16 marzo 2017

Stranieri o esclusi? Pirandello, Alvaro, Camus e Zambrano


Corrado Alvaro scriveva: «La vita non è altro che una comunione di solitudini». La comunione di solitudine è uno straniamento che ci conduce verso la finzione. La Medea di Alvaro è il teatro della recita senza maschera. Come l'Alcesti. In questa condizione si viaggia con la memoria sommersa accanto e con quella del "sottosuolo" dentro. Lo straniero e l'assurdo. La caduta con il riso e la risata nella confusione. La solitudine e l'angosciosa incertezza. Sono percorsi di anima. Viaggi di esistenza. Erranze nei cuori e nel tempo che illumina e chiede di capire il mistero. Com'è possibile capire e comprendere il senso del mistero? Il mistero è un sentiero ma è anche un linguaggio. Le letterature sono linguaggi di parole che inventano, creano immagini su uno palco-scenico la cui ribalta è data dal personaggio che anima la scena. Che anima... l'anima...

Anima: un sentiero di orizzonti che ci fa sentire centomila e nessuno ma anche uno, come il Mattia Pascal che ombreggia una richiesta di pietà. Ombreggiare la pietà è viversi come pagliacci alla ricerca di una filosofia. Soltanto così è possibile salvare la bellezza. Quella bellezza che è «l'aspirazione alla pienezza e alla realizzazione interiore» (Tzvetan Todorov). Aspirazione vissuta come profezia che passa attraverso il mistero del canto della pietà.

Siamo tutti assurdi. Pirandelliani e poi camusiani nella cadenza della caduta, ma siamo anche come il pagliaccio raccontato da Maria Zambrano: «Il pagliaccio mima da sempre e con successo infallibile la situazione peculiare di chi pensa e sembra stare in un altro mondo, muoversi in un altro spazio, libero e vuoto». Sul palcoscenico della vita siamo tutti dei Mattia Pascal o dei Nessuno. Siamo un Ulisse che viaggia con un viaggio accanto, mentre il sor-riso esplode negli occhi. Pirandello, in Il fu Mattia Pascal, ha scritto: «Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell'infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell'Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni...»

Ci sono, comunque, sempre degli esclusi. Gli esclusi sono gli estranei. Gli estranei non sono gli assenti. Sono i presenti. Presenti e esclusi. Pirandello è l'interprete di un colloquio mai interrotto tra l'assurdo e il riso. Un colloquio che va sempre nel segno di una ricercata "pietà". Così è! Come in Uno, nessuno e centomila.
L'esistenzialismo estetico costituisce la chiave di lettura in un viaggiare oltre la forma ma tra i linguaggi.

Pirandello, ben conosciuto da Maria Zambrano, è un porto lungo l'esistenzialismo e lungo i parametri estetici. Di questi parametri si serve il personaggio che vive la caduta e l'assurdo. In un intreccio istrionico il gioco si rafforza e diventa maschera. Nella maschera si cela, però, sempre la confessione dell'uomo (straordinario il saggio di Maria Zambrano Il pagliaccio e la filosofia), come in Alvaro: «Una nave di emigranti tornava in patria. Alcuni di questi emigranti, in vista della patria, impazzirono vaneggiando di essere diventati tutti ricchi». Una metafora importante che trasforma il sottosuolo in sommerso e viceversa. D'altronde, la finzione è sempre teatro.

Alla fine della vita, in quella deriva in cui mistero e pietà cercano di incontrarsi ("la pietà è saper trattare col mistero", Maria Zambrano) affiora costantemente il non volto del Nessuno o dell'Uno: «Dunque per gli altri sono quell'estraneo sorpreso nello specchio: quello, e non già io quale mi riconosco: quell'uno lì che io stesso in prima, scorgendolo, non ho riconosciuto» (Luigi Pirandello Uno, nessuno e centomila).

Tutto s'impiglia in quel "vedersi vivere" che è la determinazione dell'assurdo nella solitudine. Qui l'incontro tra Camus e Pirandello diventa uno snodo. Il "ritrovarsi improvvisamente" di Pirandello, nell'inquietante vita, diventa una richiesta d'amore, come nell'assurdo in rivolta di Camus («L'assurdo regna in questo mondo, e solo l'amore ci salva»). Perché vivere l'inquietante è vivere già oltre, anzi fuori. Occorre sempre restare in se stessi per recepire il mistero e la pietà.

Una forte e calma osservazione di Pirandello: «Oh, signore, lei sa bene che la vita è piena d'infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere» sembra essere ripresa da Camus quando afferma: «l'assurdo è la lucida ragione che constata i suoi limiti.»

Pirandello e Camus si ritrovano insieme lungo le strade che portano verso il mistero e la pietà. Ancora Maria Zambrano indica la strada quando afferma: «Il mistero non si trova fuori; sta dentro ognuno di noi, ci circonda e ci avvolge. In lui viviamo e ci muoviamo. La guida per non perderci in lui è la Pietà». Infatti Pirandello ha sempre chiesto, attraverso i suoi personaggi e la sua lingua, di non perdersi nel mistero e ha dato costantemente voce alla "Pietà". I suoi porti sicuri sono l'assurdo, il mistero, la maschera, la pietà. Porti che si sono trasformati in linguaggio.
Tanto da far dire a Corrado Alvaro che «la sua lingua, al principio ripicchiata e di vocabolario, diviene nel meglio della sua opera un modo d'esprimersi naturale, come si esprimono gli elementi nella luce; le sue manie a un certo punto investono l'uomo e divengono rimpianti di angeli decaduti, incubi, segni del destino. Tanto è vero che non c'è grande poeta senza idee fisse». Ma qual è il segno indivisibile in un Pirandello che chiede alla pietà di farsi luce, voce, parola? Forse è ciò che afferma Pietro Mignosi, quando coraggiosamente ebbe a scrivere: «L'opera di Pirandello si riannoda storicamente a quella rinascita della letteratura religiosa, che sotto forme più varie ed eterodosse cela il grande mistero dell'anima naturaliter christiana».

Un andare oltre. Mai oltre la bellezza giunta nel momento in cui tutto diventa provvisorio. In questo momento è la metafisica che si pone come barriera o orizzonte. Perché il riso che nasce dal sorriso ci appartiene dentro la consapevolezza della pietà e del mistero. Quando arriva la morte, il pagliaccio, al quale ho fatto riferimento in termini zambraniani, smette la sua maschera e rischia la sua ombra. La passione per il vivere inquietante si fa rappresentazione di una voce – parola. Pirandello, Alvaro, Camus, Zambrano rimangono nel buio a luci spente, ma c'è sempre la metamorfosi della notte che si appiglia a un filo di chiaro, nonostante il bosco nel quale ci siamo immersi. Stranieri o esclusi? Caduti o in solitudine?

Pierfranco Bruni

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