Negli ultimi anni (sperando non sia una moda o un terreno fertile a cui attingere in mancanza d’idee) ci sono state delle felici trasmutazioni di graphic-novel in film, videogiochi e serie tv. Non fa eccezione la graphic-novel The Walking Dead, da cui è tratta una serie televisiva al cardiopalma, fascinosa e superbamente realizzata (attualmente in onda in America e in Italia su FOX TV) dedicata agli zombi, in cui i morti impongono la loro avanzata verso la vita, infrangendo la dilemmatica soglia fra la vita e la morte. Dove in questo caso la morte è incarnata nell’incisiva fisicità di esseri zombificati, fra i cui lineamenti devastati è possibile rintracciare quelli che prima erano dei nostri amici, mogli, fidanzate, figli, colleghi di lavoro, vicini di casa. Identificazione del ruolo nell’orrendo, divenendo, questa, la forza stessa della serie televisiva, intessuta in quel quotidiano di volta in volta deframmentato, sorta di prigione a cielo aperto, quando i personaggi si trovano di tra i grattacieli, fra gli isolati, sul giardino prospiciente a belle villette a schiera; o al chiuso, come in grandi saloni, scantinati, ospedali, persino nell’opprimente vano di un carrarmato, quando non v’è altro luogo ove tentare di fuggire dall’orda di affamati non-morti. Luoghi che inevitabilmente si rivelano sempre a portata di zombi, con un incedere magnificamente lento (gradito ritorno alla caratterizzata andatura degli zombi Romeriani, dopo una miriade di film con morti viventi dal passo fulmineo, con rimandi agli zombie-movie del maestro, come l’uomo di colore, etc.), sembrano consapevoli di poter comunque arrivare prima o poi al loro pasto più amato: i vivi!