo significativo tra la gente di rispetto, sotto lo sguardo amorevole dell’uomo civilizzato, pur non avendo dimenticato  del tutto il suo animus passionis che spesso lo induce o, forse, lo trascina, - come una sorta di irresistibile richiamo ancestrale - a intraprendere fughe repentine alla ricerca della sua atavica ed inviolabile indipendenza. Come affermò Sigmund Freud "il tempo passato con i gatti non è mai tempo perso."

Dulcis in fundo, quale doveroso omaggio all’ineffabile talento felino, mi pare legittimo dedicare, a questi nostri compagni di vita e di avventure, una "Lode al gatto" che, in tempi non lontani, un generoso quanto misconosciuto poeta, amante dei gatti, scrisse per loro: 

Adoro lo spirito libero dei gatti; così eloquente, così squisitamente puro. Che animali affascinanti… li sento profondamente affini alla mia natura, forse per quel loro atteggiamento fluido, vibrante, animato da una spiritualità cristallina, da un coraggio oltraggioso e senza vincoli. I gatti… famelici, inquieti, debordanti, sempre pronti a correre via all’improvviso, inseguendo i loro insondabili sogni, per poi tornare quietamente a riposare le fatiche di un ardore temporaneamente appagato, dispensando tenerezza e cercando voluttuosamente un po’ di affetto… Così è il mio Fufi, il mio piccolo splendido Fufi; corre, salta, morde, graffia, sparisce e riappare velocissimo. Si abbandona ai suoi giochi, che necessariamente diventano anche i miei. Con estremo candore è capace di coinvolgermi nei suoi molteplici capricci e non so negargli la mia attenzione… E come riesce a farsi perdonare le intemperanze della sua indole, quel piccolo filibustiere! Struscia il corpo morbido sulle mie gambe, salta inatteso sul tavolo dove sto lavorando per insinuare, con estrema disinvoltura, la sua graziosa testolina fra le mie mani, osservandomi poi compiaciuto mentre lo accarezzo, sorridendo malizioso, con quel suo sguardo vivo e intelligente.

                                                                       Giuseppe Filippo Vietti

2 commenti:

Bassino ha detto...

affascinante l'immagine del gatto che emerge da questo escursus storico

Unknown ha detto...

Disamina curata della concezione..felina...nelle varie epoche.Congratulazioni all'autore per l'amore che traspare dalla trattazione.