2 ottobre 2023

Teoria quantistica e relativistica delle interazioni fondamentali della natura

Le conoscenze attuali ci dicono che i principi e la forma matematica alla base della meccanica quantistica e della relatività generale di Einstein sono inconciliabili. La scienza, a partire dagli anni cinquanta, si trovò di fronte ad un bivio, ad un interrogativo a cui ancora oggi questa non sa rispondere in quanto non riesce a far coesistere queste due teorie perfettamente funzionanti. In questo articolo porterò all’attenzione dei lettori l’interessante corrispondenza tra l’intensità della forza nucleare forte e l’effetto Casimir, proponendo una teoria per la quale quest’ultimo sarebbe all’origine di tutte e quattro le interazioni fondamentali della natura. Illustrerò quindi le basi scientifiche e matematiche a supporto di una teoria quantistica e relativistica, fondata sull’effetto Casimir, relativa alla forza che si instaura tra due corpi neutri (interazione gravitazionale), o tra due corpi elettricamente carichi (interazione elettromagnetica negativa o positiva). Infine, vedremo che anche l’interazione nucleare debole può essere ricompresa in questo nuovo modello di unificazione delle forze fondamentali della natura.

1. Introduzione

Oggi il concetto di “Interazioni Fondamentali” è strettamente connesso a quello dell’unificazione delle stesse. Nonostante ci siano enormi differenze nell’intensità delle interazioni fondamentali della natura, molti fisici ritengono che tutte le forze siano parte dello stesso fenomeno. Il concetto moderno di unificazione poggia essenzialmente su quello di costante di accoppiamento e sulla sua identità ed unicità.

Purtroppo le costanti di accoppiamento utilizzate per calcolare l’intensità delle forze conosciute variano con l’energia del fenomeno in cui sono misurate. La fisica ha il grande merito di essere riuscita ad individuare le forze fondamentali responsabili di tutti i processi; vale a dire l’Interazione Gravitazionale, elettrodebole e nucleare forte che sono legate da simmetrie che hanno consentito di creare un comune approccio metodologico. Per l’interazione gravitazionale non esiste una teoria quantistica.

Le conoscenze attuali ci dicono che i principi e la forma matematica alla base della meccanica quantistica e della relatività generale di Einstein sono inconciliabili. Fin dagli anni '50, la scienza ha dovuto affrontare l'impossibilità di far coesistere due teorie perfettamente funzionanti. Purtroppo la teoria dei campi quantizzati e la teoria della relatività generale di Einstein sono ancora oggi incompatibili. La prima è quella dei fenomeni a scala atomica e subatomica, in grado di spiegare mirabilmente il mondo microscopico; la seconda, relativistica e geometrica, rimane una teoria classica in quanto manca delle caratteristiche distintive del comportamento della materia a livello microscopico come l'indeterminazione e soprattutto manca il concetto di funzione d'onda.

L’obiettivo attuale della ricerca fisica è quello di raggiungere l’unificazione di tutte le forze per arrivare ad un'unica forza di cui tutte le altre siano una manifestazione particolare. Sarebbe determinante trovare una singola teoria che le descriva tutte attraverso un’unica equazione e con una costante di accoppiamento universalmente valida.

2. Energia del vuoto

Grazie al genio dei fisici del XX secolo abbiamo capito che lo spazio esterno non è vuoto anche in assenza di materia; si è verificato che esiste sempre una minima quantità di energia legata alle fluttuazioni quantistiche che determinano la comparsa e l'annichilimento di particelle virtuali e antiparticelle. Tuttavia, questo fenomeno può verificarsi solo per brevissimo tempo, per non violare il principio di conservazione dell'energia e dell’impulso e per non contraddire il principio fondamentale di indeterminazione di Heisenberg. Quest'ultimo vieta, tra l'altro, la determinazione simultanea dell'energia e della durata di uno stato e rende inoltre impossibile che la misura dell'energia dello stato di vuoto dia un valore nullo; nulla può avere un valore permanente pari a zero altrimenti sarebbe perfettamente determinato [1].

L'energia del vuoto, con le sue infinite quantità, emerge anche dalle equazioni della teoria dei campi quantistici. Anche se nella porzione di spazio considerata non ci sono fotoni, spazio vuoto, l’energia non è nulla ma è pari a ~10113 j/m3. Questa energia, chiamata "zero point energy", è stata misurata, ad esempio, grazie allo studio dell'emissione spontanea di raggi luminosi o gamma in determinate condizioni ambientali, nel Lamb shift dell’atomo e nell'effetto Casimir.

3. L’effetto Casimir

Il fisico olandese Hendrik Casimir pubblicò nel 1948 un importante documento che trae origine dall'attrazione che avviene tra due atomi neutri nelle forze di Van der Waalls-London e che discende dal moto delle cariche elettriche che lo compongono; queste generano campi elettromagnetici variabili nello spazio di pochi nanometri tra i due oggetti, inducendo istantanei momenti dipolo in entrambi gli atomi vicini che quindi attraggono. Si tratta di un effetto quantico legato alla costante di Planck, ma non relativistico poiché è indipendente dalla velocità della luce nel vuoto [2].

Tuttavia, questa forza provoca la propagazione del campo elettromagnetico nel vuoto, con conseguente interazione attrattiva anche se gli atomi si trovano a una distanza tale che il fotone virtuale non può trasferirsi da un atomo all'altro entro la sua breve durata di vita; questa azione, anche a distanza, ha preso il nome di Casimir - Polder force [3]. 

Hendrik Casimir nel documento sopra riportato del 1948, ascoltando un suggerimento del fisico danese Niels Bohr, sviluppò una teoria (Effetto Casimir) per cui questa forza non discendeva dalle forze di Van der Waalls-London, ma dalle variazioni di energia nel campo elettromagnetico di punto zero. L'idea era che le particelle virtuali di tutti i tipi (principalmente fotoni) create nel vuoto ma che non possono essere osservate, entrassero in contatto con due placche parallele, conduttrici, poste ad una distanza L, esercitando pressione su di esse [4]. 

Nello spazio tra le due piastre, si possono formare solo particelle di una data lunghezza d'onda λ=2L/n (qualsiasi valore di n intero positivo da 1 a ∞) contrariamente a quanto accade all'esterno dove si possono formare particelle di qualsiasi lunghezza d'onda λ e frequenza v=c/λ; è evidente che si genererà uno squilibrio tra il valore della somma delle frequenze discrete interne, e quello dell'integrale necessario per calcolare le frequenze esterne (da cui emergono le costanti h e c dell'equazione finale) [4]. La differenza tra l'energia esterna e l'energia interna, entrambe infinite risulta in un valore finito, e di conseguenza ci sarà una differenza tra la pressione interna e quella esterna che risulterà di maggiore intensità. Lo scienziato olandese dimostrò che:

F =– πhc
480 d4
S
era una forza di attrazione misurabile tra le due placche dove h era la costante di Planck, c la velocità della luce nel vuoto, d la distanza tra le due placche, S la loro superficie, mentre il segno negativo indicava che la forza era di attrazione.

Nel 1988 anche il fisico Milonni interpretò la forza di Casimir come il risultato della pressione esercitata sulle lamelle conduttrici da parte delle particelle virtuali risultanti dalle fluttuazioni quantistiche del vuoto. 

Per esempio, se consideriamo due piastre ad una distanza d pari a 1 micron, la forza per area unitaria sarebbe di circa 10-19 N/m2.

4. Le dinamiche dell’effetto Casimir all’origine della forza nucleare forte e delle altre interazioni fondamentali della natura

Hendrik Casimir aveva mirabilmente compreso che, in un sistema in cui il campo magnetico è condizionato da vincoli materiali imposti (ad esempio due piastre poste parallele), la differenza di entità delle fluttuazioni energetiche nel vuoto tra spazio interno ed esterno ai due corpi, generava una leggera forza di attrazione. Esperimenti condotti negli ultimi decenni hanno dimostrato l'esistenza di questa forza e quindi la validità della formula di Casimir.

Sarebbe possibile mettere in relazione gli effetti di un'accelerazione in un sistema costituito da due corpi posti a distanza d (effetto Casimir) con quelli di un campo di natura diversa come il campo gravitazionale o elettromagnetico?

Se ciò fosse realizzabile, tre delle quattro interazioni fondamentali potrebbero risultare aspetti diversi di un'unica forza originaria i cui effetti varierebbero a seconda del tipo di oggetto tra cui interagisce: le masse per la forza di gravità, le cariche elettriche per la forza elettro-debole, i corpi puntiformi per la forza nucleare forte.  

Ritengo che la forza alla base delle interazioni conosciute possa essere proprio quella responsabile dell’effetto Casimir ottenuta con approssimazione unidimensionale, considerando cioè solo la distanza tra i due corpi e non il volume effettivo esistente tra di essi:

(2)   F = hc/24d2

L’intensità, in valore assoluto, della forza di Casimir per la distanza unitaria di un metro tra i due corpi è uguale a:

(3)   hc
24
= 8,25 • 10-27 N    

E’ possibile, utilizzando solo l’equazione di Casimir e le costanti

hc
24
calcolare sia l’intensità della forza che determina la coesione dei nucleoni, sia di quella elettromagnetica che si instaura tra due corpi carichi che di quella gravitazionale che porta due corpi massivi ad attrarsi reciprocamente?

Risolvendo la seguente equazione per il prodotto (m1m2), avvalendosi della costante di gravitazione universale il cui valore è stato determinato sperimentalmente, si ottiene il valore in Kg in corrispondenza del quale la Forza di Casimir di cui all’equazione (3) e la forza di gravità, calcolata utilizzando l’equazione di Newton, sono uguali:

(4)  8,25 • 10-27= 6,67 • 10-11m1m2 ; m1m= 1,24 • 10-16 Kg    

Vediamo che, a parità di distanza, l’intensità della forza di gravità e della forza di Casimir, in valore assoluto, coincidono se il prodotto della massa dei due corpi che interagiscono nel vuoto risulta pari a 1,24 • 10-16 Kg. Questo è il valore per cui le due forze si unificano; pertanto per valori sufficientemente grandi  agisce una forza con le caratteristiche appartenenti all’interazione gravitazionale mentre l’effetto di Casimir risulta insignificante; per valori inferiori avviene il contrario. 

Infatti il valore ricavato dall’equazione (4) mostra che:

  • la forza di Casimir è la più forte se agisce su coppie di particelle puntiformi poiché il valore massimo del prodotto delle masse dei corpi interagenti, 1,24 • 10-16 Kg, è sempre inferiore al quadrato della massa di Plank (massima massa permessa dalla natura a particelle puntiformi); 

Dall’equazione (3) ricaviamo che l’intensità della forza di Casimir risulta:

  • dipendente dalle costanti
hc
24

  • indipendente dalla carica e dalla massa delle particelle che interagiscono;
  • inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza;
  • la più forte a distanze sub-atomiche; per interazioni tra particelle di cui il prodotto delle masse risulta al disotto di 1,24 • 10-16 Kg entriamo nell’ambito delle misure quantistiche dove la forza di Casimir è l’unica ad agire; 
  • equivalente a quella della forza nucleare forte nelle interazioni tra nucleoni o tra protoni ed elettroni (circa 100 volte superiore alla forza di Coulomb). 

5. Energia del vuoto e forza di gravità 

Al di sopra del suddetto valore per il quale le due forze si unificano, l’energia del vuoto, in virtù dell’azione dei fotoni virtuali, produce effetti diversi in quanto non agisce più su coppie di particelle puntiformi ma sulla materia composta da atomi e molecole che hanno forma approssimativamente sferica con un raggio tale che la sfera possa paragonarsi ad una superficie. 

Le onde elettromagnetiche oltre a trasportare energia trasportano quantità di moto e se incidono su una superficie esercitano una pressione su di essa. La radiazione elettromagnetica può convertire parte o tutta la sua energia a causa dell’interazione con gli atomi e i nuclei atomici. Le sezioni d’urto dipendono principalmente dall’effetto fotoelettrico, da quello Compton, e dalla produzione di coppie elettrone-positrone. Le sezioni d'urto di questi tre processi sono caratterizzate da una grande dipendenza dall'energia iniziale del fascio di fotoni; nel caso dei fotoni virtuali generati dal vuoto l’energia è ~10113 J/m3.

effetto fotoelettrico
In base ai tre processi, i fotoni del fascio incidente possono interagire o meno con la materia. L'attenuazione del fascio dipende dal numero di fotoni che hanno interagito ed ha un andamento di tipo esponenziale che dipende dall’intensità del fascio, dallo spessore del corpo attraversato e dal coefficiente di assorbimento (probabilità di interazione per unità di lunghezza) determinato dal prodotto del numero di atomi per unità di volume. La pressione esercitata è quindi proporzionale anche alla massa del corpo su cui incidono i fotoni.

Effetti simili a quelli descritti sono chiaramente prodotti anche dalle onde elettromagnetiche generate dall’energia di punto zero.

Proviamo a calcolare l’intensità della forza di gravità utilizzando la  formula del fisico olandese ricavata in approssimazione unidimensionale: F = hc/24d2. Il modulo della forza di attrazione generata dal sistema “vuoto-energia” può essere espresso da una equazione che costruiremo attraverso passaggi successivi.     

Se la forza di attrazione gravitazionale scaturisce dall’energia del vuoto che è all’origine dell’effetto Casimir, allora avremo che:

(5)     |FGravity| = hc/24d2  

L’energia generata dal vuoto, quando incontra la materia, esercita una pressione che è proporzionale alla massa dei corpi interagenti:

(6)      |FGravity| =
h•m1m2

24d2

La materia è costituita da elettroni e dai protoni, aggregati di quark stabili nel tempo. Tuttavia solo  l’11% circa della massa di un atomo proviene da quella dei quark di valenza che lo costituiscono e da quella degli elettroni che vi orbitano intorno. Il restante 91% è dovuto all'energia cinetica dei quark e degli elettroni, all'energia cinetica dei mediatori della forza forte e all'energia d'interazione tra quark e mediatori, pertanto avremo che:

(7)    |FGravity| =
hc

24d2
m1•m2

11

Per quanto ne sappiamo, la massa inerziale non è quantizzata; essa può teoricamente essere misurata con una precisione grande a piacere. In una equazione quantistica e relativistica della forza di gravità non può esserci una grandezza non quantizzabile. Per questa ragione utilizzeremo il principio di equivalenza tra massa inerziale ed energia (E = mc2) per convertire il valore di m1•m2 da Kg in Joule, pertanto:

(8)    |FGravity| =
hc

24d2
c2•m1•m2

11
 

dove h è la costante di Planck, c la velocità della luce nel vuoto, d la distanza fra i due corpi; il parametro 11 è una variabile indipendente che indica un valore che muta con l'evolversi di un determinato fenomeno legato al rapporto esatto tra massa ed energia nella materia, mentre m1•m2 è il prodotto delle masse dei due corpi interagenti, tenendo conto che nella meccanica Newtoniana, la massa ridotta è l'effettiva massa inerziale nel problema dei due corpi. Tale grandezza permette di ricondurre il problema dei due corpi ad un problema con un singolo corpo. L’equazione (8) possiamo pertanto scriverla così:

(9)    |FGravity| =
h•c3•m1•m2

264d2
 

Verifichiamo la validità di questa formula calcolando la forza di attrazione gravitazionale tra Terra e Luna utilizzando l’equazione di Newton:

(10)   F = G •  mT • mL
d2
= 6,67 • 10-11 5,972 • 1024 • 6,7 • 1022

(384 • 108)2
= 18,1 • 1019 N

Calcoliamo adesso la stessa forza utilizzando l’equazione (9):

(11)      |FGravity| = hc3 • 5,98 • 1024 • 6,7 • 1022

264 • (384 • 108)2
= 18,1 • 1019 N

Per effettuare una verifica del funzionamento dell’equazione (9) anche a livello quantistico, calcoliamo con questa formula l’intensità della forza gravitazionale, confrontandola con la forza determinata con la formula Newtoniana. Considerando che d, in un atomo di idrogeno, pari a 0,53 • 10-10 m è la distanza tra un elettrone ed un protone, abbiamo che il valore della forza di Newton è il seguente:

(12)                    F = G • memp

d2
= 6,67 • 10-11 • 9,11 • 10-31 • 1,67 • 10-27

(0,53 • 10-10)2
= 8,2 • 10-8 N

Utilizzando l’equazione (9) otteniamo il medesimo risultato:

(13)              |FGravity|= h • c3 • 9,11• 10-31 • 1,67 • 10-27

264 • (0,53 • 10-10)2
= 8,2 • 10-8 N

6. L’energia del vuoto e interazione elettromagnetica

Risolviamo adesso la seguente equazione per il prodotto (q1q2); otteniamo il valore in corrispondenza del quale la Forza di Casimir di cui all’equazione (3) e la forza di Coulomb sono uguali:

(14)     8,25 • 10-27= 9 • 109q1q2; q1q2 = 9,2 • 10-37 C 

L’equazione (14) evidenzia che la forza elettromagnetica è più intensa di quella di Casimir/forte se i corpi interagenti hanno una carica di intensità superiore a quella propria delle cariche elementari. 

Vedremo in questo capitolo che la terza forza fondamentale, cioè la forza di Coulomb, espressa dall'equazione:

(15)            |FCoulomb|=
K0 • q1 •q2
d2

può anche essere intesa come una manifestazione del principio secondo cui l'esistenza di una differenza di energia del vuoto, in un sistema in cui sono state fissate condizioni limite, genera una forza attrattiva.

Proviamo a calcolare l’intensità della forza elettromagnetica utilizzando la  formula del fisico olandese ricavata in approssimazione unidimensionale: F = hc/24d2. Anche il modulo della forza elettromagnetica generata dal sistema “vuoto-energia” può essere espresso da una equazione che costruiremo attraverso passaggi successivi.     

Se la forza elettromagnetica scaturisce dalla pressione generata dall’energia del vuoto che è all’origine dell’effetto Casimir, allora:

(16)      |FElectromagnetic| = hc/24d2    

Abbiamo visto che l’energia del vuoto interagisce con le particelle puntiformi e con la materia determinando, date determinate condizioni al contorno, una forza di natura attrattiva. Poiché i corpi carichi elettricamente sono sia massivi sia costituiti da cariche puntiformi (elettroni e protoni), di conseguenza l’energia di punto zero deve essere all’origine anche della forza elettromagnetica e sarà proporzionale al numero di cariche elettriche puntiformi elementari che ionizzano gli atomi presenti nei due corpi carichi interagenti, pertanto:

(17)              |FElectromagnetic| =
h • c • 2 • q1 • q2 • 6,24 • 1028

24 d2
Dove 6,24 • 1018 è il numero di elettroni che ci sono in un Coulomb; di conseguenza q1 • q2 • 6,24 • 1018 è il numero di elettroni ionizzanti (positivamente o negativamente) presenti in ciascuno dei due corpi. Il numero complessivo si otterrà moltiplicando per 2 il valore ottenuto.

Le tre fondamentali costanti del vuoto: la velocità della luce c0, la permeabilità magnetica μ0, e la costante dielettrica del vuoto ε0, sono legate dalle Equazioni di Maxwell nel modo seguente:

(18)        
1

μ0 ε0
= C02

La formula competa per il calcolo del modulo della forza elettromagnetica sarà pertanto:

(19)         |FElectromagnetic| =   
hc • 2 • q1q2 • 6,24 • 1018c02

24 d2
= h • c3 • q1 • q20,521018

d2

A questo punto dobbiamo spiegare perché una differenza di energia del vuoto, in un sistema in cui sono state fissate condizioni limite, genera, in presenza di corpi carichi, una forza di attrazione molto superiore a quella che si verifica tra due corpi neutri.

Possiamo ragionevolmente ritenere che un corpo carico tenda spontaneamente verso una configurazione di minor energia; questo risultato può raggiungerlo neutralizzando ogni particella che ne determina la carica con la corrispondente antiparticella. Quest’ultima la cercherà nel vuoto dove però le fluttuazioni quantistiche generano sempre coppie di particelle antiparticelle destinate ad annichilirsi in tempi brevissimi emettendo radiazione sotto forma di fotoni. In presenza di corpi neutri le fluttuazioni del vuoto sono determinate esclusivamente dal principio di indeterminazione; in presenza di corpi carichi, probabilmente, il vuoto viene sollecitato a produrre fluttuazioni per un numero circa 1039 volte superiore a quello che determina l’attrazione di tipo gravitazionale tra due corpi.

La forza elettromagnetica, come ben sappiamo, può essere sia attrattiva che repulsiva a seconda che le cariche abbiano o meno lo stesso segno.

Come si può spiegare la repulsione tra due cariche uguali?

La fisica studia la natura per creare dei modelli matematici utili a prevedere il maggior numero di fenomeni osservabili; dare una puntuale risposta al perché questi accadano non è il suo scopo principale.

Proviamo a dare una risposta che possa avere un fondamento scientifico.

Immaginiamo di avere due cariche di segno diverso, quella positiva a sinistra e quella negativa a destra poste ad una distanza tale che in un dato istante si crei in prossimità di ciascuna di esse una sola fluttuazione quantistica. La fluttuazione generata dalla carica positiva avrà la particella negativa della coppia vicina alla carica stessa; il contrario accadrà per quella generata dalla carica di segno opposto.

Si formerà la seguente catena di particelle con cariche con segni alternati; se queste sono molto vicine favoriscono un effetto attrattivo: 

+ - + - + - 

Adesso immaginiamo di avere due cariche dello stesso segno, ad esempio positivo, sempre ad una distanza tale che in un dato istante si crei in prossimità di ciascuna di esse una sola fluttuazione quantistica. La fluttuazione generata dalle due cariche positive avrà la particella negativa della coppia vicina alle cariche.

Si formerà la seguente catena di particelle; 

+ - + + - + 

Le due cariche più interne avranno lo stesso segno; questo produrrà una reazione di intensità uguale ma repulsiva.

7. Energia del vuoto e interazione elettrodebole

L'ultima delle interazioni esistenti in natura è quella nucleare debole, responsabile del decadimento di quark e leptoni in nuclei atomici pesanti instabili a causa di un numero atomico elevato o di un numero insufficiente o eccessivo di neutroni rispetto ai protoni.

Il "modello standard" prevede i seguenti decadimenti radioattivi:

  • il decadimento di una particella composta da due neutroni e due elettroni (nucleo di elio) che si verifica negli atomi con elevato numero atomico (decadimento alfa); trattandosi di un decadimento bicorporeo, il fascio di particelle viene sempre emesso con la stessa energia a seconda del nucleo progenitore;
  • il decadimento di un neutrone in un protone, un elettrone e un antineutrino che si verifica negli atomi con un numero eccessivo di protoni (decadimento beta);
  • il decadimento di un protone in un neutrone, un positrone e un neutrino che si verifica in quegli atomi con un numero insufficiente di protoni (decadimento beta+);
  • decadimento dei nucleoni che nel nucleo si trovano a livelli energetici eccitati e, quando diseccitati, emettono un fotone (decadimento gamma) che scende ad un livello energetico inferiore;
  • la cattura di elettroni avviene quando un nucleo assorbe uno dei suoi elettroni orbitanti (e−); si verifica la trasformazione di un protone (p+) del nucleo in un neutrone (n) e l'emissione di un neutrino (νe) [5].

I decadimenti alfa e gamma si spiegano facilmente con riferimento al principio della termodinamica secondo il quale ogni sistema tende naturalmente ad una configurazione di maggiore stabilità e quindi di minore energia.

Il problema del decadimento radioattivo ha molto agitato fisici nei primi decenni del XX secolo. In particolare, non si comprendeva quale fosse l'origine degli elettroni/antielettroni emessi nei decadimenti beta e si ipotizzava che essi risiedessero permanentemente nel nucleo; tuttavia, tale interpretazione contrastava con il principio di incertezza e con il principio di conservazione sia dell'energia che dello spin. Ad esempio, nel decadimento (a due corpi) del protone in un neutrone e in un elettrone, quest'ultimo avrebbe sempre avuto un'energia definita contraria a quella trovata sperimentalmente; lo stesso avveniva per la mancata conservazione del moto angolare totale del nucleo figlio rispetto al padre. In violazione del principio di incertezza, anche l'elettrone presente nel nucleo avrebbe avuto un'energia cinetica tale da non poter essere contenuto né dalla forza elettromagnetica di attrazione né dalla forza nucleare forte [5].

Tutti questi problemi sono stati risolti dal fisico Pauli con l'introduzione del neutrino, una particella neutra con spin 1⁄2 per assicurare la conservazione della carica e la conservazione del momento angolare.

Il neutrino doveva avere una massa insignificante per assicurare che l'elettrone emesso avesse un'energia variabile da un valore minimo a un valore massimo. Infine, l'esistenza del neutrino assicurava la distribuzione dell'energia cinetica nel nucleo.

Con la scoperta del neutrino e il conseguente superamento dell'impasse dovuta alla presenza di elettroni nei nuclei, venne modellata l'unificazione tra la forza elettromagnetica e la forza debole (interazione elettrodebole); questa teoria ipotizza che alle alte energie (246 GeV) esistenti nell'universo prima del Big Bang le due forze avessero la stessa forza.

Nel Modello Standard, la forza debole carica elettricamente è l'unica forza capace di cambiare il sapore (un insieme di numeri quantici) dei quark (su, giù, charm, strano, superiore e inferiore) e dei leptoni (elettrone, muone, tau con i rispettivi neutrini) dando luogo a diversi processi di decadimento radioattivo innescati da correnti cariche o neutre. 

Abbiamo spiegato in precedenza che un elettrone può essere catturato da un protone del nucleo producendo un decadimento, simile al decadimento beta, attraverso una transizione spiegata nel 1934 da Gian Carlo Wick e osservata sperimentalmente per la prima volta nel 1936 da Luis Alvarez.

Poiché questo processo di decadimento è oggi universalmente condiviso, riconsidereremo la teoria che considera possibile che un elettrone possa essere permanentemente presente nel nucleo. Proviamo ad ipotizzare un modello di interazione debole coerente con i principi descritti in questo articolo.

Il Modello Standard ha identificato sei diverse varietà di quark (su, giù, charm, strano, superiore e inferiore) e tre di leptoni (elettrone, muone, tauone con i rispettivi neutrini) chiamati "sapori".

Secondo la teoria dell'interazione elettrodebole, nel decadimento beta-meno un neutrone, composto da due quark down con una carica pari a -1⁄3 della carica elementare e da un quark up con una carica pari a +2⁄3, decade in un protone producendo i seguenti processi:

  1. il cambiamento di sapore da un quark down ad uno up;
  2. l'espulsione dal nucleo di un elettrone e di un antineutrino.

L'idea del processo di cui al punto 1 nasce dalla geniale mente dei fisici del XX secolo e deriva da un formalismo matematico molto complesso.

Il procedimento di cui al punto 2 è quello relativo all'espulsione di una particella, l'elettrone, che incredibilmente non risiederebbe nel nucleo prima del distacco. La formazione e l'espulsione di un neutrino (particella quasi priva di massa) sono giustificate dalla presenza di un'energia residua derivante dal decadimento.

Supponendo che il decadimento beta, negativo o positivo, sia un decadimento in tre corpi (protone/neutrone - elettrone/positrone - antineutrino/neutrino), questo processo, in cui la presenza del neutrino garantisce la conservazione della carica, dell'energia e dello spin, può essere spiegato semplicemente partendo dall'ipotesi che l'elettrone e il positrone facciano parte dei rispettivi nucleoni; questi avrebbero quindi la seguente organizzazione e sarebbero soggetti al seguente decadimento:

  • il neutrone con carica 0 sarebbe costituito da un elettrone con carica −1, un quark up con carica +2⁄3 e un quark up con carica +1⁄3; decadrebbe in un protone, espellendo un elettrone e un antineutrino (−1+2⁄3+1⁄3−(−1) = 1);
  • un protone con carica +1 sarebbe costituito da un positrone con carica 1, un quark up con carica +2⁄3 e un quark down con carica −2⁄3; decadrebbe in un neutrone espellendo un positrone e un neutrino (+1+2⁄3−2⁄3−(1) = 0).

Il decadimento beta di un neutrone in un protone e in un antineutrino si verifica in quegli atomi con un numero eccessivo di protoni; in questi casi l'intensità della forza forte può essere incompatibile con la stabilità del sistema.

Molto probabilmente, quando questa forza esercita una pressione eccessiva sui nucleoni più interni, le particelle subnucleari tendono a spostarsi dalla posizione di equilibrio; tra di esse si produrrà una leggera distanza che, come vedremo, porterà alle trasformazioni descritte.


Il decadimento beta+ di un neutrone in un protone e antineutrino si verifica in quegli atomi con un numero insufficiente di protoni. In questi casi l'intensità della forza di Coulomb, non adeguatamente contrastata dalla forza forte, determinerà una separazione tra le particelle dei nucleoni più esterni con conseguente decadimento radioattivo.

Consideriamo il caso in cui un elettrone è permanentemente presente in un neutrone insieme a due quark (elettrone con carica −1; quark up con carica +2⁄3; quark up con carica +1⁄3); la sua distanza media dal gruppo dei due quark, equiparabili ad un protone, è ≈ 0,88 · 10-15 m (raggio del nucleone).

Utilizziamo l'equazione (19) per calcolare la forza di Coulomb stabilita tra l'elettrone e quark:

(20)                   |FElectromagnetic| =   
6,6 • 10-34 • 26,73 • 1024 • (1,60 • 10-19)2 • 0,52 • 1018

(0,88 • 10-15)2
= 3 • 102 N

Poiché in natura esiste una differenza d'intensità di circa tre ordini di grandezza tra interazione debole e forza di Coulomb, per spiegare la forza debole è sufficiente calcolare a quale distanza d dai quark deve trovarsi il positrone o l'elettrone affinché si verifichi il decadimento precedentemente illustrato e le due forze abbiano la stessa intensità; per farlo poniamo la seguente uguaglianza tra l’equazione (20) ed il valore che dovrebbe avere la forza elettromagnetica affinché si determinino gli effetti di un decadimento:

(21) 
6,6 • 10-34 • 26,73 • 1024 • (1,60 • 10-19)2 • 0,52 • 1018

(d)2
= 3 • 10-1 N; d2 = 7,8 • 10-28 m; d = 2,8 • 10-14 m

8. Conclusioni

Isaac Newton per giustificare l’applicazione della legge dell’inverso del quadrato, non solo a piccole particelle ma anche a corpi macroscopici, aveva scoperto e dimostrato matematicamente che una grande massa sferica simmetrica attrae masse esterne alla sua superficie, anche da molto vicino, proprio come se tutta la propria massa fosse concentrata nel suo centro, praticamente come se i corpi celesti fossero particelle subatomiche. Ad esempio i pianeti possono essere considerati come punti materiali se ne studiamo il moto attorno al Sole; questo principio non vale se descriviamo la loro rotazione attorno ai propri assi. Nell’accezione moderna infatti ogni punto materiale attrae ogni altro singolo punto materiale con una forza che punta lungo la linea di intersezione di entrambi i punti (Teorema del guscio sferico). 

L’equazione (9), congiuntamente a quanto esposto in questo articolo, ci consente di affermare che in presenza di confini materiali imposti, in approssimazione unidimensionale, si manifesta una forza di attrazione gravitazionale che discende dalla differenza tra l’energia del vuoto lungo il segmento che congiunge due punti posti ad una distanza d in cui e concentrata tutta la massa e la restante energia lungo le due semirette che da questi originano. Possiamo evidenziare anche che, se nella 

|FGravity|= hc3m1m2

264 d2

consideriamo soltanto le costanti letterali e numeriche, otteniamo il valore della costante di gravitazione universale di Newton, infatti:

G =  hc3

264
 = 6,67 • 10-11 N

Newton non riuscì purtroppo a stabilire la causa di questa interazione a lui stesso sconosciuta e tuttora oggetto di indagine; la su intensità fu calcolata la prima volta grazie a osservazioni empiriche in un epoca in cui si ignoravano le  rivoluzionarie scoperte della fisica del 900. 

Ritengo che una teoria fondata sulla forza del vuoto potrebbe contribuire a realizzare  una più dettagliata analisi di fenomeni come la fisica dei buchi neri e ad esplorare i primissimi istanti di vita dell'universo.

Come abbiamo visto nel capitolo 4 anche l’unificazione della forza del vuoto con la forza nucleare forte può essere considerata espressione del fatto che entrambe possono farsi risalire al medesimo principio per il quale una differenza di energia in un sistema in cui sono state poste delle condizioni al contorno genera una forza attrattiva.

La forza di Casimir è in realtà la forza forte, e, come questa, non è proporzionale al prodotto delle masse dei corpi che interagiscono ma è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.  

Questo modello, alternativo alla QCD (quantum chromodynamics), incentrato esclusivamente sull’azione dei fotoni virtuali nel vuoto, spiegherebbe anche il perché sperimentalmente non si è mai osservato un gluone libero in nessuna situazione all'esterno di un nucleone anche se questo si dovrebbe propagare con un raggio di azione infinito.

     

Nel capitolo 6 abbiamo visto che anche la terza forza fondamentale, cioè la forza di Coulomb, espressa dall'equazione

 |FCoulomb|=  k0q1q2

d2
può anche essere intesa come una manifestazione sia del principio secondo cui l'esistenza di una differenza di energia del vuoto, in un sistema in cui sono state fissate condizioni limite, genera una forza attrattiva sia del principio per cui ogni sistema tende spontaneamente verso una configurazione di minor energia.

Abbiamo visto infine a quale distanza devono venire a trovarsi le particelle coinvolte nel decadimento beta− e beta+ affinché la forza coulombiana decada in forza debole permettendo che questi due processi fondamentali garantiscano stabilità agli isotopi radioattivi. 

Bibliografia

  1. John Gribbin; Q is for Quantum - An Encyclopedia of Particle Physics, Touchstone Books (1998). ISBN 0-684-86315-4
  2. H. B. G. Casimir, Comments Mod. Phys. 5-6, 175 (2000)
  3. H. B. G. Casimir: On the attraction between two perfectly conducting plates, Proc. K. Ned. Akad. Wet., 51 (1948) 793.
  4. H. B. G. Casimir and D. Polder: The Influence of Retardation on the London-van der Waals Forces, Phys. Rev. Lett., 73 (1948) 360
  5. https://www.bo.infn.it/herab/people/zoccoli/didattica/esperimenti_fisica/L5_neutrini_raggicosmici_zoccoli.pdf (ultimo accesso: 17/02/2023)

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Giuseppe Epifani

3 commenti:

Antonio Paladini ha detto...

Eccellente articolo! Mi affascina la teoria per la quale l’effetto Casimir sarebbe all’origine di tutte e quattro le interazioni fondamentali della natura. Argomento non facile da trattare ma che qui è stato illustrato in maniera chiara e approfondita. Complimenti all’autore.
Antonio Paladini

Anonimo ha detto...

Articolo molto interessante , complimenti all’autore .
C. MURIANNI

Anonimo ha detto...

Articolo molto interessante