6 ottobre 2012

La sindrome di Michelangelo


Non c’è niente da fare, ci cascano tutti. Raggiunto il successo professionale gli artisti nostrani non riescono a rimanere nel loro (dorato) orticello. Come piccoli Michelangelo – d’accordo forse l’esempio è un po’ eccessivo – devono dare sfogo a tutta la loro incontinenza espressiva: Baricco ha girato un film, Lezione 21 – con deludenti risultati; Ligabue ne ha scritti e girati due (e con buoni risultati); Federico Zampaglione s’è messo in testa di resuscitare il thriller all’italiana e Carlo Lucarelli ha terminato le riprese del suo primo film da regista (tratto da una sua opera). L’ultima moda sembra essere quella della letteratura: il solito Ligabue con la raccolta di racconti Il rumore dei baci a vuoto è già a quota quattro (e la critica lo ha anche promosso); Francesco Bianconi, il leader dei Baustelle, l’anno scorso ha esordito con Il regno animale; Simone Lenzi, cantante del meno noto gruppo dei Virginiana Miller, è da qualche giorno in libreria con La generazione (dal quale il suo concittadino Paolo Virzì ha tratto l’ultimo film); e infine Giuliano Sangiorgi, il frontman dei Negramaro, che con Lo spacciatore di carne prova la strada del thriller.

Ce ne sarebbero altri, per la verità: Francesco Guccini, che però si è dato alla scrittura già dai primi anni novanta; Paolo Sorrentino, che con il suo esordio è stato pure finalista al Premio Strega, e poi – udite, udite – Pupo. Si proprio lui. Quest’anno Pupo ha dato alle stampe La confessione, che, bisogna dargli atto, ha avuto il buongusto di firmare col suo vero nome: Enzo Ghinazzi.

Ha scritto qualche giorno fa Alessandro Piperno sul «Corriere»: «Il lavoro di uno scrittore non consiste nel provare a piacere agli altri, ma nell’assai più arduo tentativo di arrivare a non dispiacere troppo a se stesso». Chissà cosa ne pensa Pupo!

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