11 maggio 2022

Pier Paolo Pasolini: Salò e l’abiura di me

Pasolini disegna il quadro apocalittico delle metastasi culturali di un mondo che pratica il genocidio su ogni forma di diversità, rende la strage gesto quotidiano e normalizzato con al centro una nuova forma di individuo assoggettato all’arbitrarietà del potere in una farsesca e provinciale Repubblica di Salò. 

Salò o le 120 giornate di Sodoma è l’ultimo film diretto e realizzato da Pier Paolo Pasolini nel 1975. Egli stesso definì l’opera come «abiura di me» direttamente nelle sue Lettere Luterane:

Io abiuro dalla Trilogia della vita, benché non mi penta di averla fatta. Non posso infatti negare la sincerità e la necessità che mi hanno spinto alla rappresentazione dei corpi e del loro simbolo culminante, il sesso. Tale sincerità e necessità hanno diverse giustificazioni storiche e ideologiche. Prima di tutto esse si inseriscono in quella lotta per la democratizzazione del diritto a esprimersi e per la liberalizzazione sessuale, che erano due momenti fondamentali della tensione progressista degli Anni Cinquanta e Sessanta. In secondo luogo, nella prima fase della crisi culturale e antropologica cominciata verso la fine degli Anni Sessanta - in cui cominciava a trionfare l’irrealtà della sottocultura dei mass media e quindi della comunicazione di massa - l’ultimo baluardo della realtà parevano essere gli innocenti corpi con l’arcaica, fosca, vitale violenza dei loro organi sessuali. Infine, la rappresentazione dell’eros, visto in un ambito umano appena superato dalla storia, ma ancora fisicamente presente (a Napoli, nel Medio Oriente) era qualcosa che affascinava me personalmente, in quanto singolo autore e uomo. Ora tutto si è rovesciato. Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza. Secondo: anche la realtà dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana. Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è divenuto suicida delusione. Se anche volessi continuare a fare film come quelli della Trilogia della vita, non lo potrei: perché ormai odio i corpi e gli organi sessuali. Naturalmente parlo di questi corpi, di questi organi sessuali. Cioè dei corpi dei nuovi giovani e ragazzi italiani, degli organi sessuali dei nuovi giovani e ragazzi italiani. Ma oggi la degenerazione dei corpi e dei sessi ha assunto valore retroattivo. Se coloro che allora erano così e così, hanno potuto diventare ora così e così, vuol dire che lo erano già potenzialmente: quindi anche il loro modo di essere di allora è, dal presente, svalutato. I giovani e i ragazzi del sottoproletariato romano - che son poi quelli che io ho proiettato nella vecchia e resistente Napoli, e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo - se ora sono immondizia umana, vuol dire che anche allora potenzialmente lo erano: erano quindi degli imbecilli costretti a essere adorabili, degli squallidi criminali costretti a essere dei simpatici malandrini, dei vili inetti costretti a essere santamente innocenti, ecc. ecc. Il crollo del presente implica anche il crollo del passato. La vita è un mucchio di insignificanti e ironiche rovine. Non si accorgono che la televisione, e forse ancora peggio la scuola d’obbligo, hanno degradato tutti i giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie: ma considerano ciò una spiacevole congiuntura, che certamente si risolverà - quasi che un mutamento antropologico fosse reversibile. Non si accorgono che la liberalizzazione sessuale anziché dare leggerezza e felicità ai giovani e ai ragazzi, li ha resi infelici, chiusi, e di conseguenza stupidamente presuntuosi e aggressivi: ma di ciò addirittura non vogliono occuparsene, perché non gliene importa niente dei giovani e dei ragazzi.

Per prima cosa bisogna fare un piccolo passo indietro. Antecedente al suo ultimo film fu appunto La Trilogia della vita (composta da Il fiore delle Mille e una notte, Il Decameron e I Racconti di Canterbury) che aveva il compito di rendere omaggio e collegare la popolazione sottoproletaria del suo tempo con un arcaico popolo considerato ancora vivo, semplice e colorato, totalmente fuori dalla dimensione della storia «la sua allegria, non la millenaria lotta, la sua natura, non la sua coscienza», in forte contrasto con il moralismo borghese e il suo modello capitalistico-omologatore che diventeranno, negli anni futuri, tiranni dell’Occidente. 

Pasolini è consapevole che qualcosa sta cambiando: è in atto una decisiva svolta epocale che avrà come conseguenza l’entrata di quel popolo tanto vagheggiato nei cancelli della dimensione della storia: «un esercito di contadini che sembra farsi cristiano». È da questa consapevolezza che l’autore prende le mosse per la realizzazione del film che sarà considerato fra i più scioccanti della storia del cinema borghese, ponendo al centro dell’intera opera il sesso, utilizzato come brutale metafora per descrivere la mercificazione dei corpi che il potere attua; quegli stessi corpi che un tempo, egli stesso ha amato. Anche il sesso, come molti altri termini cui Pasolini era solito cambiare di significato rivalutandoli in chiave post-moderna (si vedano ad esempio i concetti di sviluppo e progresso, conformismo e anticonformismo), viene rivalutato: un tempo era da considerare come risorsa e liberazione delle classi meno abbienti, oggi invece, è da considerare come «un orribile obbligo di massa a cui tutti, prima o poi, si adeguano, nell’ansia di uguaglianza insita non tanto nel popolo stesso, ma nella degradazione capitalistica e consumistica». 

L’inferno pasoliniano si struttura dunque in 4 gironi. Nell'Antinferno i Signori sottoscrivono le norme del Codice con un patto di sangue, sposando ciascuno la figlia di un altro, suddividono quindi le giovani prede in quattro gruppi: vittime, soldati, collaborazionisti, servitù. Nel Girone delle Manie, i Signori, eccitati dai racconti feticisti della Signora Vaccari, seviziano ripetutamente i ragazzi, fino a farli stare nudi a quattro zampe, latranti come cani, dando loro in pasto polenta riempita di chiodi. Nel Girone della Merda, affidato alle perversioni anali della Signora Maggi, le vittime apprendono l'arte di farsi sodomizzare con gratitudine e partecipano a un pantagruelico pranzo la cui portata principale è costituita dalle proprie feci. Nel Girone del Sangue, instillando un meccanismo di mutua delazione tra i ragazzi, i Signori designano le vittime dello strazio finale. In un'orgia di efferatezze e riti profani, tra torture, sevizie, amputazioni e uccisioni perpetrate sulla base di una sorta di dantesca pena del contrappasso, Signori e collaborazionisti si cimentano in balletti isterici e atti di sesso necrofilo. Un nuovo potere è alle porte, teso a dominare la popolazione attraverso la sopraffazione sessuale, e la conseguente alienazione di questi corpi ormai assuefatti, porterà l’autore ad abiurare se stesso, il suo pensiero e il suo contatto intimo e sentimentale con quella classe popolare tanto amata che, entrando con prepotenza in una trasformazione massificatrice voluta dal potere post-fascista, sarà artefice del suo sfacelo culturale e antropologico, a piè pari con l’opera livellatrice delle classi dominanti che agiscono in nome di un presunto progresso. 

Giuseppe Giordano

Nessun commento: