29 ottobre 2021

Modì, il figlio delle stelle

 

Ho ben conosciuto Modigliani; l'ho conosciuto affamato, l'ho visto ubriaco e l'ho visto abbastanza ricco. Mai l'ho visto mancare di grandezza… Mai ho sorpreso in lui il minimo sentimento basso… Ora che tutto è imbellettato e azzimato, ora che si crede di potere sorpassare la vita, dove tutto è super, da supertassa a surrealismo, alcune parole perdono il loro vero senso. lo non so più usare le parole "arte", "artista". Ma supponiamo per un istante che questa parola riprenda il suo colore, il suo senso, il suo sesso… Allora Modigliani era un grande artista
Maurice de Vlaminck

21 gennaio 1906, stazione ferroviaria della Gare de Lyon, nel XII arrondissement parigino; sono le otto di una mattina grigia e fredda, che prelude a una giornata uggiosa; un bel giovane di ventidue anni, con il cuore in tumulto per l’emozione e pochi soldi in tasca, scende lentamente dal treno appena giunto da Livorno, dopo ben ventisei ore di viaggio, guardandosi intorno esitante e un po’ stordito… poi, come se fosse stato improvvisamente rianimato da un impercettibile raggio di sole, trascinandosi dietro il suo scarno bagaglio, il sorriso sornione che gli sfiora appena le labbra, attraversa la banchina con passo sicuro e baldanzoso, impaziente di farsi coinvolgere dall’esaltante avventura che lo attende. Inizia così per Amedeo Clemente Modigliani, detto Dedo, il viaggio verso l’immortalità e la leggenda. Modigliani nello studio

Alto e sbarbato, i capelli scuri che ondeggiavano in ciocche sparse in tutte le direzioni, come i petali dei crisantemi. Gli occhi erano chiari e luminosi, i lineamenti di una sobria evidenza. Le labbra sottili rivelavano, senza affettazione alcuna, il più sdegnoso dei sorrisi che sia mai stato riflesso in questa vita. Indossava un vestito di velluto a piccole coste, di colore bruno dorato, leggermente deformato dall’uso, ed un paio di calzoni grigi. La camicia era interamente nascosta dal nodo di una cravatta vivace a fiocco, le cui estremità gli ricadevano all’altezza dell’ombelico e in testa calzava un cappello a larga tesa, stile Borsalino. Le maniche della giacca, troppo lunghe, nascondevano in parte le belle mani delicate e pallide. L’insieme della figura non rivelava apparentemente nulla di fastoso ma era così nitido e di tal decoro (inusuale tra i pittori della Bùtte) che si aveva la sensazione di trovarsi in presenza di un uomo di rara signorilità. Nulla di più ingannevole, perché  Modigliani si dimostrò, nel corso della sua vita, di umore estremamente variabile e a tratti iracondo. Dalla sua persona sprigionava, in modo naturale, un senso di superiorità. Egli s’imponeva per l’alta statura, per la pacata nobiltà dei suoi atteggiamenti, per il tono seducente della sua voce, una “voce di velluto” come la definì il collezionista e amico dottor Devraigne. Tutto in lui era armonioso, anche la stravaganza “era bello, grave, romantico” così lo ricorda Jean Cocteau. Modigliani curava molto anche la sua igiene personale, a differenza dei suoi amici e compagni pittori, per i quali la pulizia e il decoro non rientravano tra le priorità;  alcuni  risultavano addirittura ripugnanti, come il pittore lituano Chaim Soutine, una specie di barbone indigente che letteralmente sguazzava nella sporcizia, in quanto non si lavava mai e neppure si cambiava la biancheria e aveva inoltre la disgustosa abitudine di soffiarsi il naso nella cravatta. Modì invece faceva il bagno, quasi ogni giorno, in una tinozza di zinco che puntualmente si portava dietro ad ogni trasloco, Max Jacob ricorda infatti nei suoi scritti che “Prendeva frequenti bagni in una tinozza”. Ciò naturalmente suscitava sconcerto e curiosità tra i conoscenti e un giorno il critico e mercante d’arte Paul Guillaume gli chiese una spiegazione al riguardo e lui rispose: “Si tratta di un retaggio delle mie origini ebraiche” lasciando intendere che tale abitudine non fosse solo finalizzata all’igiene corporale ma anche ad una sorta di purificazione simbolica del suo status di Giudeo.

Era inoltre un uomo di buona cultura, con il dono di esprimersi usando un linguaggio semplice ma fantasioso, che incantava l’uditorio. Con inaudita delicatezza adattava il suo pensiero all’ambiente, facendosi capire da tutti, sia dai più umili, senza però essere banale, sia dai più colti riuscendo talvolta a stupirli. Dante (di cui amava declamare i versi a memoria e che per lui era sacro) Petrarca, Machiavelli, Carducci, D’Annunzio erano i suoi autori preferiti, non escludendo gli scrittori e i poeti francesi di talento, degni di essere ricordati, come Baudelaire e Rimbaud. Leggeva Nietzsche e Koprotkin, il principe filosofo teorico dell’anarchia. Modigliani, che conosceva perfettamente il francese, si esprimeva con scioltezza,  accompagnandosi con un gesto lento, quasi cercasse di dare forma alle idee, modellandole nella materia imponderabile dello spazio. Era un virtuoso dell’ironia e talvolta manifestava il suo disappunto attraverso la caricatura: Un giorno stava pranzando con due amici in un piccolo ristorante parigino (l’Ami Emile) e il discorso cadde sull’arte bizantina, Modì, inopinatamente, prese un piatto con la mano sinistra e se lo pose diritto all’altezza della nuca, quindi sollevò la mano destra con l’indice rivolto verso il soffitto, assumendo un’espressione ieratica. Ottenuto l’effetto desiderato disse: “Ecco la vostra arte bizantina”. 

Aveva la necessità di ricercare sempre l’immagine più curiosa e suggestiva; ciò che lo colpiva maggiormente dell’autunno, ad esempio, erano le foglie dei platani, arrotolate come i riccioli dei capelli femminili. Modigliani era di animo nobile, traboccava di sentimenti elevati e disprezzava la banalità, la stupidità dell’esistenza. Tra tutti gli artisti di Montmartre è stato forse, il più intelligente, il più sensibile all’espressione, l’osservatore più perspicace, il conversatore più brillante. Nell’intimità, con gli amici, era affettuoso, straordinariamente sensibile e usava vocaboli deliziosi. Ma, non appena si trovava nel mezzo di una compagnia numerosa o davanti a degli sconosciuti, emergeva la sua personalità più estrosa e picaresca, trasformandolo in un oratore instancabile e logorroico che si abbandonava alla declamazione, con la violenza di un fuoco d’artificio, perdendo irrimediabilmente il suo fascino. 

Ritratto di Jeanne
Ritratto di Jeanne 

Da questa sua attitudine aberrante cercava di trarre il massimo profitto, accentuandone il carattere, fino a diventare insolente e talvolta volgare.  Tale atteggiamento lo rendeva sconcertante agli occhi di chi non lo conosceva intimamente; voleva a tutti i costi épater le bourgeois. Un appunto conservato nelle memorie di Alice Prin detta Kiki de Montparnasse, classe 1901, amica, amante e modella di Modì, ci offre un’immagine dell’artista piuttosto pittoresca. Entrambi erano soliti frequentare la piccola trattoria  Chez Rosalie in rue Campagne-Première a Montparnasse, gestita da un’ex modella italiana, assai cordiale, di nome Rosalia, ormai sfiorita e ingrassata, che da buona cuoca offriva nel suo menu’ piatti tipici italiani, accettando benevolmente in cambio i disegni dell’artista squattrinato, verso il quale provava un sentimento di simpatia e di tenerezza, anche se, come ricorda Kiki, “…il cliente che dava più filo da torcere a Rosalie era Modigliani, che passava il tempo a fare certi rutti  che mi facevano tremare dalla testa ai piedi. Ma quant’era bello!”. E’ sconfortante il fatto che i disegni con cui l’artista si sdebitava venivano utilizzati dall’ingenua Rosalie per alimentare il fuoco dei suoi fornelli. 

In realtà Modigliani subì, negli anni parigini, una significativa metamorfosi, probabilmente accentuata dall’uso smodato di hashish, di cocaina, di oppio e di alcolici di ogni genere, in particolare il laudano (la fata verde), che alterò sensibilmente il suo equilibrio psichico “comprensione e pazienza erano indispensabili per voler bene a Modigliani che spesso, quand’era ubriaco, oltrepassava  i limiti della sopportazione altrui, fino a mettere a dura prova la comprensione e la pazienza” precisa lo storico dell’arte Piera Callegari. Oltre a fumare qualche pipa d’oppio era uso talvolta  inalare etere e ubriacarsi di vino, fino agli stremi limiti,  in compagnia del suo amico pittore Maurice Utrillo, facendo tappa in ogni osteria di Montmartre, dove i due erano conosciuti come una coppia di balordi ubriaconi. Ovviamente tali intemperanze creavano sconcerto e riprovazione tra gli abitanti del quartiere,  soprattutto a causa loro comportamento aggressivo e asociale, che spesso purtroppo richiedeva l’intervento energico della gendarmeria. Da una parte vi era in lui una superiorità culturale e intellettuale nonché un gusto e una creatività esclusivi – i pittori di Montmartre lo consideravano un intellettuale – dall’altra una ipersensibilità morbosa che una volta scatenatasi gli faceva perdere il controllo. L’uomo modesto, fine, sereno diventava, per un nonnulla, vanitoso, suscettibile, riottoso; l’uomo equilibrato si trasformava in un folle e le sue passioni, senza ritegno, fluivano violente attraverso ogni ostacolo, come i cavalieri dell’apocalisse 

Nonostante il suo fisico tutt’altro che poderoso, sotto l’effetto degli eccitanti diventava rissoso e non si tratteneva davanti alla possibilità di una zuffa, sempre facile ad accendersi nei bistrots di Montmartre. Attaccava senza preoccuparsi delle conseguenze, sia che si trattasse di affrontare giovinastri prepotenti al Moulin de la Galette per questioni di donne, sia che reagisse alle provocazioni dell’antisemitismo, dilagato in Francia dopo l’affare Dreyfus.
Piera Callegari

A causa di questa indegna discriminazione nei confronti degli ebrei (Modì era ebreo sefardita) per orgoglio e per provocazione, prese l’abitudine di presentarsi ai suoi interlocutori con la frase “je suis juif” non dissimulando un tono di sfida. Si racconta che un giorno Picasso in sua presenza azzardò, con il suo tipico cinismo iberico, una battuta dispregiativa sugli ebrei, la reazione di Modigliani fu immediata, afferratolo per la giacca, lo strinse con forza, il viso pallido, lo sguardo furente, e con voce bassa e minacciosa, gli disse di non provarci mai più. Picasso, uomo accorto, capì perfettamente. Da buon intellettuale Modì amava le idee e una volta afferrata l’idea più stimolante si trasformava in un raffinato giocoliere; egli non discuteva mai di arti plastiche ma esclusivamente di amore e di donne, come nessuno avrebbe saputo fare: “Parlare d’amore, di donne per me è parlare d’arte, di scultura, di disegno… Il significato dell’arte e quello dell’amore si concatenano.” Modigliani era un poeta, un essere straordinario e mostruoso, dalla personalità travolgente. Si è voluto attribuire alla miseria e alla bohème la ragione dell’esistenza tormentosa e randagia dell’artista ma tale definizione è errata. Sebbene egli non conobbe mai quel benessere economico che le sue opere avrebbero alfine assicurato ai mercanti d’arte, durante tutta la sua vita ebbe abbastanza denaro da poter vivere decorosamente (salvo durante i primi mesi del 1914, nei quali l’indigenza fu effettivamente reale a causa di una temporanea mancanza di committenze). Già nel corso del primo anno del suo soggiorno parigino (1906) fu aiutato economicamente dalla madre Eugenia che da Livorno inviava mensilmente delle rimesse di denaro che, seppur modeste, gli garantivano una certa sicurezza finanziaria, pertanto l’argomento della miseria di Modì è perlomeno discutibile. Inoltre il suo primo mecenate, il chirurgo Paul Alexandre, gli acquistò numerosi disegni e successivamente i mercanti d’arte Barbazanges, Costant Lepoutre, Chéron lo fecero lavorare come pittore, scultore e disegnatore. Da ricordare, tra i suoi affezionati clienti, anche il dott. Devroigne, il sig. Charles Meunnier, il sig. Natter, il sig. Rolf  Demaré, il principe De-Wagram, il sig. Maurice Joyant, che gli acquistarono direttamente numerosi quadri. 

Tra tutti emerge comunque la figura emblematica di Léopold Zborowski, un emigrato polacco conosciuto probabilmente nel 1916, che svolgeva l’attività di mercante di quadri, il cui negozio era situato al n. 3 di rue Joseph Bara, a Montparnasse. Zborowski, che era anche poeta e critico d’arte, aiutato dalla moglie Hanka Cirowska o Sborowska, donna affabile e intelligente, animata da una grande vocazione commerciale,  intuì ben presto il talento di Modigliani e ne divenne una sorta di tutore, mecenate e mercante, facendogli firmare un contratto di esclusiva. 

Sebbene Zborowski all’inizio non avesse molto denaro, garantì all’artista il pagamento dell’affitto di un sottotetto in Rue Racine e gli anticipò la somma di venti franchi al giorno. Come contropartita Modì si impegnò a non vendere nulla al di fuori della mediazione del mercante, clausola che non fu mai rispettata infatti, nonostante l’impegno assunto, egli continuò a vendere le sue tele a chiunque gliele richiedesse. A tale proposito è significativo ricordare l’episodio del mercante Chéron che un giorno lo chiamò a casa sua, 68 rue La Boetie, e gli fece trovare nello scantinato la tela, i colori, i pennelli, l’acquaragia, le sigarette, una bottiglia di cognac e la modella. In due ore l’artista eseguì l’opera (un ritratto) e venne pagato in contanti. In seguito diversi piccoli ritratti furono commissionati e pagati  allo stesso modo con importi variabili. A tali risorse finanziarie si aggiunga il denaro che il solerte e ingenuo Zborowski (che Modì affettuosamente chiamava Zbo) gli procurava con la vendita dei quadri esposti nel suo negozio, grazie ad una sempre più consolidata committenza; basti ricordare i collezionisti e galleristi Paul Guillome, Vollard, Hodebert, George Barnheim, Van Leer, Tanner di Zurigo… Con lui mantenne sempre un ottimo rapporto nonché una corrispondenza cordiale e intensa; il primo gennaio 1919 gli scriveva : 

Caro amico, La bacio come avrei voluto se avessi potuto il giorno della sua partenza. Sto facendo bisboccia con Survage al Coq d'Or. Ho venduto tutti i quadri. Mi invii presto il denaro. Lo champagne scorre a fiumi. Auguriamo a lei e alla famiglia i migliori auguri di buon anno. Ressurrectio vitae. Hic incipit vita nova. In novo anno! 
Modigliani

Pertanto Amedeo Modigliani non conobbe la miseria in senso lato, non fu mai un guitto ed ebbe sempre abbastanza denaro da vivere decorosamente, come osserva ancora Piera Callegari “Per di più una signorilità che aveva resistito alle traversie economiche familiari lo portava ad usare il denaro con un’indifferenza che non teneva alcun conto del concetto di risparmio”  Purtroppo egli amava sperperare, pareva quasi che il denaro gli scottasse tra le dita, tanto da costringerlo a disperderlo con “una generosità ostentata e sciocca” precisa lo scrittore Sylvain Bonmariage, suo compagno d’avventure e biografo inedito. “Una generosità spinta fino all’incoscienza resta, come si è visto, uno dei suoi tratti, anche quando le condizioni economiche diventavano drammatiche” puntualizza Corrado Augias.  Spendeva per il gusto e la gioia di stupire gli “amici“, spesso non esattamente tali ma semplici adulatori non disinteressati ed era prodigo anche con le mance che elargiva ai camerieri, definendo questo suo modus vivendi “un comportamento da ricco signore” e forse in quei momenti di incontrollata generosità, gli tornavano alla mente le parole del Talmud: “Il solo denaro che ti davvero ti appartiene è quello che spendi”. 

Léopold Zborowski
Léopold Zborowski

Era senza dubbio un grande scialacquatore di denaro così come lo era della sua vita, tanto che Zbo a ragione lo definì poeticamente “un figlio delle stelle”. Si può dire che Modigliani sia vissuto in un sogno e in questo sogno era la sua verità. Cosa poteva essere la meschina realtà se confrontata con l’epopea che egli rappresentava? Nient’altro che una fragile contraddizione.

Jeanne Hébuterne

Jeanne Hébuterne

Modigliani muore all’alba del 24 gennaio 1920 all’Hopital de la Charité in rue Jacob, nel quartiere di Montparnasse, dove era stato ricoverato in preda al delirio… distrutto dal vizio e dalla meningite tubercolare, aveva trentacinque anni. I funerali si svolgono il 27 gennaio, nel primo pomeriggio;  una folla imponente segue silenziosa il carro funebre tirato da quattro cavalli neri e diretto verso il cimitero di Père Lachaise. Tutta Montparnasse è presente, ci sono anche molti amici pittori di Montmartre, scesi dalla Butte apposta per rendere l’ultimo saluto al grande Dedo. Manca solo lei… Jeanne Hébuterne, la sua compagna, la musa fedele e silenziosa, la donna capace di sopportarne stoicamente tutte le intemperanze. Distrutta dal dolore ma impassibile come una madonna bizantina, lei, che aveva giurato ad Amedeo felicità eterna, all’alba del 26 gennaio ha mantenuto fede al giuramento e si è gettata dal quinto piano dell’appartamento dei genitori, in rue Amyot, dove si era lasciata docilmente condurre dal fratello. Aveva ventun’ anni ed era al nono mese di gravidanza. Oggi, entrambi, riposano nel cimitero di Père Lachaise, in un’unica tomba, metaforicamente uniti in un eterno abbraccio …estrema e struggente peroratio!  

Tomba di Modigliani
Tomba di Modigliani


                                                                      Giuseppe Filippo Vietti

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