27 gennaio 2023

Le radici storiche dell’Antisemitismo e tutte le menzogne sul popolo ebraico

Perché il Nazismo scelse proprio questa comunità come vittima del proprio atroce operato, e perché non si sarebbero fermati lì.

L’odio antisemita fu una delle colonne portanti dell’ideologia Nazista, e alla luce di ciò viene naturale domandarsi quali fattori storico-sociali condussero tragicamente sino al rintracciare nella comunità ebraica la vittima designata della follia nazista. Le spiegazioni che sono state fornite nel corso del tempo sono molteplici, e tutte, come sottolineò Hannah Arendt ne Le Origini del Totalitarismo, parziali o non pienamente esaustive.

Una delle più accreditate è indubbiamente la tesi del Nazionalismo, tesi tuttavia in aperta opposizione con una realtà storica che è anche una delle chiavi di lettura più interessanti del fenomeno Nazista: ogni Stato Totalitario, infatti, è mosso innanzitutto da mire di natura sovranazionale, alla  luce delle quali il Paese di partenza non è che un strumento (in termini di uomini e mezzi) dal quale dare il via al proprio progetto di espansione violenta, in modo da fagocitare il maggior numero di individui e territori possibili in quella macchina della morte che ogni dittatura totalitaria è. E se mai il movimento di Hitler ha mostrato, durante la propria ascesa, tracce di ideologia nazionalista, queste non furono che un banale tentativo di raccogliere il favore delle fasce più conservatrici della popolazione. 

Altre ipotesi messe sul tavolo sono la celebre teoria del capro espiatorio, o l'idea, pur parzialmente valida, che l'odio ai danni degli ebrei fosse motivato dalla loro decadenza in termini di prestigio e utilità sociale, e, come evidenzia la stessa Arendt nel suo saggio, la ricchezza è tollerata dalle masse solo qualora sia percepita come frutto di un'utilità, un impegno. Qualora la percezione di questa utilità venga meno, come accadde nel caso esemplare della nobiltà francese all'alba della Rivoluzione, una classe sociale che detiene una notevole ricchezza può ritrovarsi a conoscere l'ostilità e il disprezzo del popolo.

Hannah Arendt
Hannah Arendt

Ma volendo scendere più nel dettaglio, e completare il quadro parziale schizzato da queste ipotesi, quali sono i fattori che condussero a questo declino? È sempre Hannah Arendt a fornirci il quadro storico necessario a comprenderlo al meglio. E bisogna risalire sino al XVII secolo, quando sotto le monarchie assolute si andava lentamente formando la struttura dello Stato Nazionale. È in questo peculiare contesto storico che singoli ebrei uscirono dall’ombra e si prestarono come finanziatori di queste nuove strutture statali, fornendo il capitale necessario al loro funzionamento. Tale evoluzione non si estese naturalmente all’intero popolo ebraico, composto principalmente da artigiani che abitavano zone rurali. Tuttavia, queste comunità ebraiche potevano fare riferimento a queste particolari figure, i così detti ebrei di corte, che svolgevano un ruolo di mediazione diretta con il principe, godendo di conseguenza di alcuni trattamenti di favore. All’indomani della Rivoluzione Francese il sistema statale subì un nuovo riassestamento: crollato il sistema feudale della rigida suddivisione in classi venne introdotta una nuova parità ed uguaglianza di condizioni tra tutti i cittadini, non solo dinnanzi allo Stato, ma anche uguaglianza giuridica dinnanzi alla legge. Questa nuova uguaglianza nella teoria fu poi nella pratica vanificata dall’emergere della società classista, che generò una nuova gerarchia sociale. La ricca borghesia, all’apice di questo sistema classista, prestò sempre pochissima attenzione alle vicende politiche e agli interessi statali, concentrandosi sul settore del privato. Lo Stato, dal canto suo, dinnanzi a nuove sfide sempre più incalzanti necessitava di fondi maggiori, e allargò il proprio bacino di finanziatori all’intera comunità ebraica, che volle tenere sempre separata dal resto della società. Questa separazione nasceva sia dal desiderio di garantirsi l’appoggio finanziario che la comunità ebraica avrebbe continuato ad elargire in cambio di questo trattamento “privilegiato”, sia per impedire loro il contatto con il settore privato e un loro eventuale impegno in quest’ultimo. Per questa ragione la normalizzazione e l’emancipazione della comunità ebraica all’interno dello stato Nazionale avvenne solo alla fine del XIX secolo: era infatti negli interessi dello Stato, quanto in quelli della comunità stessa, che gli ebrei restassero una comunità peculiare e separata rispetto al resto della popolazione, uno Stato nello Stato i cui privilegi non derivavano da altro se non il rapporto con lo Stato stesso, situazione paradossale alla luce del nuovo assetto statale post rivoluzionario che affondava le proprie radici ideologiche nell’uguaglianza tra cittadini. Le cose cambiarono alla fine dell’Ottocento, in corrispondenza della svolta Imperialista. Con l’Imperialismo non solo inizia a crollare il concetto stesso di Stato Nazionale, ma la borghesia comincia anche a nutrire interesse verso gli affari pubblici e ad investire denaro nelle casse dello Stato, poiché la potenza di una Nazione determina in scala maggiore le possibilità di espansione e competizione internazionale della stessa. È in questo clima che i finanziatori ebraici cominciano a perdere il proprio ruolo sociale, l’inizio di un declino che non si verificò in maniera ancora più rapida solo in virtù dell’altro ruolo che il popolo ebraico aveva assunto nel corso dei secoli, ruolo che gli era per giunta facilitato proprio da quello status di comunità internazionale e sovranazionale, che li poneva in una condizione di neutralità rispetto alle dispute economiche delle varie Nazioni di cui curavano gli interessi economici. Gli ebrei, in quanto gruppo autonomo ed emancipato dal resto della società, non si curarono mai realmente delle dinamiche politiche. Costituivano una comunità isolata che, tendenzialmente, non si identificava in alcuna nazionalità a dispetto del luogo in cui risiedevano. Proprio queste caratteristiche, unite ai rapporti che le famiglie giudaiche più influenti nelle varie Nazioni intrattenevano con la comunità ebraica internazionale, contribuirono ad alimentare il falso mito sulla base del quale si infiammò l’odio antisemita moderno: l’idea per la quale gli ebrei costituissero una sorta di società segreta internazionale che muovesse, da dietro le quinte, le fila delle sorti dell’umanità. 

Stupisce, di fronte a questa idea largamente condivisa, la reale ingenuità politica degli ebrei, che alle faccende Nazionali si erano sempre largamente disinteressati interagendo con lo Stato solo alla luce dei propri interessi economici e finanziari, e non certo con la finalità di cospirare o determinare le sorti del mondo. A nutrire questa idea distorta della comunità ebraica uno dei fattori fu naturalmente proprio la stretta relazione con le strutture statali, con le quali collaboravano in qualità di finanziatori, e ciò a prescindere da chi fosse al comando: che al potere vi fosse una monarchia assoluta, una repubblica o qualsiasi altra forma di governo gli ebrei elargirono sempre finanziamenti, dimostrando ulteriormente il proprio completo disinteresse per le vicende politiche nazionali. L’unica ragione per cui gli ebrei avevano sempre ricercato la protezione e il sostegno dei diversi governi che si erano succeduti alla guida era il loro timore e la loro diffidenza verso il popolo, nei pregiudizi del quale vedevano la reale minaccia alla loro incolumità. Tuttavia proprio alla luce di questa identificazione della comunità ebraica con lo Stato, l’antisemitismo divenne facile argomento politico, in quanto rappresentava il terreno comune nel quale inglobare l’intera cittadinanza. Ogni classe era mossa da interessi e problematiche diverse, ma tutte le classi nutrivano un risentimento nei riguardi dello Stato che incanalarono in odio verso gli ebrei, che lo Stato e il potere finanziario sembravano così ben rappresentare. Fu dunque sulla base di questa paradossale quanto fantasiosa teoria del complotto che nacque e si alimentò l’odio antisemita, che conobbe una ulteriore progressione nei vent’anni precedenti la Seconda guerra mondiale, ovvero quando iniziò il processo di assimilazione degli ebrei nella società. La comunità ebraica venne progressivamente privata del proprio isolamento e dei propri privilegi, per poi essere assorbita nei normali circuiti sociali, e questo paradossalmente diede un enorme contributo ad alimentare l’astio collettivo ai loro danni. Come ci suggerisce Hannah Arendt a questo punto, in una riflessione di straordinario interesse, l’uguaglianza è un processo piuttosto complicato sul piano sociale – per quanto rappresenti una delle maggiori conquiste del nostro tempo – e genera spesso tensioni, poiché maggiore è la pretesa di uguali diritti e doveri tra diverse categorie di persone, maggiore è il disorientamento di fronte all’oggettiva differenza tra gli individui che ne beneficiano. Più si predica l’uguaglianza più si è in difficoltà dinnanzi all’evidenza delle differenze, e ciò crea come naturale conseguenza una sorta di rancore sociale verso la categoria che si desidera inglobare e riconoscere come propria eguale. Così paradossalmente, se l’antisemitismo politico si era alimentato della natura della comunità ebraica come gruppo separato, Nazione nella Nazione, l’antisemitismo sociale si era alimentato dei tentativi di inclusione e assorbimento di tale gruppo nel quadro sociale. Tanto più gli ebrei si apprestavano ad ottenere l’uguaglianza, tanto più diveniva straordinariamente evidente la portata della differenza.

Alla luce di questa retrospettiva storica possiamo comprendere quali siano le origini dei pregiudizi e dei falsi miti che condussero all’utilizzo della categoria degli ebrei, nello specifico, come bersaglio della furia del Nazismo. Una serie di menzogne complottiste condite da ignoranza popolare e da una radicata rabbia nei confronti di uno Stato sempre più debole. Ma sarebbe ingenuo ritenere che la furia di un sistema Totalitario si sarebbe esaurita con lo sterminio di una “razza” nello specifico. Ogni Totalitarismo si nutre della paura e della precarietà, un regime del terrore che necessita di una minaccia perpetua, della quale la guerra infinita che ci aveva fatto intravedere un Orwell tra le pagine di 1984 è solo un pallido esempio. Una macchina dell’orrore in costante movimento, che non può fermarsi, perché fermarsi equivarrebbe ad una stabilizzazione, e la stabilità è avversa a qualsiasi regime totalitario, perché è nel terrore, nella paura che gli esseri umani divengono deboli e controllabili. Questo è una dittatura, un meccanismo infido che deve nutrirsi sempre di nuovi nemici e che tende alla deumanizzazione progressiva di nuove categorie di individui per giustificarne il massacro. I Nazisti avevano iniziato con gli ebrei, volevano proseguire con i popoli slavi, e chi sarebbe venuto dopo? E perché non proprio noi?

Conoscere questi meccanismi è un enorme strumento del quale disponiamo al fine di riconoscerli nel presente, e prevenirne un eventuale degenero. Ogni qual volta vediamo intere categorie accanirsi contro un nemico, ogni volta che assistiamo alla deumanizzazione di un altro individuo, alla violenza razzista, alla grettezza del pregiudizio, ogni volta che percepiamo indifferenza verso la morte o la sofferenza altrui, ogni volta che accade ciò ci approssimiamo di un piccolo passo verso un orrore indicibile. Un orrore che si può prevenire praticando la conoscenza, l’empatia, l’umanità. Restiamo umani.

Giulia Mecozzi

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