Nel crescente dibattito sull'Intelligenza Artificiale, e in particolare sui modelli generativi linguistici, si fa largo l'impressione che la posta in gioco sia ormai molto più ampia della mera innovazione tecnologica. L'Intelligenza Artificiale Generativa (AIG) non solo modifica il perimetro delle competenze umane, ma si insinua nei territori simbolici, culturali e spirituali che tradizionalmente definiscono l'umano. La polarizzazione tra tecnofili e tecnofobi, tra utopisti e catastrofisti, ha spesso oscurato il cuore del problema: quale intelligenza stiamo costruendo e quale idea di intelligenza stiamo dissolvendo? Questo articolo propone una lettura critica dell'AIG come artefatto cognitivo, attraverso un duplice prisma: da un lato, il quadro teorico pluralista delineato nel NSF Workshop Report on Intelligent Behaviors (2025); dall'altro, la visione antropologica e spirituale emersa dal recente magistero pontificio, in particolare nei documenti Antiqua et nova e nei discorsi tenuti da Papa Francesco e Papa Leone XIV tra il 2024 e il 2025.
In questo contesto, l'intervento della riflessione spirituale non è solo legittimo, ma necessario. Come affermato da Papa Francesco nel suo discorso a Borgo Egnazia (G7, giugno 2024):
Nessuna macchina può decidere per l’uomo. Ogni delega automatica della responsabilità rischia di estinguere la libertà.
Il documento Antiqua et nova (2025) approfondisce ulteriormente questa linea, definendo l'intelligenza umana come capacità di "rispondere al vero e al bene", e dunque come facoltà intrinsecamente relazionale e aperta alla trascendenza. Le AI, pur potendo mimare il linguaggio etico, non sono in grado di compiere atti morali: esse agiscono senza consapevolezza, senza intenzione, senza interiorità. In tal senso, Papa Leone XIV afferma che «la nostra epoca deve custodire il confine tra ciò che può essere pensato e ciò che può essere vissuto». Il rischio, altrimenti, è quello di una colonizzazione spirituale del pensiero umano da parte di strumenti che, pur essendo prodotti dell'ingegno, non condividono alcuna vocazione al bene, alcuna responsabilità nei confronti dell'altro.
Il confronto con i modelli di intelligenza animale e artificiale, oggi al centro di molte ricerche neuroscientifiche e etologiche, ha prodotto una convergenza epistemologica: si studiano le intelligenze come capacità emergenti da strutture adattive e ambienti dinamici. Ma tale convergenza non implica un'equivalenza ontologica. L'essere umano, secondo la visione cristiana, è persona, non soltanto organismo o dispositivo. La persona è capace di promesse, di memoria morale, di perdono. Nulla di tutto ciò è nemmeno imitabile da parte delle attuali AI generative. In termini strettamente tecnici, si può parlare di reasoning capabilities (capacita di ragionamento strutturato) nei modelli più avanzati, ma non di razionalità intenzionale. L'intelligenza della macchina è priva di telos.
Lungi dal proporre un approccio oscurantista o tecnofobico, questa riflessione intende orientare la governance dell'innovazione verso criteri più alti della sola efficienza. L'Intelligenza Artificiale Generativa va compresa, regolata e orientata all'interno di un orizzonte antropologico che salvaguardi la dignità della persona e la responsabilità collettiva. Come ricordato nel Messaggio di Papa Leone XIV del 19 giugno 2025: «La dignità umana è il primo algoritmo da proteggere». Attribuire un posto all'AIG nello spettro delle intelligenze può essere utile, ma solo se accompagnato dalla consapevolezza che essa non è e non può essere un soggetto. È un artefatto cognitivo, potente e mutevole, la cui pericolosità non risiede nella sua natura, ma nell'uso disincarnato che se ne può fare. Nel tempo della complessità e delle accelerazioni tecnologiche, l'urgenza non è attribuire soggettività alla macchina, ma ricordare che siamo noi a doverne rispondere. L'intelligenza, in senso pieno, non è solo capacità di calcolo, ma apertura al senso, capacità di scelta, vulnerabilità e reciprocità. L'AI generativa ci costringe a interrogarci non solo su "ciò che essa è", ma su "ciò che noi vogliamo essere".
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