17 settembre 2018

Il Laooconte: precursore dell’illimitato moderno

Laocoonte

Siamo nel 1506, una mattina di gennaio sul colle Oppio un contadino qualsiasi per il più fortunato dei casi inciampa in quello che sarà considerato come l’apice della scultura classica, e modello di riferimento per tutti i giganti dell’arte a venire. Viene ritrovato il gruppo del Laooconte. Alla notizia della scoperta accorrono tutti, gente di umili origini, banchieri, il Papa Giulio II e lo stesso Michelangelo già all’epoca divinità tra gli uomini, da subito si prende coscienza che in quella tensione muscolare, in quel groviglio di nervi che apre alle varie espressioni della sofferenza mescolata al piacere, c’è il dogma della grecità partorita dalle mani di Agesandro, Polidoro e Atenodoro, c’è la nobile semplicità e quieta grandezza di cui parla Winckelmann simile al fondo del mare che in superficie si presenta sereno ma agitato nel fondo invisibile, ma al di là del punto di riferimento artistico che il gruppo scultoreo (pur essendo una copia romana) ha rappresentato e rappresenta, vi è in lui qualcosa di celato che cerca di esprimersi, l'ombra di un'idea che si fa largo nella luce, un ammonimento che i greci hanno sottaciuto nella punizione del sacerdote Troiano.


Tutta la cultura greca, dalla sua origine al suo tramonto, che è poi la madre della cultura occidentale,  ha come regola fondamentale l’idea del limite, quella che i greci chiamano πέρας, non è solo un concetto ma un confine da non oltrepassare, un modo di vivere oltre il quale c’è un abisso che non ha ritorno chiamato ὕβϱις; la tracotanza, la certezza di poter fare ciò che non si può, di essere ciò che non si è, non a caso Aristotele avverte: “που δεν ξέρει το πεπρωμένο όριο θέμα του” chi non conosce il suo limite tema il destino. Sono parole lontane sia per luogo che per epoca, ma le conseguenze del suo contrario sono a noi, oggi, chiarissime. La nostra società e il nostro modo di vivere è una continua e perenne ὕβϱις una spasmodica certezza del fatto che tutto sia possibile e lo sia ora, subito, la necessità che la società della tecnica, (che persegue il massimo degli scopi con l’uso minimo dei mezzi) come la definiscono Emanuele Severino e Galimberti, non abbia e non debba avere limiti in quanto l’unico limite rimasto “il limitante” per eccellenza cioè Dio è scomparso.



Allora è qui che la potenza del Laooconte, non solo come estetica ma come idea come insegnamento, si fa strada. Il Laooconte è l’archetipo per eccellenza dell’uomo che ha cercato di sfondare il cerchio (πέρας) del limite, nel racconto Virgiliano il sacerdote dei Troiani va oltre le sue competenze e le trascende, cerca addirittura di deviare il disegno divino architettato dagli dei smascherando l’inganno del cavallo, cerca la verità ma ciò non gli compete, ha dunque varcato il suo limite.


Dunque nella silenziosa sofferenza del gruppo scultoreo non c’è solo malessere fisico in più gradi, ma tracotanza nell’illimitato ἄ-πειρον, è questo dunque il messaggio che nel grido del sacerdote, anche se nascosto, dovremmo scorgere e affiancare nel nostro cammino.

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