24 agosto 2011

Medioevo postmoderno: tra crisi economica e identità

La quantità si muta in qualità, come ha detto Hegel,
e in particolare basta una semplice differenza di
quantità per passare dalla sfera dell’umano a quella dell’inumano.
(Riflessioni sulla causa della libertà e dell’oppressione sociale, S. Weil)

Ogni crisi si apre con il collasso delle istituzioni e con lo sgretolamento di un sistema costituitosi. Oggi stiamo vivendo una nuova fase di passaggio, la rottura del sistema in auge, dove le incongruenze tra le conquiste dell’uomo dell’era moderna e l’impossibilità di realizzarle e di goderle nella vita odierna, appaiono come il contrasto più vivido, che la nostra società non può più ignorare. Siamo attori e spettatori del più sconvolgente cambiamento antropologico, le cui radici tematiche attecchiscono nell'"antica" tesi freudiana e in quella di Marx
La crisi economica ha generato, oltre allo sconvolgimento delle acclamate strategie di mercato, un default importante ossia quello che inerisce alla deficienza umana e sentimentale che accompagna l’uomo del tempo della tecnica e del progresso, del nostro secolo.

Freud aveva ben illustrato nel suo Il disagio della civiltà quali erano gli effetti di una società civile moderna regolata attraverso l’inibizione degli istinti, quello della sessualità e dell’aggressività prima di tutto, in favore di una estetica sociale votata all’ordine e alla pulizia, apprezzate solo in seguito al processo di acculturazione. Se da una parte le regole normalizzatrici hanno reso il nostro mondo più sicuro, d’altra parte gli individui soccombono al principio di ordine costituitosi cedendo la propria libertà. Non essere più liberi significa aver accettato, in maniera più o meno cosciente, le regole grazie alle quali il sistema impone all’uomo di non poter fare tutto ciò che vuole. Anche qui l’ambiguità emerge, perché se la castrazione della libertà limita il male potenziale sprigionabile dalla natura umana, ad essere castrato, però, è anche il potenziale più benefico che libererebbe l’uomo dalla frustrazione quotidiana.

Partendo dall’analisi freudiana, Zygmunt Bauman ha rilevato quanto la società postmoderna non sia cambiata molto da quella moderna sociologicamente illustrata da Freud. Permane un profondo senso di frustrazione e la “prostituzione” della libertà dell’uomo in cambio di un po’ di felicità, resta la regola da seguire. È come dormire ad occhi aperti: l’individuo postmoderno si crogiola nella convinzione di avere già conquistato la libertà e non scende più in strada, non chiede una maggiore fetta di libertà che pure, dopo anni di lotte, dovrebbe essere una esigenza naturale scaturita da un assetto socio-culturale in movimento. Chiede Bauman:

Se la battaglia per la libertà è stata vinta, come si spiega che la capacità umana di immaginare un mondo migliore e di fare qualcosa per migliorarlo non è tra i trofei di quella vittoria? E ancora, che genere di libertà è quella che frustra l’immaginazione e tollera l’impotenza delle persone libere nelle questioni che le riguardano?
(La solitudine del cittadino globale, Zygmunt Bauman)

Qui si arriva poi ad un punto cruciale della questione: il ritorno al medioevo. Questo periodo può essere a primo acchito accostato con il buio, con la mancanza di una vera libertà, con quella costituzione sociale a piramide dove il gruppo di appartenenza alla nascita era tutto. Con lo smantellamento di un siffatto ordine sociale precostituito e al quale attenersi passivamente, l’uomo entra nell’era moderna e conquista la libertà di scegliere il proprio gruppo di appartenenza, slegato, quindi, dai dettami parentali ma gettato nella possibilità di lottare per la propria identità. La propria collocazione sociale si manifesta ed impone al mondo esterno tramite il lavoro ed è dunque mediante questo che l’individuo si costituisce in piena libertà scegliendo il gruppo sociale a lui idoneo.

Qui si scopre l’inganno: oggi l’uomo non è né libero né sciolto dai legami parentali o del gruppo di appartenenza nel quale è nato. Si è ripiombati in un nuovo medioevo, un medioevo postmoderno, ove i valori raggiunti con tanta fatica dalla rivoluzione industriale in poi, sono stati nuovamente rovesciati fino a tornare allo stadio precedente la società moderna, ossia quella regolata sul sistema piramidale. Questa struttura a casta riprende, appunto, quella precapitalistica e premoderna per le quali:

[…] la ricchezza, nonché i privilegi e i diritti acquisiti che ne derivavano fossero prima di tutto una questione di famiglia e di diritto all’eredità. Ricostruire le genealogie, prestare grande attenzione ai vincoli di parentela [corsivo mio] stretti con il matrimonio e tener fede ai relativi criteri di esclusività era a quel tempo la preoccupazione dell’aristocrazia e degli strati superiori […]

Cosa ne resta della libertà di poter esercitare l’esperienza della costruzione della propria identità, anche attraverso le sofferenze, mediante il lavoro? Cosa resta, allora, delle ottime capacità di un individuo che dovrebbero essere espresse e non represse, in nome dello sviluppo positivo della società? Un sistema siffatto non può che generare una duplice esasperazione: non solo la frustrazione causata dal soffocamento delle qualità utili dell’individuo, ma anche l’uccisione dell’ideale di libertà con il quale la società in un primo momento ci ammalia, ci illude.
Ad alimentare la discesa verso il basso attraverso il sistema iniquo del lavoro si aggiunge altresì la mancata partecipazione positiva, come fa notare il Bauman, di forze adeguate che dovrebbero ascoltare le voci dell’agorà ma che non trovano alcun riscontro nella realtà. Al contrario sembra che i vertici non solo ignorino le esigenze di chi, immesso nel sistema, vorrebbe vedere la propria condizione migliorata, ma sembra anzi controllarne il flusso in vista della manipolazione di massa. Ignorare tali bisogni significa, per le istituzioni, regolare i bisogni degli individui, dettarne le esigenze, ucciderne la libertà. Tutto genera Unsicherheit, incertezza, ed è giocando con questa che l’individuo non è più libero ma si fa marionetta legata ai fili invisibili di chi opera dall’alto senza alcuna volontà di cambiamento. Uscire da questo sistema, continua Bauman, è «più facile a dirsi che a farsi» perché «attaccare l’insicurezza alla fonte è un’impresa ardua, che richiede addirittura di ripensare e rinegoziare alcuni dei presupposti fondamentali della società attuale: presupposti tanto più saldi per il fatto che sono taciti, invisibili o indicibili fuori discussione o scontati». Bisognerebbe, insomma, uscire dal medioevo postmoderno.

Ora, è proprio l’incertezza radicata nell’uomo postmoderno che ha causato una serie di squilibri che come un effetto domino rischiano di incrinare irrimediabilmente il significato di esistenza, la possibilità di guardare nella giusta direzione per attuare liberamente delle decisioni. L’incertezza, oggi, non è più assorbita dall’alto, dallo Stato. Essa é diventata un peso del singolo ed ognuno cerca di scacciarla come può. Si sono così create nuove paure contro le quali impegnarsi e che trovano degno riscontro nella ascesa di particolari malattie come la depressione. Attraverso il consumismo, caso questo attentamente studiato da Laura Minestroni in Comprendere il consumo, si possono esorcizzare le paure notturne attraverso un «rituale diurno», riprendendo ancora Bauman. Lo shopping dà la sensazione di brevi momenti di felicità, di emozioni che placano l’ansia di scegliere nell’incertezza perché è nel consumismo che davanti a tanta scelta si può decidere con leggerezza, senza pressioni e in totale libertà. La preminenza della dimensione cosale, del possedere quanto più possibile, genera una società improntata al mero oggetto, convulsa e confusa, spinta dal solo desiderio di poter mostrare sempre più merci, oggetti che rappresentano la vera identità – impaurita e persa – del soggetto. È così che si erge a modello della società postmoderna l’“élite consumista”, dove ad essere d’esempio non è colui che più “è”, bensì colui che più “ha”, ossia la preminenza del potere economico che coincide con il sistema piramidale o dell’appartenenza al gruppo dell’élite.

Altra conseguenza del clima di insicurezza creato si riversa sulle scelte affettive. La sfera emozionale dell’individuo o è spinta alla ricerca dell’orgasmo ossessivo – dunque a più relazioni di breve durata – o a rinchiudersi in rapporti non autenticamente d’amore ma di necessità, dove il soggetto amato diviene il punto fermo e sicuro dell’individuo spaesato e debole. In quest’ultimo caso si aziona un meccanismo di dipendenza e ossessività che acceca l’individuo precludendogli un’esperienza sentimentale matura. Sono molte le persone che per sfuggire ad un radicato stato di insicurezza si rifugiano in rapporti non autentici, aggravando le frustrazioni che inesorabilmente attecchiscono in rapporti di natura sentimentale che non nascono in modo naturale ma per necessità difettive di uno o di entrambi i soggetti.

Si potrebbe, ancora, chiedersi perché le istituzioni non riescono ad assorbire ed offrire il classico piano di appoggio in grado di fornire la sicurezza di cui individuo necessita, come ha sempre fatto. Cosa è servito barattare la libertà se, come si evince dalle riflessioni fin qui emerse, in cambio l’individuo non ottiene più quella sicurezza basilare che gli serve per vivere senza ansie, senza angosce? Dal quadro si evince che non solo non siamo liberi, ma sotto attacco vi sono le tre forme della sicherheit security (sicurezza esistenziale), certainty (certezza) e safety (sicurezza personale, incolumità). Lo status di incertezza è causa di mancate previsioni cautelative precedenti la costituzione dell’Unione Europea, o potrebbe rientrare in uno di quei meccanismi pilotati ove i poteri forti preferiscono che il caos e l’incertezza esistenziale regni in quanto «Come sostiene giustamente Crozier, il dominio e il controllo delle situazioni appartengono a coloro la cui libertà di manovre produce maggiore incertezza negli altri di quanto gli altri ne producano in loro […]».

Sempre il Bauman delinea una soluzione che si sta già attuando nell’Occidente impaurito e angosciato: il riso ovvero la Kraft durch Freude (tr. it. la forza attraverso la gioia). Il riso come antidoto contro le paure del mondo nel quale, l’enormità delle frustrazioni in atto provocano una rottura dei rapporti con gli altri  confinando ogni singolo individuo nella propria solitudine.

La deficienza più pericolosa appare essere dunque la mancanza di una educazione umana, causata da un profondo cambiamento antropologico in atto nell’Occidente, falla acuita maggiormente quando ad entrare in crisi è la stabilità economica. È nel momento dell’incertezza e dello spaesamento nel quale noi oggi ci troviamo che l’uomo dovrebbe trarre maggiore forza per reinventarsi e per ricostruire un sistema nel quale migliorare la propria esistenza e non peggiorarla. Eppure dinanzi alla crisi globale che ci ha colpito, l’uomo non si rigenera, bensì è sempre più angosciato e sempre più rinchiuso in un egoismo le cui conseguenze sono ben visibili soprattutto nella sfera emotiva. Le conseguenze innescate dal terremoto economico, dunque, lungi dal rinsaldare la dignità umana in vista di un progresso del benessere sociale, hanno peggiorato non solo la vita pratica ed economica della massa ma anche la sua sfera personale e sentimentale. Queste ripercussioni, che riguardano una parte importante di noi individui dell’era della tecnica, non vanno sottovalutate ma studiate e riconosciute perché è da questa società inumana e confusa che prenderà forma la successiva. Non offrire oggi saldezza emotiva significa mettere in pericolo ciò che differenzia l’uomo dall’animale, significa cadere alla stregua dell’animalità più bieca e non essere più liberi dalla volontà e dai bisogni ma ad essi soggetti con il conseguente depauperamento di una civiltà la quale, salita in alto, sembra oramai essere destinata a precipitare verso il basso.

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