22 dicembre 2021

La discriminazione al tempo del Covid e il capro espiatorio di Girard

L’emergenza coronavirus con tutte le sue incertezze, i drammi e gli interrogativi sta determinando una serie di misure straordinarie da parte dei governi di mezzo mondo atte a ridurre i contagi. Nello stesso tempo stanno emergendo iniziative discriminatorie e audaci forzature alle prassi legislative. Le crescenti limitazioni poste ai non vaccinati e una spregiudicata campagna di discredito verso ogni forma critica stanno ponendo un terreno fertile allo scontro sociale. Tutto ciò avviene in un clima di generale sottovalutazione di tali fenomeni inquadrabili nel meccanismo del capro espiatorio suggerito dagli studi di René Girard.

E’ ancora vivo l’angosciante ricordo della conta dei morti per Covid nel corso dei primi mesi del 2020, quando gli ospedali del nord Italia si riempivano di malati e le ambulanze rompevano il silenzio nelle strade deserte. In quel frangente l’assenza di posti letto e un numero insufficiente di medici aveva persino determinato in alcuni ospedali l’atroce scelta di chi salvare: un giovane o un anziano? Questi drammi, raccontati con morbosa attenzione dai media, hanno indubbiamente sconvolto le coscienze e colpito nel vivo intere famiglie. Inoltre il prolungarsi dello stato di emergenza ha scatenato nelle persone un nugolo di paure primordiali atte difendere la propria incolumità. Da ciò la corsa alle mascherine, il rigoroso rispetto del distanziamento sociale, la sanificazione continua ecc. 

La soluzione alla pandemia sembrava essere riposta nella distribuzione dei primi lotti di vaccino con cui ci si illudeva di diventare immuni alla malattia. Man mano che avanzava il numero delle prime somministrazioni emergeva anche una crescente distinzione tra vaccinati e non vaccinati: tra immuni e soggetti a rischio. Coloro che non si vaccinavano erano (e sono) un pericolo per loro stessi e per gli altri, questo il mantra della comunicazione supportato anche dai dati che mostrano inoltre come ad ospedalizzarsi siano in prevalenza i non vaccinati. A torto o a ragione gli Stati hanno puntato tutto sui vaccini come unica soluzione possibile alla pandemia, e alla decisione politica ha fatto seguito il supporto comunicativo dei media che come un corpo unico ha seguito questa indicazione. Ma al sopraggiungere di un primo rallentamento nelle nuove vaccinazioni la campagna mediatica si è trasformata in un bombardamento continuo atto a convincere gli indecisi. In televisione qualsiasi renitenza veniva trattata come follia, associando anche il termine no vax a tutto ciò che è negativo, complottista e stupido (e molte volte a ragione). Nei media si sovrapponeva un crescendo di opinioni prive di dubbi in merito ai vaccini: “i vaccini sono sicuri”, si ripeteva, salvo poi dover ammettere che non era proprio così, oppure che avremmo ottenuto un’immunizzazione che in realtà si è tramutata in una protezione temporanea. A queste prese di posizione si affiancava un linguaggio di discredito e persino di odio (hate speech) contro coloro che intimoriti dalle poche e contraddittorie informazioni si astenevano dall’aderire all’inoculazione.           

Ilaria Capua (ma anche Andrea Crisanti) dichiaravano: “I no vax si paghino il ricovero in ospedale”. Il cantante J-Ax sentenziava: “Provo un pesante odio per i no vax”. Il virologo Pregliasco: “Non vaccinarsi vuol dire essere imboscati, come in una guerra. A suo tempo i soldati venivano fucilati sul posto se non andavano alla guerra.” Sempre in tema militare il generale Figliuolo ha affermato: “Andremo a stanare i recalcitranti, casa per casa, per convincerli.” Oppure Gentiloni: “Negare la cittadinanza politica ai no vax”. Giuliano Cazzola rivolgendosi al Ministro Lamorgese ha detto: “Richiami in servizio Bava Beccaris che sa come trattare questa gente, questi terroristi” ricordando il generale che soppresse le proteste a colpi di cannone. A queste aggressioni verbali si è aggiunto il Codacons che in un suo comunicato addirittura suggeriva di togliere la pensione o il reddito di cittadinanza a coloro che rifiutano il vaccino, misura che è stata poi normata per i percettori del reddito di cittadinanza.                                          

green pass

Questo atteggiamento istituzionale e sociale sta determinando un crescendo di casi di ansia, depressione, solitudine e sensi di colpa soprattutto negli esistanti. La pressione sociale enfatizzata dall’introduzione del Green pass ha di fatto separato le persone e reso incerto il futuro: che fine faranno coloro che non possono o non vogliono vaccinarsi? Verranno via via ghettizzati? Verranno tolti loro i diritti politici come richiesto da qualcuno? Verranno privati del lavoro ed esclusi dalla vita sociale?
Le regole via via introdotte sono volte a incoraggiare e valorizzare in ogni modo coloro che consapevolmente hanno scelto di vaccinarsi, enfatizzandone il ruolo positivo atto a sostenere la Sanità e con essa la Nazione intera in questo frangente così difficile. La presenza di così tanti vaccinati ha determinato un consistente alleggerimento degli ospedali, ma non si possono negare le criticità connesse all’ottenimento di questo risultato importante.

Lo storico Alessandro Barbero fa notare come lo strumento del green pass sia un obbligo vaccinale mascherato che nasconde solo l’ipocrisia dello Stato davanti all’incapacità di obbligare tutti i cittadini a sottoporsi al trattamento, mentre il filosofo Massimo Cacciari estende il ragionamento all’uso distorto dello stato di emergenza. Quest’ultimo infatti fa notare come negli ultimi vent’anni i governi abbiano preso decisioni in via emergenziale superando le prerogative parlamentari, il dibattito e la riflessione. L’emergenza Covid ha indubbiamente amplificato questo problema mostrando inoltre come le decisioni governative vengano gestite con un approccio sempre più tecnocratico. Cacciari così si preoccupa del rischio che lo stato di emergenza si trasformi in stato di eccezione, ossia che le leggi speciali che durante lo stato di emergenza hanno una durata temporale prefissata diventino leggi permanenti e sottoposte all’arbitrio del potere. L’esempio in questo caso è non solo l’emergenza in corso ma anche tutte le restrizioni atte ad affrontarla ad oggi prive di una chiara definizione temporale. Cacciari infatti si domanda: qual’è la condizione per cui cesseranno tutte queste misure? Esiste una valutazione su una soglia per tornare alla normalità? In assenza di un quadro normativo chiaro il filosofo manifesta forti preoccupazioni anche a causa dell’evidente assenza di un dibattito pubblico sul tema. Questa condizione infatti potrebbe generare un domani l’ascesa di una forza politica che possa utilizzare una nuova emergenza per imporre misure inutili, se non dichiaratamente sovversive.

              

Ad avvalorare la tesi della gravità della situazione c’è da evidenziare l’impossibilità di esprimere un’opinione serena sul green pass e sulle vaccinazioni. Qualsiasi rilievo alla legittimità giuridica del pass, ai dubbi posti da alcuni scienziati in merito (ad esempio) alla vaccinazione pediatrica e giovanile sono subito mistificate e ridotte al silenzio tramite accuse di vario genere, tra cui quella di avere posizioni antiscientifiche: a parte il fatto che la scienza si nutre dei dibattiti e delle critiche e senza di essi non potrebbe andare avanti. Appare profondamente pericoloso questo approccio privo di un dibattito sereno ma soprattutto sganciato da una logica esclusivamente emergenziale. Abbiamo già parlato in un precedente articolo di come l’intera emergenza Covid abbia evidenziato come le posizioni ufficiali non potessero essere messe in discussione un anno fa. Tuttavia questa caratteristica si manifesta già da tempo tramite altri argomenti spinosi come: la questione palestinese, i diritti degli omosessuali o l’immigrazione. Tali argomenti rischiano oggi di cadere facilmente nella falsa interpretazione e nella mistificazione. Così come coloro che parlano della questione palestinese vengono facilmente bollati come antisemiti, allo stesso modo avviene quando si pongono delle critiche relative l’attuale pandemia. 

Sotto un profilo nettamente psicologico la gente comune sospinta dalla paura tende a replicare acriticamente quanto professato dai media. Seppur con vari distinguo si riscontrano episodi che in altri momenti sarebbero stati considerati inaccettabili: commercianti che rifiutano l’ingresso ai non vaccinati, studenti ostracizzati dai compagni di classe, mobbing nel mondo del lavoro e licenziamenti causa mancata vaccinazione (seppur in assenza di un obbligo legislativo). Allo stesso modo alcuni non vaccinati tendono a manifestare una certa aggressività e un’insofferenza verso le restrizioni imposte, sfociando in insulti, manifestazioni di piazza e a volte persino in scontri con la polizia.
L’antropologo René Girard studiando il processo del capro espiatorio nelle comunità ha dimostrato come in genere il comportamento umano sia mosso prevalentemente dall’imitazione: ciò che desidera o possiede la persona vicina è ciò che si finisce col desiderare. In circostanze eccezionali, come durante le epidemie o le guerre, la storia ci dimostra come i comportamenti collettivi siano mossi da un meccanismo ritualistico sempre uguale. Nel passato il popolo individuava una causa prima che poteva essere una persona, una minoranza religiosa, etnica o tipologica su cui si concentravano le leggi e le proibizioni. Questo processo è facilmente riscontrabile nelle vicende dei miti, ma non solo, nell’Antica Grecia era presente il rito del pharmakos per cui un uomo scelto per la sua bruttezza veniva nutrito a spese della città, poi in un giorno stabilito, veniva scacciato a frustate; in altre polis ogni anno uno sventurato veniva "comprato" e nutrito a spese pubbliche per poi venire espulso a sassate. Il pharmakos quindi diventava il reietto e il salvatore della polis che con il suo sacrificio permetteva alla comunità di ritrovare ritualmente la sicurezza e la pace. Lo stesso processo è da riscontrarsi nel sacrificio del Cristo che venne scelto al posto di Barabba: “Signore, perdona loro perché non sanno quello che fanno” pronuncia sulla croce. In queste parole sembrerebbe scorgersi il senso di un gesto inconscio che gli uomini compirebbero su un innocente che ritualmente prende su di sé tutte le colpe, placando nel sacrificio la sventura della comunità, salvandola. Allo stesso modo possono essere interpretati i fenomeni come la caccia alle streghe, le persecuzioni dei cristiani dopo l’incendio di Roma o quelle degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Su di loro è caduta la colpa delle sventure occorse alla nazione, e su di loro si è concentrata l’azione persecutoria dell’auctoritas nonché del popolo.
Per riportarci ai nostri giorni è utile ricordare come poco prima della pandemia alcuni partiti di destra avessero concentrato tutte le colpe sui migranti affermando: “rubano il posto di lavoro agli italiani”, “si dedicano allo spaccio”, “sbarcano e permangono sul suolo italiano illegalmente” ecc. scatenando un clima di indotta intolleranza. Oggi l’attenzione si è spostata sull’irresponsabilità di chi non si vaccina, consentendo un linguaggio e un atteggiamento paragonabile al medesimo processo... A sua volta questa minoranza su cui si punta il dito (i no vax) compatta le proprie posizioni contro un’altra minoranza: le cosiddette élite, la casta dei politici o i giornalisti, rei di perseguire le finalità di una dittatura sanitaria. Sono infatti queste posizioni, spesso estreme o grossolane, se non talvolta assurde, a enfatizzare la diversità di tale minoranza da isolare se non del tutto da ostracizzare.         

A incentivare questo clima di scontro vengono in aiuto le posizioni di scienziati, medici e psicologi. Lo psicoanalista Massimo Recalcati su Repubblica analizza la galassia dei no vax distinguendo le varie motivazioni per cui una persona giunge a questo tipo di conclusioni. L’analisi di per sé interessante giunge poi ad una valutazione con cui si definiscono i renitenti sanitari (timorosi degli effetti avversi) come dei narcisisti ipocondriaci, aggiungendo inoltre che qualsiasi forma di contestazione da parte di questi soggetti sia paragonabile a una forma di psicosi. Umberto Galimberti ha anche suggerito un’associazione con la pazzia, poiché per tali individui non ci sarebbe modo di fargli cambiare opinione (non si può avere un’opinione contraria?). Questi interventi sono certamente delle valutazioni estemporanee ma tendono verso un principio che nel tempo potrebbe diventare pericoloso, ossia quello della sanitarizzazione del dissenso. Se ad oggi l’opinione diversa viene criminalizzata verbalmente, domani potrebbe essere trattata con un TSO. Casi al limite sono già avvenuti: a Ravanusa un uomo che incitava con un altoparlante la gente a non rispettare le restrizioni, e uno studente di Fano che si rifiutava di indossare la mascherina a scuola. Entrambi hanno subito un TSO semplicemente per un’opinione sui generis.

A fronte di tutti questi esempi citati faccio notare un atteggiamento singolare dell’intera comunità italiana. Negli ultimi anni la sensibilità nei confronti delle minoranze è fortemente aumentata. Il racconto delle vessazioni subite dagli omosessuali, da disabili, dalle comunità religiose e dalle donne, tocca la coscienza di tutti e genera una grande indignazione anche per semplici affermazioni fuori luogo. Ciò determina il cosiddetto linguaggio politicamente corretto. Diversamente sta avvenendo oggi contro gli esitanti vaccinali, per cui la cautela nel linguaggio viene sospesa e una campagna pubblicitaria come “Poteva andarmi peggio”, seppur contestata dai diretti interessati viene ignorata dai media perché chiaramente fuori dal perimetro dell’inaccettabilità.
Jung ha definito questo doppio standard come l’assurdo dell’uomo moderno il quale tende sempre più a sviluppare dei processi psicologici a compartimenti stagni. In pratica da un lato molta gente empatizza con le comunità LGBT per la bocciatura del DDL Zan contro la discriminazione e l’omofobia, ma dall’altro lato non ha percepisce indignazione per quanto accade. Così si spiegherebbe la ragione per cui un nazista potesse essere considerato anche un buon padre, un mafioso è spesso un cristiano devoto, o un gruppo di ferventi religiosi possano avere posizioni xenofobe o dichiaratamente omofobe. L’etica e il comportamento dell’uomo sembra, sotto un profilo psicologico, non suscitare una comunicazione con tutti gli aspetti del proprio io. Consentendo la coesistenza di aspetti contrastanti sul piano morale, senza che essi suscitino un conflitto o quantomeno una riflessione.

Stiamo vivendo un periodo di grande mutamento e la pandemia sembra essere uno spartiacque tra un’epoca e un’altra. Ciò che accade oggi abbisogna di un riequilibrio giuridico e etico per domani, ma non possiamo non renderci conto del grave rischio autoritario in corso e del ruolo dominante dei media e dei social che confondono, disinformano e influenzano. Dovrebbe essere la scuola e la formazione dell’individuo a determinare una rivalutazione del giudizio, ma questo è un discorso molto più ampio e purtroppo spaventosamente fuori moda.

Davide Mauro

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