10 ottobre 2025

I sommersi e i salvati di Gaza

Foto di Ali Mohmoud (AP)

Appena sveglio di primo mattino, Alì accende il vecchio telefonino e controlla i messaggi su whatsapp. Per fortuna internet funziona, nonostante i ripetuti bombardamenti. Ha ricevuto alcuni messaggi in inglese con un’immagine allegata che mostra la cifra di una donazione. Si tratta di persone che dall’altro capo del Mediterraneo gli inviano del denaro e lasciano un messaggio di incoraggiamento: “Caro Alì, io e la mia famiglia ti abbiamo inviato dei soldi, spero possano bastare per un buon pasto. Ti vogliamo bene.” Alì sorride per quelle parole di affetto lasciate da sconosciuti che, diversamente dal resto del mondo, sembrano comprendere le sue sofferenze. Con quella e altre donazioni che sopraggiungeranno dopo, si reca in un banchetto posto in un edificio semi diroccato, dove mostra a un uomo la cifra da convertire in contanti. Sembra incredibile, ma a Gaza esistono degli uffici cambio che consentono di convertire in moneta contante. L’unico problema è che in quelle condizioni la commissione è del 30% se non persino del 45% in funzione del grado di onestà e di chi si presenta.
Con quei soldi può andare al mercato nero facendo un po’ spesa. Un lusso che possono permettersi in pochissimi, perché un chilo di farina costa 40 dollari, uno di pomodori 27, un chilo di patate 32 e un uovo 6 dollari! Questi prezzi, per quanto possano apparire inaccettabili, sono il compromesso di chi vende ottenendo la merce con il rischio costante della vita o corrompendo qualcuno alla frontiera; è sempre meglio strapagare il cibo che procurarselo in un centro di distribuzione israeliano dove i soldati si divertono a fare il tiro al piccione!

Esraa è una bella ragazza di 28 anni senza marito, il viso sempre curato, anche se in quelle circostanze dovrebbe essere l’ultimo suo pensiero: forse un modo per vivere una parvenza di normalità nonostante tutto. Vive con i genitori in un edificio ancora in piedi nella zona centrale di Gaza. Contrariamente a quanto si possa pensare ci sono ancora degli edifici in piedi nella striscia di Gaza e più o meno abitabili, solo che per starci i proprietari cercano un affitto di 400 dollari al mese. Se non si ha la possibilità di spendere quella cifra, l’alternativa è di vivere in tenda, con tutti i disagi che ciò comporta: rischiando comunque di morire bruciati piuttosto che schiacciati dalle macerie. Eppure persino la tenda è un lusso, perché per acquistarla ci vogliono 1400 dollari. Non te la fornisce l’UNRWA o qualche organizzazione umanitaria, perché almeno ufficialmente dalla frontiera non passa nulla. 

Esraa

Anche Esraa come Alì, mantiene i genitori raccogliendo dei soldi da donazioni estere: c’è chi paga tramite Western Union, chi tramite Paypal, grazie alla possibilità di accedere a un account straniero, perché i palestinesi non possono aprire un conto e anzi alla lunga c’è la possibilità che quel flusso di soldi verrà bloccato. Ma c’è anche chi invia criptovalute che verranno convertite in moneta contante, non è un metodo semplice per chi dona e neanche per chi riceve, ma d’altronde nulla è semplice a Gaza!

Come molti palestinesi provati da mesi di privazioni, bombe e massacri, Esraa vive l’incertezza del domani. Un’incertezza che sfocia in malesseri improvvisi, ma anche in un senso di sconforto. Eppure quei malesseri sono nulla a confronto con chi ha perso le gambe o è sul letto di un ospedale. Una vita che diventa a quel punto un aiuto reciproco, come quando Nadia la coordinatrice del gruppo che aiuta anche lei, le ha stato chiesto di dare una mano al signor Sobi, un anziano che vive a poca distanza. Così in un video Esraa ci mostra la tenda in cui vive, svelandoci il dramma di una terza famiglia di Gaza.

Il signor Sobhi mostra una foto del figlio morto, dietro i nipotini

Il signor Sobi ha perso il figlio e la nuora in un bombardamento israeliano e adesso assieme alla moglie è costretto a curare i due nipotini costretti a letto per un grave problema alle gambe e allo stomaco. Sono le cicatrici di quel maledetto giorno, quando vennero estratti dalle macerie e i genitori non risposero più alle chiamate dei soccorritori. Assistere i due bambini è un compito gravoso in una realtà così difficile e pericolosa. Cercare un dottore che li possa curare, cercare il cibo e consolare i due orfani che la notte cercano la mamma. Sono questi gli ingredienti di una stanchezza e una frustrazione che sfocia nello sconforto. Lo si evince dalle parole di uomo timorato di Dio, quando in un messaggio scrive:

Ieri la situazione intorno a noi era difficile e i bombardamenti erano intensi, il che ha colpito i miei nipoti, in particolare Yac, poiché il suo corpo tremava a ogni missile e urlava con orrore, sembra che il suo subconscio abbia ricordato il momento in cui la loro casa è stata bombardata e distrutta, e la loro famiglia è stata uccisa. Questo si rifletteva nelle sue lamentele di forti dolori ai piedi, e ha pianto tutta la notte. Prego Dio che possa essere trasferito al più presto  prima che accada qualcosa di brutto. Che Dio  protegga le sue gambe e la sua salute generale. La situazione qui è catastrofica e sta peggiorando, e le condizioni degli ospedali non sono buone. Mi dispiace disturbarla, ma questa è la volontà di Dio e questa è la nostra vita, e non c'è potere o forza se non in Dio.

Il piccolo Yac piange dal dolore

Sobi però ha ancora una speranza, quella che un giorno possa andare via da Gaza portando i nipoti in un ospedale italiano dove possano essere curati con tutti i mezzi a disposizione. Questa speranza è sorta grazie all’iniziativa del gruppo di donatori, che con caparbietà sono riusciti a contattare le strutture e i responsabili del Ministero degli Esteri che si occupano di queste faccende. Perché Sobhi è stanco di quell’inferno e le sue parole chiariscono il senso di incertezza quotidiano:

Razzi, attacchi aerei, artiglieria e bombardamenti di carri armati. E anche bombardamenti dal mare. Ci siamo abituati e sappiamo che le nostre vite, [...] possono essere strappate via in qualsiasi momento. Dio è il protettore. I nostri saluti e il nostro rispetto per voi.

Sobi non lo sa ancora, e forse presto si renderà conto lui stesso, che i due bimbi non usciranno da Gaza nonostante le preghiere e tutto l’impegno profuso. Perché le autorità israeliane impediscono la loro evacuazione condannandoli a un purgatorio senza fine.

Asmaa è madre di quattro figli, vive in una tenda come può. Il marito si trova a sud, in un ospedale di Gaza con diverse ferite, tra cui una dolorosa al collo. Non si vedono da mesi perché questi è costretto a letto, immobile. La nebbia degli stenti e delle incertezze si è diradata da quando è stata contattata via social da Nadia che le ha offerto un sostegno economico a distanza. Nadia infatti ha creato un gruppo Telegram composto da sostenitori uniti dal desiderio di mandare un aiuto diretto e senza intermediari alle famiglie di Gaza. Una collaborazione che è subito diventata una storia di giusti, disposti a tutto pur di sostenere la loro vita. Per questa ragione Asmaa si sente più serena, perché è certa di poter vedere i suoi figli mangiare, non come nei mesi scorsi quando era costretta a cercare cibo senza certezza alcuna. 

Il piccolo Siraj

Nel mese di luglio 2025 il cooperante italiano Gennaro Giudetti di stanza a Gaza, spostandosi in auto per conto dell’ONU ha incrociato Siraj, un bambino orfano che vagava da solo, affamato e alla ricerca di cibo. Con sé aveva una busta di plastica dove aveva raccolto della farina, della polvere e dei sassolini, i pochi rimasugli di aiuti lasciati dagli adulti. Era solo al mondo perché i genitori erano stati uccisi e lui sopravviveva come poteva. Il 3 settembre ha postato il video di un giornalista palestinese che lo ha filmato con in mano della plastica da riciclare e forse da vendere. Le immagini di quel bambino hanno colpito il cooperante, tanto quanto uno degli amministratori del gruppo di Nadia che ha notato il post su Instagram. Questa storia ha fatto scattare il desiderio di proteggerlo come gli altri. E quando Nadia ha chiesto a Asmaa di cercarlo e accoglierlo, il suo cuore di madre si è subito aperto. Asmaa ha organizzato uno spostamento nella zona di avvistamento, e nonostante cammini male a causa di una ferita alle gambe lo ha cercato per un’intera mattina sotto il forte sole della Palestina. Non è riuscita a trovarlo, ma ha individuato il giaciglio in cui vive. Un vicino le ha riferito di averlo visto morto, mentre un altro ha affermato di non vederlo da un paio di giorni. Così non ha potuto fare altro che lasciare il suo numero di telefono affinché venisse avvertita qualora tornasse, ma il telefono non ha mai squillato… Forse la sua vita è stata spezzata da un cecchino, un drone o chissà cosa. Resta solo l’amarezza di non essere riusciti a raggiungerlo in tempo. 

La bontà di Asmaa, disposta ad accogliere un orfano si è presto trasformata in un pareggio del karma, quando inaspettatamente un donatore del gruppo ha compiuto un gesto da esempio per tutti donandole 2000 €. A tanto ammontava la cifra necessaria per riuscire a organizzare una celere operazione chirurgica che potesse risolvere finalmente i problemi del marito senza dover attende mesi di agonia. Grazie all’operazione è stato dimesso ed è tornato a casa, riabbracciando la moglie e i figli, come un bel film a lieto fine.

Asmaa e il marito di nuovo uniti

Alì viveva in una casa sovraffollata assieme a un’altra famiglia dopo aver vissuto per mesi in una tenda. I primi di settembre Israele ha lanciato un ordine di evacuazione per gli abitanti di Gaza nord. Dovevano fuggire perché l’esercito si era ammassato per conquistarla e radere al suolo tutto. Non c’era altra soluzione che scappare ancora una volta, ma in questo caso bisognava andare a sud. Questa decisione ha causato lo sfollamento di 900.000 palestinesi. Ma il trasferimento non è una cosa che possono fare tutti, ci sono molti casi di persone malate o impossibilitate a muoversi. E poi ci sono tutti coloro che in questo modo lasciano qualsiasi oggetto di proprietà, oltre alla casa. Per non ritrovarsi privati di ogni cosa dovrebbero spostare le proprie cose con un mezzo: un carro, un camion o un’auto. Ma il costo di questa operazione può superare i 1000 €, una cifra che si aggiunge alle già insostenibili spese quotidiane. In assenza di ciò, bisogna camminare per chilometri sotto il sole, portando solo lo stretto necessario. E’ quello che hanno dovuto fare le tante famiglie povere che come un fiume si sono spostati. 

Alì invece ha la fortuna di avere chi si preoccupa per lui fornendogli i soldi per pagare il trasferimento. Così dopo aver attraversato l’intera Striscia districandosi tra le strade trafficate, è riuscito a portare in salvo la famiglia trovando finalmente un’area libera dove poter montare una tenda.

Gruppo di Nadia è il nome con cui i palestinesi conoscono i lontani donatori. Un gruppo che diventa sempre più strutturato, riuscendo a tenere in piedi una struttura assistenziale senza intermediari e senza il rischio che i soldi finiscano altrove. Ogni donazione viene fatta direttamente sul conto del ricevente. Ed è questa azione diretta a fare la differenza, rispetto a un gesto che altrimenti si sarebbe ridotto all’invio di denaro a un ente di carità. Questi soldi risolvono la maggior parte dei problemi quotidiani producendo un effetto visibile attraverso il riscontro dei video. La quotidianità di questi gesti genera tra i donatori uno spirito positivo e un senso di concreta utilità nei confronti di una situazione che politicamente in due anni non ha portato a nulla di nuovo.

I figli di Asmaa mostrano il cibo acquistato grazie alle donazioni

Ma per una famiglia salvata, ce ne sono molte altre sommerse dal terrore, dalla fame e dalla carenza di ogni bene. Chi si trascina una malattia non curata, chi è distrutto da due anni di guerra e atrocità, chi preferirebbe il cosiddetto martirio rispetto a un’agonia senza fine. 

Ascoltando le storie che emergono da Gaza si acuisce il desiderio di voler salvare altre persone. E’ con questo sentimento che riemerge il ricordo del finale del film La lista di Schindler, quando il protagonista si rende conto che avrebbe potuto salvare molti più ebrei dallo sterminio nazista se solo avesse rinunciato a qualcosa in più. Allo stesso modo, guardando i tanti video di disperazione, si vorrebbe poter estendere la protezione a migliaia di persone. Una speranza che cresce ogni volta che i donatori aumentano e la gara di solidarietà si trasforma in contrasto all’odio e alla barbarie. È in questo gesto che si comprende l’essenza di un passo biblico fin troppo famoso, quanto incredibilmente disatteso: 

Chi salva una vita, salva il mondo intero.

 Davide Mauro

Nessun commento: