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Foto di Ali Mohmoud (AP) |
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Foto di Ali Mohmoud (AP) |
La società contemporanea è, senza dubbio, altamente frenetica, piena di stimoli e pressioni che influiscono non poco sul nostro benessere psico-fisico. La quotidianità è sempre una corsa, spesso ad ostacoli, in cui si fa fatica ad apprezzare l’hic et nunc, il qui ed ora, nel miglior modo possibile. La mente è sovente affaticata e ciò ha delle ripercussioni sulla gestione dei tempi, degli eventi e degli impegni nella vita di tutti i giorni. Sono certamente tanti i modi per prendersi cura di sé, ma una delle attività più semplici, piacevoli e meno dispendiose che possono aiutarci a ritrovare benessere e tranquillità attraverso la creatività è la realizzazione dei mandala.
L’intelligenza artificiale è entrata nel nostro quotidiano senza preavviso, come una presenza familiare ma non ancora decifrata. Ne parliamo molto, la usiamo sempre più spesso, ma raramente ci fermiamo a pensare cosa essa stia modificando davvero: nella scrittura, nel lavoro, nel modo di pensare. Questa riflessione prova a interrogare l’AI non come tecnologia, ma come sintomo culturale – come specchio del nostro tempo, e insieme come occasione di ripensarlo.
Avevo capito però che c’era qualcosa oltre la grammatica. La possibilità del ritmo e delle storie.
Il panorama letterario italiano negli ultimi anni è diventato stantìo. I libri che ormai quotidianamente (e già questo è significativo della loro qualità!) escono anche da grandi case editrici ricalcano vecchi tópos con forme spendibili nel mercato. Basti pensare a quanti gialli vengano pubblicizzati come grandi portatori di tematiche storiche o sociali. La verità è che la capacità di uno scrittore è ormai diventata relativa: ciò che conta è accontentare il pubblico letterario, sempre più borghese e alla ricerca di rassicurazioni, non di stimoli.
Gaza è martoriata dalle bombe. La popolazione è allo stremo, la Cisgiordania occupata sempre più stretta nella morsa dell’assedio. Sarebbe facile – troppo facile – fare la conta dei morti, degli espropri, delle scuole distrutte, degli ospedali cancellati. Ridurre tutto a numeri, a grafici, a statistiche.
Ma oggi vorrei fare il contrario: voglio raccontare le voci di chi resiste. Le voci di pace, di speranza, che ancora si levano da quei territori devastati, occupati, disumanizzati da Israele. Voglio umanizzarle, restituire loro il volto, il nome, la dignità. Lo farò attraverso tre storie.
Tre vite. Tre voci. La prima è quella di un giornalista, che ha scelto di restare. La seconda è di una giovane pittrice, fuggita poco prima del disastro. La terza è quella degli operatori sanitari, di coloro che sono lì per aiutare e vengono uccisi.
Non credevo di essere una persona che non racconta niente di sé. Non ho mai creduto di esserlo. Adesso so che lo sono. Che ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male.
Di tanto in tanto se ne andava nella stanza di Betta e si stendeva sul suo letto, si appisolava per poi svegliarsi sempre di soprassalto convinta di averla sentita entrare, aprire l’armadio, sfogliare un libro allo scrittorio sbuffando perché non aveva voglia di studiare.
“Il tempo per leggere come il tempo per amare dilata il tempo di vivere” Daniel Pennac.
L’affermazione del famoso scrittore francese, rappresenta una sorta di mantra per tutti coloro che amano leggere ed immergersi in mondi diversi dai propri, perché è una verità assoluta: chi legge ha la possibilità di curiosare, di percepire nuove realtà e di arricchire il proprio mondo. Storie, vite vissute, esperienze che appaiono a tratti simili alle proprie o lontani anni luce e, forse, sono proprio quest’ultimi che sortiscono l’effetto di emozionare maggiormente. Tutta la vita che resta, il romanzo d’esordio di Roberta Recchia cattura l’interesse dei lettori perché tocca le corde più intime ed è difficile non rimanerne folgorati.
A più di settant'anni dall'inizio del suo dominio quasi incontrastato come mezzo di diffusione di notizie ed intrattenimento, ci si può permettere di tirare alcune somme sul ruolo odierno del talk show nel dibattito pubblico.
Gli Iatti hanno smesso un po' di mangiare il pane, non per dar retta davvero all'erbaiuola, ma solo perché non avevano abbastanza soldi neppure per comprare la farina.
Il romanzo d'esordio di Marta Lamalfa accende una luce su un fatto realmente accaduto sull'isola siciliana Alicudi: le allucinazioni collettive provocate da un fungo chiamato ergot che aveva infestato le piante di segale. La sostanza rilasciata dal fungo è presente anche nell'LSD e crea effetti psichedelici.
Comprendere l’importanza di un’opera d’arte non è facile, e in particolar modo per i capolavori realizzati nel passato, perché necessitano di una consacrazione continua: il pubblico è obbligato a interpretarla attraverso i suoi sistemi di riferimento morali ed estetici, che non sono gli stessi secondo cui un capolavoro è stato creato.
Cosa spinge gli organizzatori di eventi di ampia risonanza ad adottare contenuti ambigui, volgari, se non palesemente satanici? Qualcuno obietterà il fatto che la tendenza alla provocazione e allo scandalo facciano parte della cultura occidentale, che artisti e scrittori nel corso dei secoli hanno avuto successo proprio perché facevano scandalo. Questa motivazione è vera, ma appare strana la crescente tendenza verso l’oscuro, il misterioso e il volgare, palesatosi di recente con lo scandalo della cerimonia di apertura dei giochi olimpici di Parigi.
La lanchita si lascia alle spalle la Habana Vieja e attraversa crepitante e colorata la Bahía per approdare, di lì a pochi minuti, sulla banchina di Regla, gemma poco nota al grande flusso dei turisti e ancora poco sensibile ai richiami dei circuiti classici. Qui più che in qualsiasi altro quartiere dell’Havana il passato e le tradizioni si fondono con il presente, e la spiritualità si anima e si colora di magia. Perché è la spiritualità che rende Regla un posto speciale, custode del prezioso patrimonio multiculturale nato dalla mescolanza di elementi africani, caraibici e spagnoli originata dal colonialismo occidentale…
Prosegue il nostro viaggio insolito in Sud America intervistando Giuseppe Novello sulle sue esperienze in Colombia. Contrariamente a quanto si possa pensare la Colombia è un paese meraviglioso in cui è possibile viaggiare e visitare luoghi poco battuti dal turismo di massa. A parte Cartagena che più di un viaggiatore ricorda come tra le poche mete del paese, Giuseppe ci conduce a Medellin per poi raggiungere l'estremo nord del paese, con immense spiagge tropicali e una vita piuttosto rilassata.
In questa seconda intervista a Giuseppe Novello conversiamo su un'incredibile esperienza di viaggio in Ecuador presso la Cueva de los tayos, un'immensa grotta ai confini con il Perù dove si celano parecchi misteri legati a una presunta civiltà nascosta e all'ambiente sotterraneo. Inoltre Giuseppe ci ha parlato dell'incontro con la tribù degli shuar, una tribù di guerrieri che in passato praticavano il macabro rituale delle tsantsas, il rimpicciolimento delle teste umane a fini ornamentali.
Tutta questa gente sa dove va e cosa vuole, ha uno scopo, e per questo s’affretta, si tormenta, è triste, allegra, vive, io… Io invece nulla… Nessuno scopo… Se non cammino sto seduto: fa lo stesso.
Uno dei romanzi più importanti del Novecento, Gli indifferenti, di Alberto Moravia, nel 2024 compie novantacinque anni. La retorica impone, a questo punto, che si scriva che è un romanzo ancora attuale. Non è così: Gli indifferenti sono l’analisi disillusa dell’Italia borghese e capricciosa dell’inizio del XX secolo: della classe sociale che ha vissuto il crollo del Fascismo che aveva contribuito ad erigere; che ha subìto, in maniera fasulla eppure rilevante, i capovolgimenti sessantottini. Quella vecchia borghesia non c’è più ma gli esemplari di persone descritte nel romanzo esistono anche oggi. Purtroppo non c’è un Moravia appena ventiduenne a denudare i loro caratteri con la scrittura: forse però una rilettura del suo primo capolavoro aiuterebbe a interrogarsi sulle vite che ogni giorno conduciamo.
Giuseppe Novello è un nostro vecchio collaboratore che ha scritto diversi articoli sul Sud America e sulla musica metal e dark. La sua esperienza nei viaggi è davvero unica e piena di aneddoti. Per questa prima intervista gli abbiamo chiesto di parlarci del suo primo viaggio importante, da lui stesso considerato come una sorta di iniziazione ai viaggi più difficili.
Non posso parlare per gli altri, ma per quello che mi riguarda nulla mi ha fatto diventare saggio. Certo, siccome alcune cose mi sono già capitate, quando si ripresentano mi dico: ci risiamo. Ma non mi pare di nessun aiuto. Secondo me, io semmai sono diventato più stupido, anzi divento sempre più stupido: è un fatto.
«L’illusione del talento è spesso oscurata dalla realtà del genio». Basterebbe questo vecchio adagio per esprimere il profondo senso d’inadeguatezza e gratitudine di chi, coltivando timidamente velleità di scrittore (e credendosi magari anche bravo), ha la ventura di accostarsi per la prima volta alle opere di Christopher William Bradshaw-Isherwood.