
In quella linea invisibile che divide i due secoli, quello prebellico e l'illusione della quiete perenne, e quello postbellico ovvero lo scontro dell'uomo contro l'idea realissima di un male violento in cui ogni generazione può piombare, in questa contrapposizione di idee e di risvolti storici, non poche sono le voci di coloro che hanno presentito il terrore, il male esistenziale. Tra questi va annoverato il nome del Premio Nobel svedese del 1951: Pär Lagerkvist. La lirica scandinava del Novecento è ben rappresentata dal poeta influenzato da Strindberg, la cui grandezza lui stesso innalza dinanzi all'altro genio scandinavo Ibsen. Nelle Dikter (trad. it. Poesie) di Lagerkvist due sono gli elementi di attrazione: la natura e l'essenza dell'uomo intesa come ricerca del male e del bene, dell'ordine e del Kaos (Caos è il titolo di un dramma di Lagerkvist del 1919). L'inferno sulla terra, questa terra che noi abitiamo, recita una poesia del poeta, è la parte di un tutto che va osservato, indagato fino a scoprire che, seguendo il modello nietzscheano dell'eterno ritorno dell'uguale, tutto torna indietro mentre la vita va avanti. Il disordine, il terrore e la spinta, il fervore degli uomini ricalca la stessa "febbre", lo stesso "fervore" religioso del Medioevo, come intende sottolineare Giacomo Oreglia, uno dei maggiori conoscitori del poeta scandinavo, riprendendo un passo da Modern Teater di Lagerkvist. Ma l'uomo post medioevo non è più rassicurato dall'immagine di un Dio (Den Gud som inte finns, tr. it. Il dio che non esiste), a lui resta solo la natura e con essa lui si identifica: la sera, le nubi, la stella e la via lattea, sono solo alcuni dei temi presenti nelle Dikter.