9 ottobre 2025

L'ultimo atto nel teatro della mente

Torino, 1927

Un uomo dallo sguardo smarrito vaga per i corridoi del manicomio di Collegno. La folta barba e i lunghi buffi a manubrio fanno da contorno ad un volto corrucciato. Mille pensieri si fanno strada tra le oscure stanze del castello della mente. Un gesto o anche solo una voce, può essere quella madelaine che, di colpo, come una lanterna, farà luce in quegli oscuri corridoi. L’unico ricordo chiaro è quello della sua cattura, avvenuto l’anno prima. Chi lo conosce?, riporta in grassetto “La Domenica del Corriere”. La sua memoria è come uno specchio ormai rotto, i cui frammenti restituiscono solo parti di quell’identità così nebulosa.  L’oblio in cui vagava sembrava una parete ulteriore, invisibile rispetto alle quattro mura del manicomio

Siamo negli anni in cui l’Europa chiude il cruento capitolo del primo conflitto mondiale. I soldati hanno deposto le armi, liberandosi persino delle pesanti uniformi. Madri, mogli e sorelle, attendono sull’uscio, col cuore in gola. Anche in casa Canella, si attende solo che l’assordante silenzio venga rotto dall’austera voce di Giulio, partito pochi anni prima e mai rimpatriato. Ma, nel teatro della mente, si è da poco aperto il sipario. 

Sul palco, un misterioso individuo indossa una maschera che ne nasconde il volto. Si muove quasi meccanicamente, nemmeno conosce il suo nome. Folta barba, capelli scuri e occhi smarriti, ma del medesimo colore. Dalla platea si alza un brusio confuso, mentre il tempo sembra quasi fermarsi. La donna chiude gli occhi, rifugiandosi per qualche istante nel salone dei ricordi. Smarrita tra i corridoi, rivede appesi ai muri attimi sbiaditi cui la nostalgia fa da cornice. Ormai, anche l’ultimo dubbio si è dissolto. Quell’uomo è suo marito. Il mare della guerra li aveva separati, facendoli naufragare verso due sponde opposte. Un amore come quello dell’affranta Ero che si accorge dell’amato Leandro solo quando lui è risucchiato da quelle stesse acque che li dividevano. Invano aveva atteso l’arrivo del ragazzo, dimenticandosi quell’unica luce che nelle sere precedenti illuminava la via. A non essersi mai spenta, invece, era la speranza di rivedere il Canella, dopo anni al fronte, far ritorno a casa. Ecco ora gli applausi della folla per l’ultimo, apparente, atto, di questa tragicommedia.

Gli amanti si son riuniti, eppure, l’intreccio si complica. Abbandonando per un attimo il palco, immaginiamo di tornare indietro di qualche anno. Ebbene, eccoci nell’Europa ancora dilaniata dal conflitto. Giulio Canella, professore e filosofo, aveva lasciato, forse per l’ultima volta, il suo studio. Eccolo mettere da parte i suoi libri, per indossare una logora divisa militare. Posata la penna sulla scrivania, impugna, ora, un fucile. Per lungo tempo, anche il cuore della moglie era stato costretto a indossare una maschera. Come mille altre mogli e madri, anche lei, corrucciata, osservava la porta di casa. Sperava, prima o poi, di poter risentire i suoi passi. Eppure, non sarà così. Chi combatté al fianco dell’uomo, ricordava esattamente quelli che, forse, furono i suoi ultimi attimi. In Macedonia, a Monastir, era stato vittima di un cruento attacco che aveva decimato gli uomini al suo seguito. C’è chi richiama il momento esatto in cui il Canella, privo di vita s’era ormai accasciato al suolo. Altri parlano di una sua cattura da parte dell’esercito bulgaro che, dal canto suo, nega tale versione. Eppure, quando gli italiani riprendono possesso della città, dell’uomo non c’è alcuna traccia. Lo stesso Ministero della Guerra, in una lettera recapitata alla moglie per informarla della sua scomparsa, lo considera come “disperso”. Tra i caduti dello scontro con i bulgari, il corpo di Giulio Canella non viene mai ritrovato. E tanto basta per alimentare anche la più flebile speranza nel cuore della donna che non intende scendere a patti con l’eventualità di una morte del marito. Ecco perché mille e un ricordo passano veloci davanti agli occhi della donna quando osserva la foto sgualcita di quel misterioso individuo che di sé non ricordava più nulla. 

Ormai, la lanterna illuminava appena la via di quell’uomo smarritosi nell’impervio labirinto della mente. Impossibilitato ad aprire la porta dei ricordi, sembrava avesse incautamente odorato il profumo di un loto, perdendo la memoria. Penelope e la sua Itaca erano avvolte da una fitta nebbia che non accennava a diradarsi. Nell’oscurità, distingueva appena le vicissitudini che lo avevano portato fino all’inusuale incontro con quella che si diceva sua moglie. Sembrava fosse trascorsa un’eternità da quando, in una mite sera torinese, era stato colto aggirarsi con “aria furtiva” nel cimitero locale. Qui, l’individuo, era stato colto in flagrante, mentre cercava di rubare dei vasi funerari. Invano, nei giorni a seguire, i medici avevano provato ad alimentare la fioca luce che illuminava appena gli spigolosi angoli della mente. Quest’ultimo, infatti, “nulla era in condizione di dire”, come se quella sera avesse smarrito se stesso.

Eppure, un bagliore, aveva cominciato a farsi strada sin dal primo incontro con Giulia Canella. Quando il velo di Maya viene improvvisamente squarciato, il bizzarro caso dello smemorato sembra trovare la sua conclusione. Ulisse è finalmente tornato alla sua Itaca, accolto da Penelope che non ha mai perso le speranze di rivedere l’avventuriero. Con l’abbraccio tra i due, la platea aspetta solo di vedere il sipario calare su quello che sembra l’atto finale. Ma, probabilmente, non è ancora il momento. Quell’uomo, prima solitario vagabondo in un silenzioso deserto, sembra aver trovato la sua oasi. Si china per dissetarsi dopo aver vagato per così tanto, inconsapevole della tempesta che su di lui si abbatterà. Il “teatro della memoria”, viene scosso da una lettera senza mittente, inviata alle autorità torinesi. 

Quell’uomo che, attorniato da moglie e figli, studia con la testa china sulla scrivania, non è Giulio Canella. A rivelarlo sono poche righe, scritte forse di fretta, in cui si fa il nome di Mario Bruneri, tipografo ma anche anarchico. Quest’ultimo, da tempo sfuggiva alla giustizia, cui era noto per alcuni reati commessi negli anni precedenti. Lo smemorato, che sembrava essersi divincolato dalle catene dell’oblio, viene richiamato a Torino, dove andrà in scena il nuovo atto di una vera e propria querelle. Un brusio comincia a sollevarsi e la platea inizia a interrogarsi sull’identità di questa sfuggente figura. Da un lato, Giulia Canella, è convinta che sotto quella maschera si celi il volto scavato del marito finalmente rimpatriato dopo il lungo conflitto. A fare il nome del Bruneri sono invece i familiari e l’amante di quest’ultimo che rivedono in quell’uomo il marito e il padre da tempo scomparso. La vicenda fa eco in tutta Italia. Coloro che nello smemorato rivedono l’anarchico Bruneri, si contrappongono a chi, a gran voce, vi riconosce il dotto Canella. Intanto, a Torino, non hanno dubbi. Riprendendo le impronte del tipografo latitante, esse corrispondono a quelle dell’uomo che afferma di non ricordar nulla di sé. 

Pensateci: la mano di un uomo custodisce i segreti più profondi e fatali della sua vita

Così scrisse Mark Twain, affidando queste parole all’avvocato David Wilson. Chissà se, a Dawson's Landing, ha mai avuto modo di confrontarsi con un caso simile. Ma, lasciando il Mississippi e tornando in Italia, la situazione intorno allo smemorato si complica. Tutti gli indizi, impronte comprese, ci parlano del sovversivo Bruneri. Persino Agostino Gemelli, vicino al Canella prima della sua partenza, dimostra di non conoscere quell’uomo dal viso pallido, con lo sguardo perennemente perso nel vuoto. A concordare con questa versione, addirittura alcuni vertici dell’allora Partito Fascista, tra cui Roberto Farinacci. Conclusione, però, che il celebre giurista Carnelutti considera invece come “la pena più crudele che mai fantasia sadica abbia potuto immaginare” per colui che riteneva essere il professor Canella. 

Ma, mentre imperversa il dibattito tra “canelliani” e “bruneriani”, una voce, lontana, chiede attenzione, rivelando una peculiare vicenda. Tempo addietro, quando ancora la speranzosa Giulia attendeva il marito sull’uscio di casa, una nobildonna inglese, di stanza a Milano, è protagonista di un singolare incontro. Si ritrova faccia a faccia con un uomo disorientato e malconcio, di cui, con una vicina inizia a prendersi cura. Egli si muove a fatica per gli impraticabili viottoli di una mente annebbiata dal tempo. Tutto fuori, vagabondo, sembra un novello Moscarda ma, a malapena, ricorda gli spari che fino a poco tempo prima scandivano i suoi passi. Non risponde ad alcun nome, ma lo sguardo affabile sembra quello dell’ignoto sulla cui identità si dibatte. La donna sottolinea, però, che nello stesso periodo un altro uomo, quasi identico nell’aspetto ma elusivo dei modi. Un peculiare episodio che sembra rivelare un retroscena : l’anarchico e il professore si erano incontrati. Eppure, al tempo, la testimonianza della donna non fu considerata tra le prove che avrebbero dissipato l’alone di mistero attorno a quella figura così sfuggente. 

Comincia, però, l’ultimo atto della storia. Nessun dubbio viene dissipato ma cala il sipario su questa tragicommedia. La legge riconosce il misterioso smemorato come Bruneri, obbligandolo quindi a scontare la pena per i precedenti reati. Ottenuta l’amnistia, riabbraccia la famiglia ma, ancora una volta, rispondendo al nome di Giulio Canella. La platea, nel teatro della memoria, è confusa mentre osserva quell’uomo, che fino a poco prima si muoveva a tentoni nei corridoi della mente. Escono di scena gli attori, eppure lo smemorato continua a portare sul volto la maschera del professor Giulio Canella. E continuerà a farlo anche quando, poco tempo dopo, emigra in Brasile con la famiglia. Oltreoceano trascorre gli ultimi anni di una vita ancora parzialmente celata sotto un velo di Maya mai del tutto squarciato. Eppure, quando spira, la moglie ripone l’ultimo crisantemo sotto una tomba che riporta il nome “Giulio Canella”.

Manuel Manti

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